LA MICROGLIA NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 23 marzo 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
AGGIORNAMENTO]
La cautela nell’interpretazione dei risultati degli studi volti ad accertare correlati morfo-funzionali dei disturbi mentali è d’obbligo. In particolare, quando si tratti di osservazioni in vivo mediante metodiche di neuroimmagine, quali la risonanza magnetica strutturale (MRI, da magnetic resonance imaging), la risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging), la spettroscopia in risonanza magnetica (MRS), la DTI (da diffusion tensor imaging) con trattografia, per citare le più impiegate, si deve tenere ben presente che l’eterogeneità clinica, le variazioni individuali e l’effetto dei farmaci nelle persone in trattamento, possono incidere notevolmente sulla significatività dei reperti. Inoltre, per molti aspetti valutati, quali area, volume e grado di attività, non esistono quadri certi, fissi e schematici di normalità, dai quali desumere, per semplice differenza, un quadro patologico.
Una considerazione diversa meritano gli studi che, scegliendo accuratamente parametri significativi sulla base di una coerenza fra dati molecolari, cellulari, sistemici e comportamentali, cercano di stabilire un profilo fisiologico e, per comparazione ed opposizione, un profilo fisiopatologico. Anche se tali studi si possono considerare ancora agli inizi e, pertanto, lontani dall’aver stabilito profili funzionali di riferimento, i criteri da loro adottati consentono di raccogliere entro una cornice organica i dati eterogenei e frammentari che emergono dalla ricerca di base.
Operata questa doverosa distinzione, entriamo nel merito di una questione cara alla nostra scuola neuroscientifica - se di scuola neuroscientifica si può parlare facendo riferimento alla cultura comune sviluppata in questi dieci anni dai membri della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia - ossia la tendenza neuronocentrica della comunità neuroscientifica, che ha portato a sottovalutare o a negligere totalmente il ruolo della glia nella fisiologia e nella patologia dei processi psichici. Una quantità notevole e crescente di evidenze implica l’altro cervello[1], per dirla con Douglas Fields, in molti stati e condizioni riferibili a psicopatologia.
Le alterazioni gliali nel corso di episodi acuti dei principali disturbi mentali, sono ormai un fatto accertato, anche se il loro significato è ancora oggetto di dibattito. Ad esempio, nella schizofrenia e durante episodi acuti di eccitazione maniacale e di depressione profonda, si è rilevata una netta riduzione del marker GFAP degli astrociti e un aumento di S100β. Probabilmente in una forma cronica e costante nelle psicosi, in particolare nella schizofrenia, e nei disturbi depressivi e maniacali dell’umore, è presente un’alterazione della ricaptazione del glutammato da parte dell’astroglia. Nella schizofrenia è stata rilevata una patologia astrogliale, con specificità per lo strato corticale, ed è stata interpretata come indice di una selettiva distorsione delle interazioni neuroni-glia.
Nelle principali malattie mentali sono presenti alterazioni degli oligodendrociti che, in quanto produttori, regolatori e responsabili dell’integrità della mielina, influiscono sull’efficienza di tutta la neurotrasmissione centrale. Studi basati su proteomica, microarray, neuropatologia e DTI hanno rilevato disfunzioni oligodendrogliali e difetti nella struttura della mielina nella schizofrenia e nei maggiori disturbi dell’umore. La ricerca genetica ha rivelato la downregulation di geni di fondamentale importanza per la fisiologia degli oligodendrociti e della mielina, tanto nella schizofrenia quanto nel disturbo bipolare, suggerendo l’esistenza di una componente fisiopatologica gliale comune. Infine, numerosi fattori di suscettibilità genetica per le psicosi, sia schizofreniche sia con alterazioni dell’umore - si pensi, ad esempio, a NRG1 - sono implicati nelle funzioni e nella differenziazione oligodendrogliale.
Questa breve panoramica sulla glia nei disturbi mentali ci introduce alle nuove acquisizioni, per molti versi straordinarie, sulla biologia del disturbo ossessivo-compulsivo, ovvero di una condizione che riguarda il 2-3% della popolazione nelle società più sviluppate.
Il disturbo ossessivo-compulsivo [Obsessive-Compulsive Disorder (OCD),
F42.8 (DSM-IV-TR); 300.3 (ICD-10)] è caratterizzato da pensieri, immagini,
parole, frasi o concetti, intrusivi e persistenti (ossessioni) che invadono la mente del soggetto, imponendosi alla
sua coscienza; e da particolari attività mentali o materiali ripetitive (compulsioni), in grado di alleviare
l’ansia che spesso accompagna tale ideazione ossessiva[2].
In molti casi il disturbo risulta
invalidante, non solo e non tanto per le ossessioni[3],
quanto per la diseconomia temporale conseguente all’obbligo, avvertito dal
paziente, di portare a termine veri e propri rituali compulsivi, come lavarsi
le mani ripetutamente per un numero definito di volte, prima di dedicarsi ad
attività della vita quotidiana.
L’OCD è stato spesso sottovalutato, perché
erroneamente assimilato a condizioni caratterizzate dalla presenza, temporanea
e sfumata nel corso di stati ansiosi, di sintomi di questo genere in persone
che, evidentemente, presentano un tratto di predisposizione, ma non il disturbo
completamente espresso. Ancora, è stato erroneamente diagnosticato in pazienti
che, a fronte di preoccupazioni ansiose o vere e proprie fobie, sviluppano
sistemi di precauzione che possono alla lontana ricordare i “rituali”
compulsivi: la rinunciabilità di questi comportamenti, come osservato da
Perrella, accanto alla variabilità dei modi e all’assenza dei caratteri
precipui delle ossessioni, può orientare la diagnosi.
Anche se la fisiopatologia del disturbo non è ancora stata definita con precisione, alcuni correlati sono ormai considerati un indice certo di un’alterazione neurofunzionale in grado di condizionare i processi psichici: in particolare, difetti nel circuito cortico-striatale e talamo-corticale sono stati dimostrati da tempo (Graybiel & Rauch, 2000) e poi verificati e riscontrati più volte negli anni seguenti[4]. Impiegando la tecnica di rilevazione spettroscopica in corso di esame dell’encefalo mediante risonanza magnetica (MRS) è stato rilevato un interessamento della sostanza bianca parietale e cambiamenti nei fosfolipidi della guaina mielinica degli assoni e della membrana delle cellule gliali (Kitamura, et al., 2006).
Coerentemente con le numerose evidenze accumulate negli anni, indicanti alterazioni in un circuito che comprende il giro del cingolo ed altri segmenti neoencefalici corticotalamici, studi condotti con metodiche di imaging basate sulla risonanza magnetica (MR diffusion spectrum imaging) e la trattografia hanno evidenziato, nei pazienti affetti da forme pienamente espresse del disturbo, anomalie della sostanza bianca nel segmento anteriore del fascio del cingolo e nella radiazione talamica anteriore (Chiu, et al., 2011).
Veniamo ora a uno sviluppo della ricerca sulla biologia del disturbo ossessivo-compulsivo, tanto interessante, quanto ancora poco noto.
Sorprendenti risultati ottenuti in un ceppo transgenico di topo hanno suggerito la partecipazione di cellule immunitarie innate nello sviluppo dell’OCD (Yang & Lu, 2011).
Vediamo, sia pure in sintesi, come si è giunti a queste conclusioni. Topi omozigoti per una mutazione con perdita di funzione nel gene Hoxb8 mostrano una esasperata attività di autoripulitura (grooming) che porta fino alla perdita del pelo e a lesioni cutanee. Tale comportamento è subito parso suggestivamente simile a due manifestazioni sintomatologiche umane:
1) il lavarsi ripetuto e compulsivo che giunge fino a superare la pur notevole resistenza dei tegumenti agli insulti meccanici e chimici, ledendo l’integrità dell’epidermide;
2) la tricotillomania, che consiste nello strapparsi i capelli uno per volta, in una attività ripetitiva e talora incalzante, fino a lasciare scoperte aree evidenti di cuoio capelluto.
Il Premio Nobel Mario Roberto Capecchi, nel corso del suo lavoro sperimentale sui geni della famiglia Hox come regolatori del piano di sviluppo del corpo, fu tra i primi a studiare ceppi di topi con difetti genetici di questo tipo; qui di seguito riporto il brano con il quale ne riferivo nel 2007, in occasione del conferimento del massimo riconoscimento scientifico al ricercatore di origine italiana.
“Straordinariamente interessante la creazione
di topi con difetto di Hoxb8: senza questo gene gli animali eccedevano
nelle operazioni istintive di pulizia personale (grooming), giungendo
fino a distruggere il pelo, rendendo glabre le aree stropicciate di frequente,
e a prodursi vere e proprie ferite cutanee. Mario Capecchi ipotizzò che un
difetto nel gene Hoxb8 fosse alla base dei sintomi rupofobici del
disturbo ossessivo-compulsivo: la spinta che porta le persone affette da questo
disturbo ad una eccessiva e irrinunciabile tendenza a lavarsi ripetutamente,
avrebbe un’origine genetica, e le dinamiche psichiche osservate dagli
psichiatri, non avrebbero un ruolo causale, ma si svilupperebbero
secondariamente per effetto di elaborazioni, in parte automatiche e in parte
coscienti, dell’esperienza cognitivo-emozionale connessa con l’emergere del
sintomo”[5].
La condotta di stropicciamento ad oltranza di
parti del proprio corpo nei topi con un difetto in Hoxb8, era così suggestiva da indurre molti ricercatori a studiare
il loro cervello, ma, sorprendentemente, la risposta alla domanda relativa alla
causa del quel comportamento non è venuta dal sistema nervoso centrale.
Sulle prime la questione sembrava un
rompicapo insolubile, perché la HoxB8, ossia la molecola codificata dal
gene Hoxb8, non è espressa dai
neuroni. Trapiantando in questi roditori cellule provenienti dal midollo osseo
di topi a genotipo naturale, il comportamento scompariva (Chen, et al., 2010). I ricercatori provarono,
allora, a trasferire il fenotipo comportamentale trapiantando, in topi normali,
cellule emopoietiche del midollo osseo dei topi portatori omozigoti della
mutazione con perdita di funzione di Hoxb8.
Anche questa operazione ebbe successo e i roditori a genotipo naturale
diventarono temporaneamente dei “lavatori compulsivi”.
La spiegazione di questi risultati non è
stata difficile. Nel cervello, quasi tutte le cellule esprimenti Hoxb8
appartengono alla microglia o alle serie mieloidi, pertanto sono questi
elementi gliali a mediare gli effetti dell’alterazione genetica: ciò vuol dire
che il comportamento di grooming
esasperato, simile ai sintomi compulsivi, origina da cellule microgliali/immuni
innate difettose che, nel cervello, pongono in diretto rapporto la funzione
emopoietica col comportamento.
L’autore della nota ringrazia il
presidente della Società, professor Giuseppe Perrella, per aver fornito il
testo di una sua recente relazione (proposta ai soci lo scorso sabato 16 marzo
2013) sulla quale si è ampiamente basato il presente scritto. Inoltre, il
professor Rossi invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento
connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno
nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Si fa riferimento al volume dedicato alla glia cerebrale e in particolar modo al suo ruolo nelle malattie neurologiche e psichiatriche: R. Douglas Fields, The Other Brain. Simon & Schuster, New York 2010.
[2] Per una definizione più precisa e completa si rinvia al seguente testo, dal quale è stata tratta per sintesi quella riportata: Giuseppe Perrella, Osservazioni su casi di “nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005. BM&L-Italia, Firenze 2005. Per una discussione sul mutamento di prospettiva in psichiatria, si veda l’articolo: G. Perrella, La concezione del Disturbo Ossessivo-Compulsivo e il superamento della tradizione interpretativa di matrice psicodinamica basata sulla teoria della personalità. BM&L-Italia, Firenze 2004.
[3] In realtà, si possono distinguere casi in cui le ossessioni sono prevalenti, e talvolta gravi in assenza di trattamento, e casi in cui il comportamento compulsivo costituisce la quasi totalità dell’emergenza sintomatologica, con il pensiero ossessivo costituito da tematiche reiterate in forma di ragionamenti ben organizzati ed argomentati. Fra questi due poli è possibile osservare una discreta gamma di condizioni intermedie.
[4] Si veda Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[5] Note e Notizie 13-10-07 Il Premio Nobel a Mario Roberto Capecchi.