Neuroglia: il nuovo trattato sulle cellule collaboratrici dei neuroni

 

 

GIUSEPPE PERRELLA

(Trascrizione di Lorenzo L. Borgia)

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 16 marzo 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: TRASCRIZIONE DI UNA RELAZIONE ORALE]

 

Il presente testo è stato tratto dalla registrazione di una relazione tenuta sabato 23 febbraio 2013 dal Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, che ha recensito per i soci la terza edizione di Neuroglia, presentandone le caratteristiche generali e le principali novità. Il volume, diretto in qualità di editor-in-chief da Helmut Kettenmann del Max Delbrück Center for Molecular Medicine (Berlino, Germania) e Bruce R. Ransom del Department of Neurology della University of Washington School of Medicine (Seattle, WA, USA), è stato pubblicato negli Stati Uniti per conto della Oxford University Press.

 

La pressante insistenza dei soci che in questi giorni mi hanno chiesto di presentare la nuova edizione di Neuroglia, curata da Kettenmann e Ransom, è stata per me la prova più evidente e significativa dell’intensità e della purezza di una passione del sapere in grado di accendere entusiasmi che non conoscono limiti di età e inibizioni di ruolo e circostanza, ma si esprimono con un’immediatezza ed una partecipazione che va ben oltre la mera curiosità scientifica per i numerosi risultati, sviluppi e progressi compiuti dalla ricerca in questo campo. È, insieme, capacità e bisogno di nutrirsi di scienza: appartenerle e renderne partecipi gli altri, per farsi nuovi e rinnovare il senso dei rapporti, attraverso il sapere che si dona, e riaccende nella vita il suo stesso desiderio.

Spero mi si perdoni un istintivo ritornare con la mente a quando, ragazzo, cercavo nelle biblioteche scientifiche i rari articoli che allora si pubblicavano sulla glia, nei quali cominciavano a delinearsi i ruoli essenziali per lo sviluppo e la vita dei neuroni. Allora, fresco ancora di studi liceali, ricordavo Lucrezio:

La terra poi non ha sensi, non li ebbe in epoca alcuna, e poi che chiude in sé gli atomi di molti corpi, alla luce ne mette molti, in molteplici guise. E s’alcuno vuol proprio […] gli si conceda di proclamare la terra madre di tutti gli dei, purché non lasci, in effetto, che gli contamini l’animo una sì sconcia credenza.[1]

La glia, da semplice tessuto di sostegno, a madre generatrice e protettrice dei neuroni: un accostamento metaforico che, pur essendo una consapevole forzatura, non mi preoccupava, perché ero certo che sarei stato in grado di attendere con composta prudenza il verdetto della sperimentazione, e il mio intelletto scientifico non sarebbe stato contaminato da “una sì sconcia credenza”. Ricordo anche che, per indurre una collega di studi molto sensibile ai diritti delle donne ad appassionarsi all’argomento e ad aiutarmi nelle mie ricerche bibliografiche, le proponevo, con finta ma credibile convinzione, la possibilità che la comunità scientifica, ancora prevalentemente costituita da uomini, fosse inconsapevolmente influenzata da una tendenza psicologica maschilista, riflessa nel genere delle parole stesse: il neurone, posto al centro dell’interesse e ritenuto l’indiscusso protagonista della vita mentale, e la glia, relegata al ruolo della casalinga perfetta che svolge compiti tanto utili quanto ripetitivi e scarsamente attraenti. Possibile – le dicevo – che sia veramente così?

Sulla scoperta della glia conoscevamo le poche nozioni storiche che era possibile reperire seguendo il filo di citazioni, rimandi, referenze, e poi setacciando le biblioteche alla ricerca delle fonti. Avendo dimestichezza con il microscopio ottico e conoscendo alcune procedure e tecniche per la realizzazione di preparati istologici, la lettura dei documenti e dei racconti di un’epoca in cui le scoperte erano quasi esclusivamente fondate sull’osservazione, mi induceva una facile immedesimazione. Un secolo dopo la celebre descrizione delle fibre nervose da parte del costruttore di microscopi olandese Antoni Van Leeuwenhoek (1718), il medico francese René Dutrochet (1824), studiando i gangli di chiocciole e altri molluschi, osservò e disegnò dei “corpuscoli globulari”, e definì questi elementi, corrispondenti ciascuno a un soma cellulare, “piccole cellule”, impiegando per la prima volta il termine “cellula” in una trattazione scientifica del sistema nervoso ma, soprattutto, realizzando le prime riproduzioni grafiche di cellule della glia. In particolare, ricordo di aver visto un disegno in cui era facile riconoscere un oligodendrocita.

Otto Deiters, invece, pur avendo lodevolmente indicato nella mancanza degli assoni il primo criterio per distinguere le cellule di questa “pania”, in cui sembravano immersi i neuroni, dalle cellule nervose stesse, in realtà si era sbagliato, perché le sue cellule gliali non erano altro che neuroni incompletamente colorati. Nel 1856 l’anatomista e patologo tedesco Rudolf Virchow indicò il complesso di cellule non nervose con il vocabolo Nervenkitt, che vuol dire press’a poco “cemento nervoso” o “collante del nervo”, e scelse, per coniare il termine medico che sarebbe entrato nell’uso scientifico, la parola glia, derivata da un lemma greco che sta per colla: nacque così neuroglia. Virchow, pur convinto di una funzione eminentemente strutturale e meccanica del tessuto non nervoso del cervello, ebbe il merito di intuirne un ruolo nella patologia.

Le ipotesi di lavoro su cui si sarebbe indagato nel secolo successivo presero forma dalle intuizioni dei maggiori ricercatori dell’epoca: il rapporto con i vasi (Camillo Golgi), la funzione di isolante elettrico (Ramon y Cajal), la proprietà di secernere molecole (Nageotte).

Leggendo i nuovi studi sulla glia del cervello, che dimostravano una specificità dei singoli tipi cellulari non accostabile al ruolo del tessuto connettivo di altri organi, ero indotto ad immaginare una partecipazione generale e costante alle funzioni dell’encefalo, sulla base di una semplice considerazione evoluzionistica: tutte le componenti cellulari del sistema nervoso centrale si sono evolute insieme e, se la glia non è un semplice tessuto di supporto, è lecito attendersi la scoperta di ruoli rilevanti per le funzioni cerebrali e psichiche. Ero intuitivamente convinto, pur sulla base dei dati molto limitati di cui si disponeva, che la ricerca avrebbe aperto orizzonti del tutto nuovi ma, allo stesso tempo, ero consapevole che le numerose domande che mi ponevo non avrebbero potuto trovare risposte in tempi brevi, perché erano pochi ed isolati i gruppi impegnati in quegli studi.

Negli anni che seguirono, le ricerche condotte dai gliologi ante litteram presentavano un aspetto che consideravo stimolante e promettente ma che, al contrario, pare fosse ritenuto scoraggiante dai finanziatori della ricerca: mi riferisco al fatto che l’approccio riduzionistico stava producendo una mole enorme di nuovi dati di difficile o apparentemente impossibile interpretazione. Diretta conseguenza, riflessa nei contenuti della prima edizione di Neuroglia, era la compilazione di lunghe liste di proprietà delle cellule gliali, cui non corrispondevano ruoli fisiologici definiti, accertati e verificati. In altri termini, dalla scarsità di informazioni si era passati ad un eccesso di elementi di conoscenza superspecialistica che non si riusciva a ricondurre a logiche funzionali note, così che l’elenco delle funzioni della glia da riportare nei libri di testo rimaneva stabile nella sua brevità dei decenni precedenti.

In proposito, mi sembra opportuno ricordare e sottolineare che, in quel periodo, se si eccettuano i brevi capitoli di manuali e trattati di anatomia, istologia ed embriologia, ossia di opere di argomento morfologico, prima della pubblicazione di Neuroglia non esistevano trattazioni monografiche aggiornate ed esaustive su biologia, fisiologia e patologia del tessuto costituito da astrociti, oligodendrociti e microglia[2]. Gli autori di questa inedita impresa, che si proponevano di raccogliere il meglio di quanto aveva prodotto lo studio sperimentale in questo campo, erano gli stessi protagonisti della ricerca che, nel rendere conto delle difficoltà insite nel compito di isolare artificialmente le cellule gliali dal contesto, dichiararono di “aver combattuto con una propria versione del principio di indeterminazione di Heisemberg: come studiare il ruolo delle cellule gliali nelle azioni multicellulari del sistema nervoso senza interferire con le funzioni stesse che desideriamo comprendere”[3]. Gli apprezzabili sforzi compiuti, avevano portato ad utili e fruttuosi compromessi che costituirono la materia della prima edizione.

Nella seconda edizione, pubblicata a distanza di dieci anni, furono introdotti nuovi argomenti emblematici di un cambiamento epocale: il rilascio di trasmettitori per esocitosi da parte degli astrociti; le cellule staminali derivate dalla glia; il ruolo della glia nella trasmissione sinaptica; l’axon guidance gliale; i meccanismi del danno gliale; il ruolo della glia nella neuropatologia.

Nei sette anni trascorsi dall’ultima edizione, molte cose sono cambiate, basti pensare che si è registrata la prima modificazione da un secolo a questa parte nella classificazione dei tipi cellulari della glia: accanto ad astrociti, oligodendrociti e microglia si riconosce l’autonomia di una nuova classe di cellule dette NG2 o polidendrociti.

Veniamo, ora, all’opera appena pubblicata.

Mi sembra opportuno chiarire subito un aspetto fondamentale del modo in cui si è giunti alla realizzazione di questo ponderoso volume: non si è trattato di un aggiornamento per la pubblicazione della terza edizione del più autorevole trattato su questa materia, ma di un lavoro completamente nuovo che, come suggeriscono i due autori principali, avrebbe meritato un titolo diverso dal precedente, al fine di sottolinearne la novità.

È un’opera interamente nuova perché oltre la metà degli argomenti trattati non figurava nella precedente edizione, e gli aggiornamenti sono considerevoli e sostanziali, ma anche perché è in un certo senso mutata la prospettiva in cui si sono posti Helmut Kettenmann e Bruce R. Ransom nel presentare questa vasta materia a studiosi e ricercatori. Nelle precedenti edizioni era evidente, fin dalla prefazione, la necessità e lo sforzo di accreditare le cellule della glia come attive protagoniste della fisiologia del cervello e delle altre sezioni del sistema nervoso, per combattere la tendenza “conservatrice” a considerarle parte di un tessuto di sostegno con un marginale ruolo trofico, sulla scorta della originaria ipotesi di Virchow. Oggi, anche grazie all’impatto culturale delle due precedenti edizioni ed all’attività pubblicistica di scuole come quella di Douglas Fields, tutto ciò non è più necessario, e gli oltre cento autori hanno avuto la possibilità di entrare direttamente in argomento e, seguendo le direttive di Kettenmann e Ransom, come nella compilazione del migliore dei trattati di neuroscienze, hanno calibrato l’estensione delle singole parti, raggiungendo il miglior compromesso possibile fra la quantità di argomenti trattati e il grado di approfondimento proposto. In realtà, lo sviluppo della biologia della glia è tale da rendere impossibile in un solo volume la raccolta di tutti i dati più importanti che sono emersi dalla ricerca di questi ultimi anni.

È un’opera realmente nuova, dicevo, perché vi sono oltre cinquanta autori nuovi, i capitoli sono aumentati di circa il 50%, da 47 a 71, con i nuovi 24 focalizzati su argomenti non trattati in precedenza, e quelli di soggetto già presente nella seconda edizione sono stati completamente riscritti. Con tanti autori, l’omogeneità di stile, struttura e cultura che è stata raggiunta, può sembrare quasi un miracolo se non si conosce il metodo di lavoro adottato.

Kettenmann e Ransom, stabilite delle linee-guida e precisi criteri ai quali dovevano attenersi tutti coloro che hanno fornito un contributo, hanno fatto realizzare un sito web sul quale gli autori di ciascun capitolo hanno dovuto pubblicare, fin dall’inizio, la bozza del lavoro in corso. Ciascun capitolo è stato peer-reviewed da due esperti di quel campo, riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale ed inclusi nel panel dei contributors; durante tutto il lavoro, proposto man mano sul sito web, tutti gli autori hanno avuto la possibilità di intervenire, discutere o correggere eventuali inesattezze compiute da altri; ogni capitolo, infine, è stato sottoposto al controllo e alle rifiniture, quando necessarie, di Kettenmann e Ransom. Interessante notare che questo metodo ha portato spesso ad un completo rifacimento di quanto elaborato e che nessun capitolo, pur accettato dai referees, è stato proposto in forma definitiva senza ulteriori integrazioni e correzioni.

L’aggiornamento agli studi più recenti è dovuto al fatto che tutti i capitoli sono stati commissionati e portati a termine nell’arco dei nove mesi, come disposto dai due editors in chief.

Mi dispiace non poter proseguire con la parte credo più interessante di questa recensione, ossia la rassegna delle principali scoperte e delle nuove acquisizioni pubblicate in questo volume, perché il tempo a mia disposizione è già terminato. Credo, tuttavia, che vi sarà a breve un nuovo appuntamento, al quale invito tutti i soci interessati e i colleghi della Commissione Scientifica che stanno studiando per alcuni approfondimenti monografici.

Ringraziandovi per la cortesia e la partecipazione con la quale avete avuto la bontà di seguire le mie parole, vi auguro un buon proseguimento del lavoro.

 

Giuseppe Perrella

 (trascrizione di Lorenzo L. Borgia)

BM&L-16 marzo 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Tito Lucrezio Caro, De Rerum Natura (La Natura), vv. 655-657, 660-663, p. 149, Rizzoli, Milano 1953-1980.

[2] Una parziale eccezione a questa regola era rappresentata da From Neuron to Brain, di Nicholls, Martin e Wallace, ma più per le buone intenzioni degli autori che per la realizzazione editoriale, rimasta molto lontana per quantità e qualità da uno strumento di formazione e aggiornamento sulla glia.

[3] Tratto dalla “Prefazione alla Prima Edizione”, riportata nella terza edizione qui recensita: Kettenmann & Ransom (editors-in-chief), Neuroglia, p. vii, Oxford University Press, 2013. In realtà il principio di indeterminazione di Heisemberg rimane la chiave di volta della meccanica quantistica e del suo impiego nello studio delle particelle subatomiche che si sottraggono ai criteri della fisica classica; qui l’uso del paragone si riferisce all’applicazione del principio alla misurazione di coppie di grandezze osservabili: non è possibile misurare simultaneamente le due grandezze se non al prezzo di una indeterminazione dell’una che è tanto più grande quanto più piccola è quella dell’altra.