Nuova via per consolidare la memoria fa sperare in nuove terapie

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 23 marzo 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Quando nell’autunno del 2010 ebbi l’onore e l’onere di condividere con il presidente della nostra Società lo studio per la ricostruzione cronologica dei passi e dei risultati cruciali della ricerca sulle basi molecolari della memoria di breve e lungo termine, mi immedesimai nell’esperienza dei protagonisti, compiendo un viaggio attraverso il tempo e i laboratori dove erano nate ed erano state messe alla prova alcune fra le idee più brillanti della biologia molecolare degli ultimi cinquant’anni.

Inizialmente, credevo di dovermi limitare ad andare un po’ oltre la rassegna dei risultati, per cercare di comprendere da quali modi di intendere la neurobiologia e da quali ragionamenti fossero nate le ipotesi decisive per le scoperte che hanno fondato lo stato attuale delle conoscenze. Poco a poco, invece, mi sono ritrovata a seguire il filo delle trame più avvincenti che legavano la vita culturale e professionale dei protagonisti agli eventi sperimentali, rendendomi conto che, in tal modo, non solo avevo veramente compreso l’adagio di Auguste Comte sempre ripetuto dal mio mentore e compagno di avventura scientifica: non si capisce veramente una scienza finché non se ne conosce la storia, ma stavo realmente compiendo un’esperienza edificante e costruttiva per me stessa. Gli innumerevoli aneddoti di vita di persone che con più abilità e fortuna di me avevano svolto il mio stesso lavoro, non mi erano stati solo di conforto, ma mi avevano anche aiutato ad elaborare la perdita parziale ma consistente del ruolo di ricercatrice in questi anni di limbo, dovuti allo stato in cui versa la ricerca italiana e, naturalmente, alla mia decisione di rimanere in quello che, nonostante tutto, rimane il Paese più bello del mondo.

In quel periodo, in cui fra gli incarichi di vice-presidenza e l’intenso lavoro di revisione settimanale della letteratura neuroscientifica non avevo nemmeno avuto il tempo di pensare alla chiusura per mancanza di fondi del mio “Seminario sulle Sinapsi”, ero riuscita a separare definitivamente il valore di identità dal valore del risultato attribuito dagli altri al mio lavoro. La rassegna di tanti progetti di ricerca mi aveva fatto capire di aver raggiunto un buon livello di maturità nell’approccio ai problemi scientifici e, cosa ancora più importante, mi aveva fatto comprendere che la coerenza quotidiana fra la vita interiore e la prassi professionale, vale molto più di qualsiasi risultato sperimentale per nutrire il senso di identità.

Oggi, che un gruppo di ricerca strutturale della nostra società ha riportato all’attenzione di tutti i soci questo filone di studi, mi sento di dire che, riprendere a monitorare gli esiti della ricerca sulla neurobiologia molecolare della memoria, potrà essere per me un’occasione per trasmettere ai più giovani esperienze utili per apprendere quell’arte del vivere[1] necessaria ad amministrarsi saggiamente.

Le scoperte decisive che avevano portato negli anni Settanta ad identificare l’AMP-ciclico e la proteinchinasi A come fondamentali trasduttori del segnale per la formazione della memoria di breve termine, erano state compiute in un’epoca precedente la mia nascita, mentre l’avventura scientifica che aveva identificato CREB, attivata da proteinchinasi e MAP chinasi, come interruttore molecolare dell’espressione genica necessaria alla memoria di lungo termine, è stata per me storia recente che ha contribuito alla mia vocazione neurobiologica. Perciò, se è vero che ho accettato con piacere la relazione sulla memoria di breve termine nella serie di incontri seminariali in cui ricostruimmo le tappe per l’individuazione delle basi molecolari dell’apprendimento, è pur vero che con altrettanto piacere avrei tenuto anche la relazione sui meccanismi di lungo termine che, con maggiore capacità analitica di dettaglio e una più affascinante abilità espositiva, vi è stata proposta dal nostro presidente.

Ho voluto così introdurre la recensione di un lavoro che segna la ripresa di attenzione della Commissione Scientifica, fin qui gravata dalla pur giusta pressione di molti soci interessati ad argomenti neuropatologici di rilievo clinico, per queste acquisizioni di neurobiologia molecolare che sono fondamentali per tutte le neuroscienze.

La memoria, con i meccanismi di plasticità su cui si fonda, presenta un raggio di durata temporale straordinariamente esteso - che va dai millisecondi alla durata della vita di un organismo - e tale gamma costituisce una variabile biologica fondamentale della funzione nervosa, che va dalla breve registrazione di un stimolo luminoso da parte di un moscerino, alla capacità umana di apprendere una lingua verbale nella quale esprimere i pensieri e comunicare per tutta la vita. Si comprende, pertanto, che le pur importanti acquisizioni sui meccanismi cellulari e molecolari dell’immagazzinamento di informazioni di cui si dispone, non siano che l’inizio di una lunga via che ci porterà a conoscere analogie e differenze fra le specie e, soprattutto, a comprendere fino in fondo il significato della memoria per ogni processo neurale indagato.

Wei Huang e numerosi colleghi, fra cui Loredana Stoica e Mauricio Galiano, lavorando con Mauro Costa-Mattioli, hanno identificato una via di segnalazione finora sconosciuta, per la conversione della memoria di breve termine in memoria di lungo termine (Huang W., et al. mTORC2 controls actin polymerization requiered for consolidation of long-term memory. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3351], 2013).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Neuroscience, Baylor College of Medicine, Houston, Texas (USA); Center on Addiction, Learning and Memory, Baylor College of Medicine, Houston, Texas (USA); Department of Molecular and Cell Biology, Baylor College of Medicine, Houston, Texas (USA); Department of Biology and Biochemistry, University of Houston, Texas (USA); Department of Physiology, McGill University, Montreal (Canada).

La scoperta di mTORC2, cioè del complesso 2 (complex 2 o C2) del mammalian target of rapamycin (mTOR), che contiene la proteina regolatrice Rictor (rapamycin-insensitive companion of mTOR), è così recente che non vi è stato ancora il tempo per accertarne con precisione alcun ruolo funzionale. Con questa impresa si è cimentato il gruppo dei ricercatori guidati da Mauro Costa-Mattioli che, ipotizzando un ruolo nei processi di memoria, ne ha studiato l’impatto sui processi di base nel proencefalo murino.

A questo scopo, hanno realizzato la delezione condizionale del gene Rictor nelle cellule proencefaliche di topo in epoca postnatale, verificandone gli effetti in ordine ai processi cellulari che costituiscono i principali correlati elettrochimici noti della conservazione delle modificazioni plastiche indotte da stimoli. La delezione faceva rilevare un’attività fortemente ridotta di mTORC2 associata ad una selettiva compromissione della memoria di lungo termine e della fase tardiva del potenziamento di lungo termine (LTP) registrato nei neuroni dell’ippocampo.

Questi risultati, interpretati alla luce di considerazioni fondate sul complesso delle conoscenze di neurobiologia molecolare della memoria, hanno indotto gli autori ad ipotizzare che questo meccanismo possa avere un’antica storia filogenetica e non essere esclusivo dei mammiferi.

Per verificare questa supposizione, hanno studiato anche nel moscerino Drosophila melanogaster gli effetti della perdita della proteina omologa. A tal fine hanno impiegato moscerini con difetto di dTORC2 (dTORC2-deficient flies): lo studio ha evidenziato un deficit di memoria di lungo termine comparabile con quello rilevato nei topi.

Tale riscontro depone, evidentemente, a favore di una via altamente conservata in termini evoluzionistici e, dunque, anche se filogeneticamente primitiva, vincente in chiave adattativa e verosimilmente essenziale per i processi di conservazione dell’esperienza.

L’approfondimento relativo alle specie molecolari interessate in questa via di conversione della memoria dalla breve traccia alla lunga durata, ha evidenziato l’importanza dei processi di polimerizzazione dell’actina. Infatti, nei neuroni dell’ippocampo di topi con deficit di mTORC2, Wei Huang e i suoli colleghi hanno potuto rilevare una notevole riduzione del processo di polimerizzazione dell’actina. Per verificarne l’importanza, i ricercatori hanno ripristinato la polimerizzazione della proteina, ottenendo sia il ripristino del potenziamento di lungo termine nella fase tardiva (L-LTP) sia della memoria di lungo termine osservabile in termini comportamentali.

Una conferma del valore di questi dati è venuta dall’impiego di un composto in grado di promuovere l’attività di mTORC2: la molecola si è rivelata in grado di convertire gli LTP precoci in LTP tardivi e di potenziare in modo inequivocabile la memoria di lungo temine.

Si comprende l’attesa per la conferma di questi risultati che sembrano indicare non solo una nuova traccia per la comprensione della biologia molecolare della memoria, ma anche, in mTORC2, un bersaglio per farmaci che potrebbero trattare numerose disfunzioni cognitive dovute a deficit di memorizzazione.

 

L’autrice della nota ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per il prezioso aiuto nella resa del testo in buona prosa italiana e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Nicole Cardon

BM&L-23 marzo 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si fa riferimento al “Seminario permanente sull’Arte del Vivere” che costituisce un grande laboratorio di pensiero e di esperienza umana in seno alla Società Nazionale di Neuroscienze.