Ricostruzione delle lingue antiche mediante modelli probabilistici

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 23 febbraio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Come parlavano realmente nell’antichità gli Egiziani, i Greci, i Romani o gli Ebrei? Le parole che componevano le frasi della loro vita di tutti i giorni erano le stesse che ci sono giunte attraverso la scrittura e, soprattutto, come erano pronunciate? E come dovevano essere i suoni degli idiomi dei Celti, dei Galli, dei Normanni, degli Etruschi, degli Osci, ossia di quel sostrato che ha impresso caratteri fonologici che spesso sopravvivono nella pronuncia regionale delle lingue moderne?

Tali interrogativi, che possono nascere da una semplice curiosità storica, spinta dal desiderio di riportare con l’immaginazione al presente la forma acustica in cui i pensieri dei nostri progenitori divenivano comunicazione, hanno un nobile antecedente in uno dei più antichi problemi della linguistica: ricostruire le parole che apparivano nei protolinguaggi dai quali si sono evolute le lingue moderne.

Oggi, che siamo abituati all’uso del termine “linguistica” in esclusivo riferimento alle branche di studio caratterizzate da un approccio “sincronico”, come quelle che impiegano il metodo strutturale inaugurato da Fernand De Saussurre o quelle che analizzano le forme espressive sulla base di una “grammatica generativa” secondo la teoria di Noam Chomsky, sembra che si sia quasi dimenticato che tutto il patrimonio di conoscenze glottologiche dell’umanità, accumulato fino a metà del Novecento, si deve a metodologie diacroniche fondate sulla storia delle lingue.

L’importanza della ricostruzione delle strutture verbali originarie secondo i suoni vocali articolati a scopo comunicativo dai più remoti interpreti ancestrali della comunicazione orale, è intuitivamente comprensibile anche a chi è lontano per formazione da questo campo di studi. Riconoscere le forme espressive degli idiomi precursori, che si voleva originassero tutti dall’antico indoeuropeo identificato con il sanscrito[1], consente di valutare la fondatezza e la plausibilità delle ipotesi relative alla natura dei cambiamenti linguistici, dai quali si possono derivare inferenze relative alla storia umana. La ricostruzione dei protolinguaggi ordinariamente è attuata mediante                                                                                         un processo manuale noto come metodo comparativo, il cui impiego richiede un impegno minuzioso, diligente e competente nell’applicazione di regole e leggi della linguistica, e il cui successo si basa in larga misura su una completezza di dati raramente disponibile.

Il metodo, inizialmente intuitivo ed esercitato più nel rispetto delle interpretazioni tradizionali vincolate solo al vero storico ed archeologico, che nella ricerca di nuovi criteri e nessi di collegamento, ha acquisito un più solido fondamento con l’avvento della fonetistica scientifica, i cui vincoli biologici nello studio dei processi di fonoarticolazione, hanno garantito alcuni elementi di certezza in quadri interpretativi spesso vaghi, frammentari e caratterizzati da ipotesi in contraddizione con pari probabilità.

Alexandre Bouchard-Côté, David Hall, Thomas L. Griffiths e Dan Klein, hanno realizzato e sperimentato una famiglia di modelli probabilistici delle variazioni dei suoni delle lingue, e di algoritmi per eseguire inferenze logiche con rigore matematico in tali modelli. L’applicazione di questi nuovi strumenti allo studio di 637 idiomi precursori, si è rivelata utile, stimolante e produttiva, oltre le aspettative iniziali (Bouchard-Côté A., et al., Automated reconstruction of ancient languages using probabilistic models of sound change. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1204678110], 2013).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Statistics, University of British Columbia, Vancouver, BC (Canada); Computer Science Division and Department of Psychology, University of California at Berkley, CA (USA).

Il compianto professor Aniello Gentile, storico delle lingue ed impareggiabile maestro italiano del metodo comparativo, tanto quanto suo fratello, Salvatore Gentile, avrebbe certamente accolto con soddisfazione l’introduzione di un sistema che, assicurando quel “rigore metodologico necessario perché le procedure di indagine linguistica possano essere considerate scientifiche”[2], si è rivelato straordinariamente efficace nel ridurre di molti anni il tempo necessario a portare a termine una tale mole di lavoro. Inoltre, non è superfluo sottolineare che l’impiego standardizzato del sistema elimina una buona parte degli errori dovuti a propensioni inconsapevoli derivanti da convinzioni e preferenze del singolo studioso.

Rinviando alla lettura del testo del lavoro originale per una dettagliata esposizione tecnica sul modo di operare della innovativa procedura computerizzata introdotta da Bouchard-Côté e i suoi tre collaboratori, consideriamo in sintesi gli esiti del suo impiego.

Il sistema risultante dai modelli probabilistici e dagli algoritmi inferenziali, automaticamente ed accuratamente, ha ricostruito idiomi precursori da lingue moderne. Gli autori lo hanno applicato a 637 lingue austronesiane (Austronesian languages)[3], ottenendo una ricostruzione in ampia scala, automatica, analitica e dettagliata, di un set di corrispondenti protolinguaggi.

Interessante il paragone fra questo metodo basato su procedimenti matematici ed il lavoro di ricostruzione realizzato secondo le modalità tradizionali da un linguista specializzato in lingue austronesiane: l’85% delle ricostruzioni del sistema impiegato da Bouchard-Côté e colleghi, rientrava all’interno di una categoria caratteristica formata dallo studioso sulla base dei ragionamenti applicati alle nozioni disponibili.

L’efficacia e la precisione di questo sistema, induce a considerare che, la possibilità di ricostruire in poco tempo un numero di lingue nell’ordine delle centinaia, potrà essere sfruttata come strumento per la verifica in chiave quantitativa di ipotesi circa i fattori in grado di determinare quali suoni in un linguaggio hanno maggiore probabilità di andare incontro a lievi variazioni o veri e propri cambiamenti nel corso del tempo.

L’utilità di questo sistema, come strumento di giudizio quantitativo, nel lavoro di Bouchard-Côté appare evidente sulla base della dimostrazione che, i protolinguaggi austronesiani ricostruiti, forniscono uno straordinario supporto all’ipotesi, avanzata per la prima volta nel 1955, della stretta relazione fra la funzione di un suono e la sua probabilità di mutamento.

 

L’autrice della nota ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per la sua preziosa collaborazione e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-23 febbraio 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 



[1] Attualmente si ritiene, in base a studi che hanno associato analisi genetiche di popolazioni a metodi linguistici, che la più antica lingua parlata in Europa sia stato il Vascone, l’idioma degli antichi Baschi. La scoperta ha consentito di risolvere enigmi legati ad uno dei campi più impenetrabili della linguistica: l’etimologia toponomastica di tanti fiumi, valli, monti e città d’Europa.

[2] Affermazione di A. Gentile riportata in “G. Perrella, Discorso su linguistica e neuroscienze”, p. 2, BM&L-Italia, Firenze 2003.

[3] La denominazione di lingue austronesiane si riferisce, in genere, agli idiomi parlati nelle isole del Pacifico Meridionale, anche se, per Austronesia, più estensivamente si intende quella parte dell’Emisfero Australe che va dal Madagascar, passando per la penisola che include la Tailandia e la Malesia con il suo arcipelago, fino alle Hawaii e all’
Isola di Pasqua.