Come lo stress riduce la motivazione

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 23 febbraio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo stress può essere definito come uno stato di alterata omeostasi al quale l’organismo reagisce attivando specifici meccanismi neuroendocrini che innescano e/o modulano una serie di funzioni fisiche e comportamentali, aventi lo scopo di adattare alla nuova condizione e ripristinare l’equilibrio omeostatico pregresso[1]. Nel caso in cui la reazione di stress fallisca nel ripristinare il precedente equilibrio e permanga l’attivazione dei suoi sistemi di mediazione neuroendocrina, come accade di frequente nella realtà umana, si configura uno stato di squilibrio o scompenso (disturbo da stress) dovuto al permanere diseconomico di una forzatura funzionale, la cui ratio biologica è quella della risposta eccezionale e temporanea[2].

Le condizioni di stress protratto nell’animale e nell’uomo, così come gli stati psicopatologici che a queste sono stati accostati per patogenesi o fisiopatologia (disturbi dello spettro dell’ansia, depressione da stress, PTSD acuto e cronico, ecc.) sono in grado di determinare la riduzione del comportamento motivato, quali attività ed azioni coordinate e finalizzate allo scopo di ottenere una “ricompensa”. In altri termini, numerose evidenze sperimentali hanno dimostrato la riduzione, per effetto di agenti stressanti, di stati e comportamenti dopamina-dipendenti, quali la motivazione e le condotte finalizzate ad uno scopo che determina un rinforzo del comportamento stesso. I meccanismi neurobiologici sottostanti questo effetto non sono ancora bene chiariti, anche se sono stati ipotizzati numerosi processi, al centro dei quali è stato posto da molti ricercatori il CRH (da corticotropin-releasing hormone, o CRF, da corticotropin releasing factor).

Mattew J. Wanat, Antonello Bonci e Paul E. M. Phillips, con una breve comunicazione a Nature Neuroscience, hanno reso noto i risultati preliminari di un ottimo lavoro che hanno condotto per l’accertamento dei processi alla base di questo effetto (Wanat M. J., et al., CRF acts in the midbrain to attenuate accumbens dopamine release to rewards but not their predictors. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3335], 2013).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, University of Washington, Seattle (USA); Department of Pharmacology, University of Washington, Seattle (USA); Department of Neurology, University of California, San Francisco (UCSF), San Francisco (USA); National Institute on Drug Abuse Intramural Research Program, Baltimore (USA); The Salomon H. Snyder Neuroscience Institute, Johns Hopkins School of Medicine, Baltimore (USA).

In sintesi, l’esito della sperimentazione indica che il CRH (o CRF) agisce nell’area tegmentale ventrale (VTA) riducendo la motivazione a lavorare in vista di ricompense costituite da cibo. In particolare, il peptide ipotalamico che induce l’innalzamento dei tassi di cortisolo attraverso il rilascio di ACTH, inibiva il rilascio di dopamina, ossia la segnalazione dopaminergica da parte della popolazione neuronica specificamente deputata al rinforzo del comportamento, quando la neurotrasmissione si verificava in risposta alla consegna della ricompensa, ma non nel caso di rilascio causato da segnali che consentivano di anticipare la ricompensa.

Schematizzando, è stato evidenziato che il CRH nella VTA regola l’output dopaminico in una maniera stimolo-specifica e via neurale-specifica, offrendo in tal modo un meccanismo mediante il quale lo stress acuto selettivamente regola la trasmissione dell’informazione via VTA per rimodulare le priorità nell’ambito del comportamento motivato.

La conferma di quanto rilevato da Wanat, Bonci e Phillips, e soprattutto una migliore definizione dei meccanismi molecolari, potrà dirci se questa è la giusta via per la comprensione della base biologica della perdita di motivazione e conazione per effetto dello stress.

 

L’autore della nota invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-23 febbraio 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 



[1] Cfr. G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), p. 11, Dipartimento di Neuroscienze e Scienze del Comportamento, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli 2005.

[2] Cfr. G. Perrella, Dallo stress ai disturbi dello spettro dell’ansia, p. 3, BM&L-Italia, Firenze 2003.