È possibile sapere se si è formata una memoria della paura provata
ROBERTO COLONNA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 09 marzo 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
L’argomento è appassionante e inquietante allo stesso tempo, soprattutto per chi ha sofferto di sintomi fobici o reazioni di angoscia e panico innescate dal ripetersi di una circostanza in cui si è fatta esperienza di una paura intensa: è possibile prevedere se l’esperienza di spavento, terrore o stress estremo, avendo creato una memoria di lungo termine della risposta emozionale, potrà facilmente essere evocata in futuro?
Finora si è indagato tanto sulla formazione di memorie condizionate della paura che, non soffermandosi troppo a pensarci, si può affermare senza tema di errore che questo è l’argomento più studiato di tutta la neurofisiologia delle emozioni. Eppure, se la risposta in laboratorio può essere facilmente positiva, in ordine alle condizioni artificialmente prodotte dai ricercatori per generare una reazione emotiva di lungo termine nei roditori, nella realtà umana ciò non è ancora assolutamente possibile. La ragione della difficoltà è senz’altro nella complessità cerebrale e nelle differenze di reazione interindividuali ed anche intraindividuali (variazioni in relazione allo stato fisiologico del momento) che ci caratterizzano, ma il motivo dell’impossibilità di ottenere diagnosi e prognosi del futuro di una paura è dato dalla mancanza di markers che, individuati negli animali, potrebbero poi essere cercati nell’uomo e, infine, impiegati nella pratica psichiatrica.
Mettendosi
alla ricerca di questi ipotetici contrassegni
del formarsi di una memoria della paura provata direttamente nel cervello umano,
Renée M. Visser e colleghi hanno trovato dei primi suggestivi elementi che
fanno ben sperare per il futuro. L’interesse suscitato (Visser R.
M., et al., Neural pattern similarity
predicts long-term fear memory. Nature
Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3345], 2013).
La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Cognitive Science Center, Department of Brain and Cognition and Department of Clinical Psychology, University of Amsterdam (Olanda).
Sebbene alcuni cambiamenti nel cervello possano riflettere l’apprendimento della paura, non sono ancora stati identificati veri indici di questo processo. Dunque, non si conoscono ancora markers in presenza dei quali si possa prevedere che un’esperienza avversiva indurrà lo sviluppo di una memoria emozionale acquisita di lungo termine. Visser e colleghi hanno applicato il metodo della multi-voxel pattern analysis a dati ottenuti mediante lo studio condotto, in ogni singola prova sperimentale, con risonanza magnetica funzionale dipendente dai livelli ematici di ossigeno.
In effetti, i ricercatori hanno esaminato la dinamica momento per momento dell’apprendimento della paura in persone che si sono volontariamente sottoposte all’esperienza. Rinviando alla lettura del testo del lavoro originale per i dettagli, notiamo che precisi patterns neurali rilevati al momento dell’elaborazione dell’esperienza emotiva, consentivano agli autori di prevedere lo sviluppo di espressioni comportamentali di lungo termine della memoria della paura.
In attesa di verifiche sperimentali ed approfondimenti, ci sembra di poter affermare che un primo passo verso l’identificazione di specifici indici prognostici in questo campo è stato compiuto.
L’autore della nota invita alla
lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle
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