Nel sonno la conversione in conoscenza esplicita è migliore nel bambino
DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 09 marzo 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
L’apprendimento implicito, come quello legato alle memorie procedurali che si formano quando impariamo attraverso la pratica un compito motorio, genera una sia pur limitata conoscenza esplicita, ossia presente alla coscienza del soggetto, che può consapevolmente disporne ed eventualmente comunicarla. Nel processo di conversione di una memoria implicita in esplicita e, quindi, nella trasformazione di tracce codificate nel cervello al servizio di una esecuzione automatica in un contenuto concettuale cosciente[1], sembra avere importanza il sonno.
Ines Wilhelm
e colleghi di un gruppo guidato da Jan Born, hanno fatto seguire il sonno al training implicito di una sequenza motoria in adulti e bambini, dopodiché
hanno confrontato il grado di acquisizione nella conoscenza esplicita della sequenza appresa.
L’interessante esito dello studio sarà pubblicato su Nature Neuroscience nella forma della “comunicazione breve” (Wilhelm I., et al. The sleeping child outplays the adult’s
capacity to convert implicit into explicit knowledge. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3343], 2013).
La provenienza degli autori dello
studio è la seguente: Department of Medical Psychology and Behavioral
Neurobiology, University of Tuebingen (Germania); Child Development Center,
University Children’s Hospital Zuerich (Svizzera); Neuroimage Nord, Department of
Systems Neuroscience, University Medical Center Hamburg-Eppendorf (Germania);
Division of Biopsychology, University of Zuerich (Svizzera); Department of
Neuroendocrinology, University of Luebeck (Germania).
La memoria implicita tipicamente immagazzina forme di conoscenza acquisite senza un impegno cosciente, che sono poi in grado di influenzare o guidare il comportamento inconsciamente. Un tipo di memoria implicita è il priming originato dall’esperienza percettiva o concettuale (perceptual priming e conceptual priming). Altre forme di memoria non dichiarativa sono connesse con l’apprendimento di abitudini, abilità motorie[2], percettive e cognitive, ma anche con la formazione e l’espressione di risposte condizionate. In generale, queste forme di memoria implicita sono caratterizzate da un apprendimento incrementale, ossia che cresce con la ripetizione dell’esperienza. Una grande mole di dati sperimentali ha mostrato che i circuiti neurali che danno avvio alle abitudini, alle memorie procedurali e alle forme di apprendimento condizionato, sono indipendenti dal sistema del lobo temporale mediale responsabile della memoria esplicita o dichiarativa[3].
La distinzione, storicamente introdotta da Endel Tulving, della memoria esplicita o dichiarativa in memoria episodica (principalmente una memoria autobiografica di accadimenti, esperienze, fatti ed eventi, generalmente ordinati cronologicamente) e memoria semantica (essenzialmente la memoria di nozioni, concetti, denominazioni, numeri e dati, ossia lo strumento massimamente impiegato nello studio scolastico e nelle professioni intellettuali) definisce un campo di operazioni cerebrali ed esperienze tipicamente umane, legate al linguaggio verbale e supportate dal sistema del lobo temporale mediale, con l’ippocampo come struttura-chiave.
Il confronto delle prestazioni dopo il sonno, attuato da Wilhelm e colleghi, fra adulti e bambini nella rievocazione esplicita della conoscenza implicita di una sequenza motoria appresa per l’esperimento, ha mostrato risultati nettamente migliori nei volontari di età evolutiva.
I ricercatori hanno effettuato misurazioni e valutazioni bioelettriche dell’attività cerebrale nel sonno, ed hanno studiato mediante neuroimaging funzionale l’entità e l’intensità dell’attivazione dei sistemi che hanno per fulcro l’ippocampo. Su questa base, è apparso evidente che la maggiore conoscenza esplicita dei bambini era associata con una più alta attività nel sonno ad onde lente (SWS, da slow-wave sleep) e ad una più estesa e intensa attivazione dell’ippocampo durane la rievocazione della conoscenza esplicita.
Il complesso dei dati emersi dallo studio, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo originale della comunicazione, evidenzia la superiorità dei bambini nell’estrarre elementi invarianti da ambienti complessi, probabilmente come risultato di una rafforzata rielaborazione delle rappresentazioni della memoria ippocampale durante il sonno ad onde lente.
L’autrice ringrazia il dottor
Lorenzo L. Borgia per la collaborazione e invita alla lettura delle recensioni
di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] La formulazione è di Giuseppe Perrella e ricorre nei suoi scritti; qui è impiegata perché rende efficacemente il passaggio da uno stato di semplice memoria comportamentale comune a tutti gli animali, ad una concettualizzazione tipicamente umana.
[2] Si pensi, in particolare, alle memorie procedurali che sono alla base di apprendimenti come quelli necessari per scrivere mediante una tastiera di computer, giocare a golf, al calcio, nuotare, andare in bicicletta, suonare uno strumento musicale, danzare, ecc.
[3] Si veda l’aggiornamento su “Memoria e Sonno” per una trattazione dei tipi di memoria e delle loro basi neurali.