Terapia con micro magneti di epilessia, Parkinson ed altri disturbi
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 02 marzo 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
AGGIORNAMENTO]
Premere un bottone per eliminare i sintomi, per molte persone affette da epilessia, malattia di Parkinson ed altri disturbi neurologici, è ancora un sogno, ma entro pochi anni potrebbe diventare realtà. Una nuova tecnologia di stimolazione profonda del cervello basata su micro magneti, sembra in grado di superare molti dei limiti del sistema attualmente in uso, la Deep Brain Stimulation (DBS), e potrebbe essere azionata mediante un dispositivo sottocutaneo connesso con fili, oppure wireless, realizzando una sorta di telecomando, per neutralizzare le manifestazioni moleste. Anche se la nuova tecnologia è ancora in fase di sperimentazione animale, un’azienda di apparecchiature elettromedicali ha già acquistato i diritti per la produzione e la commercializzazione dei micro magneti che, se entreranno presto nella fase di valutazione clinica, entro cinque anni potrebbero essere impiegati in terapia[1].
Il neurofisiologo John T. Gale della Cleveland Clinic e il fisico esperto di neuroimaging Giorgio Bonmassar della Harvard Medical School, hanno compiuto gli esperimenti decisivi per verificare la possibilità di generare potenziali d’azione in neuroni della retina di coniglio mediante micro magneti. I primi risultati positivi, e complessivamente molto incoraggianti per la prospettiva di un uso neuroterapeutico, sono stati pubblicati in Nature Communications nel giugno 2012[2].
Il sistema attualmente in uso di stimolazione elettrica, la Deep Brain Stimulation (DBS), si basa sull’uso di macroelettrodi metallici che, accanto alla provata efficacia in una buona percentuale di casi, presenta dei problemi di non facile soluzione. Ad esempio, le dimensioni degli elettrodi rimangono eccessive, rispetto alla precisione necessaria per un inserimento mirato e selettivo, attraverso il groviglio di circuiti e connessioni, nel punto esatto di maggiore efficacia e di minore interferenza con altre attività neuroniche. A questo limite tecnologico, si può ascrivere un’occasionale ma spiacevolissimo effetto collaterale: nell’esercitare la stimolazione delle popolazioni dopaminergiche nigro-striatali per trattare i disturbi motori della malattia di Parkinson, si può assistere all’innesco di intense reazioni emotive ed affettive negative, che possono turbare notevolmente il paziente, lasciando talvolta una traccia mnemonica traumatica. Se la rarità di questa evenienza, e più in generale il riscontro occasionale degli effetti collaterali psichici, a giudizio della maggior parte dei neurologi non costituisce una ragione sufficiente per rinunciare ai notevoli benefici derivanti dalla stimolazione, si deve tener conto che la qualità negativa dell’esperienza è tale da indurre chi l’ha vissuta a desiderare di non sperimentarla nuovamente.
Altro problema, più grave del primo, è dato dal fatto che, nel tempo, il contatto con il tessuto gliale e neuronico in cui sono immersi, corrode gli elettrodi, con la conseguente progressiva perdita di efficacia della loro azione. Senza contare il rischio non sempre ponderabile di reazioni infiammatorie. Attualmente, il danno da contatto diretto degli elettrodi comporta la sostituzione mediante un nuovo intervento chirurgico.
Le dimensioni dei micro magneti e la natura fisica della loro stimolazione consentirebbero di superare i problemi connessi con il difetto di selettività degli elettrodi metallici; inoltre, la capacità di penetrazione del campo magnetico consentirebbe la protezione degli stimolatori, evitando la corruzione da contatto. Vediamo più in dettaglio entrambi gli aspetti.
Magneti microscopici del diametro di 500 mµ possono essere collocati ed orientati con una notevole selettività, anche sfruttando le caratteristiche intrinseche del campo magnetico. Le correnti elettriche generate dall’attuale sistema di DBS si propagano in tutte le direzioni, eccitando tutti i neuroni circostanti che riescono a raggiungere. Al contrario, i campi magnetici seguono un’ordinata configurazione da polo a polo, che possiamo rappresentarci secondo il tipico disegno schematico che si fa del campo magnetico che circonda il nostro pianeta. La selettività può raggiungere livelli di precisione impensabili: non solo è possibile mirare un singolo neurone, ma si può anche scendere al livello subcellulare, orientando il campo su un’area definita e circoscritta del neurone stesso.
Per quanto riguarda la corruzione da contatto degli elettrodi metallici, la si può considerare un problema totalmente superato, in quanto il rivestimento plastico protegge efficacemente i magneti, e il campo magnetico, a differenza delle correnti elettriche, lo attraversa completamente.
Riassumendo, possiamo indicare in quattro punti i principali vantaggi di questo nuovo sistema di stimolazione profonda: 1) presumibile aumento di efficienza per la straordinaria selettività spaziale della stimolazione e dell’orientamento topografico; 2) riduzione o eliminazione degli effetti collaterali psichici dovuti alla bassa selettività dei macroelettrodi; 3) eliminazione del problema della corruzione da contatto e riduzione del rischio di infiammazione e formazione di focolai encefalitici; 4) minore invasività dell’impianto e soluzioni avanzate per il comando di avvio, regolazione e spegnimento.
Letta questa esposizione, un lettore non specialista del settore potrebbe essere indotto a ritenere che l’introduzione dei micro magneti costituisca un progresso in grado di superare ogni problema e limite connesso con la stimolazione di aree cerebrali a fine terapeutico. Purtroppo, le cose non stanno in questo modo, e i problemi principali non sono di natura tecnologica, ma nascono da una conoscenza ancora molto approssimativa della fisiologia dei sistemi del nostro encefalo. Per una sia pur breve discussione, sarà opportuno riferirsi alla DBS e a ciò che abbiamo imparato dall’esperienza terapeutica nell’ambito di maggiore applicazione, ossia nel trattamento delle sindromi parkinsoniane.
Premesso che, le evidenze sperimentali di effetti terapeutici di lesioni dei circuiti cerebro-motori in animali affetti da modelli sperimentali della Malattia di Parkinson hanno riportato in auge procedure neurochirurgiche per i pazienti refrattari in fase avanzata, è opportuno ricordare che la DBS è stata preferita anche da molti neurochirurghi. La ragione principale è costituita dalla sua reversibilità: requisito sufficiente a renderla clinicamente superiore a qualsiasi forma di lesione irreversibile, pur in grado di arrestare i sintomi.
In estrema sintesi, la DBS consiste in una stimolazione cronica di alta frequenza di strutture profonde dell’encefalo, ottenuta grazie ad un generatore di impulsi programmabile, simile ad un pacemaker cardiaco, posto sottocute e collegato ad un macroelettrodo stimolatore inserito profondamente, attraverso il telencefalo, nel nucleo subtalamico (Corpo di Luys) o nella parte mediale (interna) del globus pallidus (o nucleo pallido)[3]. Tale impianto ha consentito anche la registrazione, in vivo, nelle persone affette dalla patologia neurodegenerativa, dei potenziali di campo locali, utili per lo studio dell’attività oscillatoria dei nuclei sottocorticali implicati nel controllo dei movimenti. È risultato che i sintomi parkinsoniani sono associati con oscillazioni di elevata ampiezza nelle alte frequenze alfa e beta (10-30 Hz) nel nucleo subtalamico, nel segmento interno del pallido e della corteccia. Tali oscillazioni possono impedire al circuito, specialmente nella parte corticale, di raggiungere frequenze più elevate, corrispondenti alla banda gamma. È importante ricordare che l’attività oscillatoria di frequenza gamma nella corteccia frontale e nelle aree connesse, è considerata come un prerequisito per il normale movimento, e la mancanza di questa banda di frequenza si ritiene possa contribuire all’acinesia e alla bradicinesia tipiche dei quadri clinici di parkinsonismo.
Gli elettrodi intracerebrali hanno perciò consentito di fare passi in avanti nella conoscenza della fisiopatologia, ma ad oggi non si conosce con certezza il meccanismo mediante il quale la DBS produca i suoi effetti terapeutici. Le ipotesi più accreditate sono due. La prima postula che la stimolazione cronica di alta frequenza agisca primariamente sostituendo l’output irregolare ed anomalo, diretto dai nuclei della base alla corteccia, con uno schema di attività più regolare e meglio tollerato, che può consentire alla corteccia cerebrale un funzionamento più fisiologico. La seconda ipotesi è centrata sulla verosimile responsabilità delle frequenze beta nella genesi dei sintomi: la stimolazione cronica potrebbe contrastare ed abolire le oscillazioni beta abnormi e disintegrative.
Si comprende, da questi sintetici riferimenti, come i dubbi che possono sorgere sull’efficacia terapeutica dei micro magneti non attengono ai sicuri vantaggi offerti dalla tecnologia, ma sorgono dalle lacunose ed approssimative conoscenze sul sostrato fisiopatologico dei sintomi. Ad esempio, disporre di stimolatori a selettività subcellulare, anche solo intuitivamente appare un progresso in grado di aumentare l’efficacia dell’azione desiderata; tuttavia, i benefici ottenuti con i macroelettrodi, si basano su una empirica stimolazione di popolazioni neuroniche individuate su una base di omologia con quelle individuate negli animali da esperimento, ma non ancora analiticamente distinte al loro interno in base a più precisi criteri morfo-funzionali dei singoli neuroni. Poter indirizzare lo stimolo precisamente su un singolo neurone, potrebbe non essere un vantaggio, almeno fino a quando non si abbia una conoscenza cellula per cellula o, almeno, per piccoli gruppi cellulari dell’esatto ruolo fisiologico[4]. Le stesse considerazioni si possono applicare all’impiego terapeutico della DBS per altri disturbi del movimento da danno cerebrale. Ancora più grande è l’imbarazzo del ricercatore nel caso dell’epilessia: il sostrato funzionale delle sindromi convulsive è noto con buona approssimazione solo per una parte limitata dello spettro nosografico, e l’approccio terapeutico si è basato, fino al recente passato, su teorie fondate su schemi neurofunzionali complessivi e generici.
In altri termini, a modesto avviso di chi scrive, il grado di conoscenza della neurofisiologia dei macro e microsistemi neuronici del cervello, non è ancora tale da consentire il miglior impiego possibile di questa microtecnologia. Come nota a margine, aggiungerei le mie personali riserve su ogni intervento intrusivo in un’architettura funzionale che, lungi dall’essere rigidamente compartimentata, sta sempre più rivelando una complessità di interconnessioni fra aree specializzate, al servizio di equilibri che contribuiscono all’armonia funzionale globale.
L’autore ringrazia il presidente
della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, con il quale ha
studiato e discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle recensioni
di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Come Gale e Bonmassar, gli autori dello studio principale su questo argomento, focalizziamo la nostra attenzione sull’impiego terapeutico nelle patologie del cervello, tuttavia ricordiamo che i micro magneti potrebbero essere impiegati nella stimolazione di altri tessuti eccitabili, quali il tessuto miocardico specifico, gli elementi cellulari dell’orecchio interno o i muscoli scheletrici, come componenti di un pacemaker o di un dispositivo protesico.
[2] R. Douglas Fields ne dà notizia [Cfr. Sci Am. MIND 23 (6): 14, January/February 2013] e riferisce una dichiarazione di John T. Gale, il quale sottolinea che, occupandosi da quattordici anni di Deep Brain Stimulation, si rende conto con entusiasmo di quanto l’impiego di micro magneti sia innovativo e costituisca un modo nuovo di concepire la stimolazione cerebrale.
[3] Fino ad alcuni anni fa ha resistito un’interpretazione fisiopatologica dei sintomi motori della malattia di Parkinson e dei disturbi del movimento a questa assimilabili (parkinsonismi), detta rate hypothesis, secondo la quale l’aumento di attività del nucleo subtalamico, della parte interna del globo pallido e della parte reticolata della sostanza nera, insieme con la riduzione della scarica tonica della parte esterna del globo pallido, determina un incremento funzionale dei nuclei dell’output (del segnale in uscita) del circuito motorio della base, con maggiore inibizione dei neuroni talamo-corticali e del tronco encefalico. Questa accresciuta inibizione sarebbe stata responsabile dei sintomi ipocinetici della malattia (cfr. Albin et al., Trends in Neurosciences 12, 366-375, 1989). Attualmente si ritengono più fondate le ipotesi basate su alterazioni dei patterns di scarica, secondo quanto illustrato più avanti nel testo.
[4] Per inciso, ricordiamo che questo genere di ricerca procede a rilento in quanto è difficile definire le domande, ossia le ipotesi da porre al vaglio. In altri termini, la nostra attuale conoscenza fisiologica complessiva dell’encefalo è troppo rozza per la formulazione di quesiti che possano essere sottoposti a verifica con immediato vantaggio, pertanto si attende che si facciano passi in avanti nella comprensione delle “logiche costruttive” naturali alla base dell’organizzazione del cervello, per poter formulare i giusti quesiti (Cfr. G. Perrella, BM&L, 2003, 2006, 2008, 2009, 2010, 2012).