Decodificare i giudizi morali dai correlati neurali delle intenzioni

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 23 marzo 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’ingenua identificazione della base neurale di una funzione psichica superiore con le aree cerebrali che appaiono maggiormente attive nelle sezioni tomografiche degli studi condotti mediante risonanza magnetica funzionale (MRI), è stata da tempo superata, e i ricercatori hanno elaborato metodi più affidabili per la ricerca dei correlati neurofunzionali delle attività mentali di grado più elevato. L’analisi dei rilievi avviene mediante tecniche che consentono di integrare numerosi dati, giungendo a ridurre ambiguità e margine di errore in rapporto a parametri conosciuti. Le stesse procedure di prova per l’ottenimento delle risposte encefaliche tradotte in immagini sono più sofisticate, prevedendo, ad esempio, l’esclusione selettiva e temporanea di aree cerebrali, mediante l’interferenza mirata con la loro attività elettrica.

Tuttavia, nonostante  questi progressi, lo studio del pensiero e, in particolar modo, dei correlati anatomo-funzionali di attività psichiche come la critica ed il giudizio, ci sembra ancora una sfida improponibile per lo stato attuale dei mezzi, delle conoscenze e dei paradigmi sperimentali ordinariamente impiegati. Ma, in attesa che maturino i tempi, le concezioni e le tecnologie, ci si può legittimamente interrogare su quale sia la via giusta da percorrere per promuovere lo sviluppo di questo settore e, magari, contribuire al superamento di limiti, errori e difetti che, fino ad oggi, hanno rallentato l’evoluzione di questi studi ed accresciuto la diffidenza da parte dei neuroscienziati “duri e puri”. Non è facile trovare risposte. Se si accantona la scelta più rinunciataria, consistente nell’abbandonare lo studio scientifico delle basi cerebrali di processi quali i giudizi morali, lasciando che il campo della speculazione psicologica e filosofica riprenda possesso di questi piccoli territori biologizzati del rapporto mente-cervello, non resta che tentare di individuare le basi di stati mentali intenzionali determinati da giudizi morali elementari e condivisi, tanto da poter essere assimilati ad elementi di ragione.

Se e quanto valga questa impresa, si può dedurre da questo interessante lavoro condotto da Jorie Koster-Hale e colleghi, i cui risultati ci sembrano realmente degni di nota (Koster-Hale J., et al. Decoding moral judgments from neural representations of intentions. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1207992110], 2013).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: McGovern Institute for Brain Research and Department of Brain and Cognitive Sciences, MIT, Cambridge, Massachusetts (USA); Department of Psychology, Boston College, Chestnut Hill, Massachusetts (USA). [Il lavoro è stato edito da Robert Desimone, MIT, Cambridge, Massachusetts (USA)].

I ricercatori sono partiti da questa semplice considerazione: i danni intenzionali sono tipicamente giudicati moralmente peggiori dei danni causati accidentalmente. La distinzione fra danni accidentali ed intenzionali dipende dalla capacità di ragionamenti su stati mentali (ad esempio, ragionamenti su convinzioni ed intenzioni), che è supportata da un gruppo di regioni cerebrali fra le quali spicca la giunzione temporo-parietale di destra (RTPJ, da right temporo-parietal junction).

La ricerca precedente ha accertato che l’interferenza con l’attività dell’area RTPJ compromette lo stato mentale del ragionamento necessario al giudizio morale e che, persone affette da disturbi dello spettro dell’autismo in forme scarsamente invalidanti, formulano giudizi morali basandosi meno delle persone con una dotazione cerebrale normotipica, sull’informazione relativa all’intenzione.

Koster-Hale e colleghi, usando la multivoxel pattern analysis, hanno posto in essere tre esperimenti che hanno consentito di osservare e dedurre quanto segue:

1) in persone adulte neurotipiche (normodotate) la RTPJ mostra patterns spaziali di risposta costanti, affidabili e distinti fra danni intenzionali e danni accidentali;

2) le differenze individuali nel pattern neurale consentono di prevedere le differenze nei giudizi morali dei partecipanti (tali effetti sono specifici per la RTPJ);

3) al contrario, nei volontari affetti da disturbi dello spettro dell’autismo, erano del tutto assenti tali differenze negli schemi di funzionamento.

Nell’insieme, i risultati di questo studio consentono di concludere che la multivoxel pattern analysis può rilevare elementi delle rappresentazioni dello stato mentale (ad esempio: l’intenzione), e che i patterns neurali corrispondenti sono rilevanti sia in termini comportamentali che clinici.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Diane Richmond

BM&L-23 marzo 2013

www.brainmindlife.org