Paura e panico senza amigdala in tre pazienti
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 16 febbraio 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RESOCONTO/RECENSIONE]
Le prime congetture con un qualche fondamento scientifico sulle basi neurali delle emozioni, si fanno risalire a William James, il quale ipotizzò che gli stimoli in grado di generare risposte emotive fossero percepiti dalla corteccia sensoriale e trasmessi da questa alla corteccia motoria, responsabile delle azioni effettrici alla base dello stato fisiologico.
L’insieme delle tesi di James sulla genesi di reazioni e comportamento emozionale è così sintetizzata da Joseph Le Doux: “L’essenza del ragionamento di James è efficacemente espressa nella tesi per cui noi non fuggiamo di fronte a un orso perché abbiamo paura; al contrario, abbiamo paura perché fuggiamo”[1]. Un tale punto di vista, paradossale anche per l’intuito e il buon senso di una persona semplice di oltre un secolo fa, si dimostrò presto infondato: nelle emozioni la precedenza non spetta alla corteccia cerebrale. Studi sperimentali dimostrarono che la rimozione completa della neocorteccia non comprometteva l’insorgenza di risposte emotive.
La relativa indipendenza delle emozioni dalla corteccia fu uno degli elementi che portò a postulare l’esistenza di una parte dell’encefalo specificamente dedicata all’elaborazione di risposte viscerali e motorie impulsive: il cosiddetto cervello emotivo. Nasce così, soprattutto ad opera di Paul McLean, la nozione di sistema limbico, basata sul concetto anatomico di lobo limbico[2], ma elaborata secondo una visione evoluzionistica del cervello.
Gli studiosi di anatomia comparata avevano dimostrato, su base istologica, la somiglianza di territori del nostro sistema nervoso centrale con la struttura del tessuto encefalico di altre specie[3]. In particolare, ad alcune parti dell’encefalo, con un’organizzazione più semplice e corrispondente a quella dell’organo omologo di specie filogeneticamente molto primitive, si diede il nome di archiencefalo. Altre parti, simili a quelle presenti in specie meno evolute della nostra, ma più prossime, furono indicate come paleoencefalo, e, infine, strutture apparentemente esclusive dei mammiferi, meritarono il nome di neoencefalo. Specificamente, la neocorteccia, in gran parte responsabile di quello straordinario sviluppo dell’encefalo che J. B. S. Haldane definì “la più rapida trasformazione evolutiva conosciuta”, fu ritenuta esclusiva e distintiva dell’uomo. Poiché il pensiero, il ragionamento, la memoria cognitiva e la capacità di soluzione dei problemi, sembravano correlati e proporzionati allo sviluppo filogeneticamente recente del manto cerebrale, si ritenne che questi processi fossero mediati esclusivamente dalla neocorteccia e non dalla paleocorteccia o da altre aree paleoencefaliche come quelle limbiche, alle quali si attribuì l’esclusiva mediazione di processi equivalenti alla reazione animale di attacco-fuga (fight or flight reaction). Così, si giunge alla localizzazione dicotomica della ragione-cognizione nella neocorteccia e delle emozioni nel sistema limbico.
Una tale visione della fisiologia cerebrale è certamente una semplificazione ingenua e insostenibile alla luce delle conoscenze attuali, tuttavia l’esistenza di una prevalenza funzionale nell’elaborazione delle due categorie di stimoli, appare giustificata da una mole considerevole di risultati sperimentali, oltre che dalla coerenza con la logica evoluzionistica. Ciò che risulta insoddisfacente è la nozione di sistema limbico: quali formazioni vi prendono sicuramente parte e quali ne sono sicuramente escluse? Dopo mezzo secolo di dibattiti, non vi sono ancora opinioni concordi e criteri unanimemente accettati.
Secondo la definizione iniziale di questo sistema delle emozioni, l’ippocampo doveva costituirne il centro[4]; eppure, già negli anni Cinquanta, si accertò che una sua lesione provocava gravi deficit in una funzione eminentemente cognitiva come la memoria dichiarativa. Successivamente, si scoprì che in vertebrati non mammiferi esisteva, sebbene in una forma rudimentale, un equivalente del tessuto neocorticale, così mettendo in crisi il fondamento morfologico per il criterio filogenetico di distinzione funzionale neo/paleo corteccia. Su questa base, alcuni studiosi avevano proposto l’abbandono della nozione[5].
Le prove a favore dell’importanza di alcune aree del sistema limbico come correlati neurofunzionali delle emozioni, e delle aree corticali prefrontali nella cognizione cosciente, sono inoppugnabili, così come è inconfutabile l’efficacia inibitrice dell’attività corticale, indotta da intenso impegno cognitivo cosciente, sulle aree sottocorticali mediatrici delle emozioni.
Attualmente, anche se le incertezze nella definizione delle emozioni come oggetto di studio scientifico e la conseguente difficoltà di delimitare il campo da quelli riguardanti le basi neurali, rispettivamente, degli affetti e della cognizione, hanno creato non pochi problemi ai ricercatori, alcuni punti fermi sono stati raggiunti. Ad esempio, nessuno mette più in discussione l’importanza dell’amigdala, in particolare, nella mediazione dello stato somatopsichico della paura e dell’apprendimento condizionato legato a questa emozione.
L’amigdala, o corpo nucleare amigdaloideo, è una formazione grigia della profondità dorso-mediale del lobo temporale, costituita da una dozzina di piccoli nuclei raggruppati in tre comparti funzionali, che nell’insieme hanno importanza per l’apprendimento e l’espressione di emozioni e di altri aspetti qualitativi del vissuto, implicanti una gamma di schemi effettori viscerali diversi[6].
All’amigdala giungono informazioni sul mondo esterno dal talamo e dalla corteccia, che raggiungono il raggruppamento laterale (nucleo laterale o amigdala laterale o AL), che funge da area afferente e interpreta i dati in ingresso al fine di rilevare un eventuale pericolo. Se AL rileva un pericolo o un elemento che merita allerta, lo segnala al comparto centrale (amigdala centrale o AC), che avvia le risposte periferiche[7]. Dal talamo sensoriale si diparte una via diretta all’amigdala, detta anche via bassa, veloce ma imprecisa, ed una via indiretta, o via alta, che passa per la corteccia sensoriale ed è lenta ma precisa.
Questo schema funzionale, implicato in innumerevoli lavori condotti sui roditori, si è ipotizzato fosse anche alla base del ruolo dell’amigdala nella paura umana, sebbene non vi siano state prove decisive fino al 1995, quando furono pubblicati due studi sugli effetti di lesioni cerebrali sull’apprendimento condizionato della paura negli esseri umani. Successivamente, vi furono altri due importanti lavori, condotti mediante fMRI, che mostrarono una netta attivazione dell’amigdala umana nell’apprendimento della paura[8]. Nei quindici anni successivi le conferme sono state numerose e significative.
Tanto premesso, si comprende perché abbia fatto scalpore la comunicazione, giunta alla nostra società, della prossima pubblicazione su Nature Neuroscience di uno studio condotto su tre pazienti con lesioni dei nuclei amigdaloidei di entrambi i lati, nei quali è stato possibile indurre l’emozione della paura mediante un metodo sperimentale che si ritiene agisca proprio su questa formazione telencefalica (Feinstein J. S., et al., Fear and Panic in humans with bilateral amygdala damage. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3323], 2013).
La provenienza degli autori dello
studio è la seguente: Department of Psychiatry, Department of Neurology, Department
of Molecular Physiology and Biophysics, Department of Psychology, Department of
Neurosurgery, Department of Internal Medicine, University of Iowa, Iowa City
(USA); Department of Psychiatry, University of Bonn (Germania); Howard Hughes
Medical Institute, Chevy Chase, Maryland (USA).
Lo studio dei tre pazienti pervenuti all’osservazione di Justin S. Feinstein e colleghi, come abbiamo già notato, sembra contraddire quanto emerso da decenni di ricerca, ossia il ruolo imprescindibile dell’amigdala nel determinarsi dello stato emotivo della paura.
Tutti e tre i pazienti presentavano la rara evenienza di una lesione bilaterale delle amigdale destra e sinistra. I ricercatori li hanno sottoposti ad un test che genera paura in soggetti integri, ma non nei portatori di lesioni amigdaloidee, per verificare la già rilevata importanza dei neuroni di questa formazione grigia nella genesi di particolari risposte emozionali.
I neuroni dell’amigdala esprimono un tipo di canali ionici che fungono da sensori dell’acido, detti ASIC1a (da acid sensing ion channel 1a), i quali sono attivati in vitro dalla caduta del pH e si ritiene siano importanti nei meccanismi molecolari che hanno luogo nelle reazioni di paura. L’inalazione di CO2 si è dimostrata in grado di ridurre i valori del pH nell’encefalo di topi sottoposti ad esperimento, e generare in loro il comportamento tipico della paura. Ricordiamo che, la riduzione del pH per microiniezione diretta nell’amigdala, riproduce gli effetti della CO2. Su questa base, l’induzione della paura da ipercapnia (eccesso di CO2) è stata sperimentata in volontari umani, ed è attualmente entrata nella routine di questo genere di studi.
Il test impiegato da Feinstein e colleghi è consistito nel sottoporre all’inalazione di CO2 al 35%, i tre pazienti con danno bilaterale del complesso nucleare che media le reazioni e l’apprendimento della paura. Contrariamente alle attese, l’azione del biossido di carbonio sul loro cervello, non solo ha innescato una intensa esperienza di paura, ma anche indotto lo sviluppo di attacchi di panico.
Se il valore di questi tre casi sarà ritenuto significativo, si potrà affermare che l’amigdala non è necessaria nell’uomo per lo sviluppo della paura, ma anche per una forma grave, acuta e tendenzialmente recidivante di sintomatologia dello spettro dell’ansia, quale è il disturbo da attacchi di panico. Una tale nozione sarebbe certamente una cattiva notizia per tutti i ricercatori che stanno faticosamente componendo il puzzle dei circuiti dello stress, della paura e dell’ansia, perché metterebbe in discussione alcuni punti fermi su cui si sta basando la ricerca corrente.
Naturalmente, si potrebbe tentare di elaborare spiegazioni di questo risultato non incompatibili con il modello attuale del ruolo dell’amigdala nella paura umana, magari riconoscendo una differenza fra l’induzione interna (da CO2) e l’evocazione naturale da stimoli esterni; ma, in attesa di conferme o smentite sperimentali, si può di certo affermare che, ancora una volta, il cervello ci pone di fronte ad una complessità difficile da decifrare.
L’autore della nota ringrazia il
presidente della SNN-BM&L-Italia, dalla cui recente relazione
sull’argomento (Firenze, 9 febbraio 2013) ha estratto gran parte degli elementi
riportati, e invita alla lettura delle numerosissime recensioni di lavori di
argomento connesso (a cominciare da quello contestualmente pubblicato questa
settimana) che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno
nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Le Doux J., Il Sé sinaptico, p. 278, Cortina, Milano 2002.
[2] Costituito dal giro del cingolo (o circonvoluzione del corpo calloso) e dal giro paraippocampico (o circonvoluzione dell’ippocampo): la sua precisa definizione si deve a Paul Broca, che paragonò questo ovale ad una racchetta da tennis, il cui manico sarebbe rappresentato dal tratto olfattivo (per maggiori dettagli vedi la voce “lobo limbico” nella rubrica “alfabeta” di questo sito).
[3] Fu addirittura proposto un modello del nostro cervello basato sulla stratificazione di tre cervelli animali, ciascuno dei quali si presumeva emblematico di una tappa della filogenesi. La classificazione evoluzionistica degli animali in Ittiopsidi (pesci), Sauropsidi (rettili, uccelli) e Teriopsidi (mammiferi), implicava rapporti fra epoche e grado di evoluzione, ma l’osservazione scientifica non disponeva di dati che consentissero di porre i fenotipi di classi tanto distanti di animali su una stessa linea evolutiva culminante nel cervello dell’uomo, che avrebbe riassunto in sé tutti i percorsi, anche collaterali, dell’adattamento.
[4] Ad onor del vero, bisogna ricordare che Paul McLean dava estrema importanza all’amigdala ed alle sue connessioni in un’ottica di “cervello viscerale”, ritenendo, sia pur erroneamente, che l’ippocampo fosse attivato indirettamente dai nuclei del setto (inclusi nel “sistema limbico”), tramite quei tratti mediani storicamente indicati col nome di “nervi di Lancisi” (McLean P., Psychosomatic disease and the visceral brain. Psychosom Med 11: 338, 1949).
[5] Fra questi studiosi vi è Joseph Le Doux, che riconosce ad alcuni nuclei dell’amigdala e alle loro connessioni, l’assoluta centralità nel ruolo di base biologica del comportamento emotivo. Non bisogna però dimenticare l’utile ruolo di “ponte concettuale” che ha avuto nel tempo della nozione di “sistema limbico”: infatti, prima che fosse introdotta, l’amigdala e tutte le altre formazioni implicate nelle risposte emozionali, si consideravano parte del “Rinencefalo”, implicitamente associate alla funzione olfattiva (per una discussione approfondita di “nozione di lobo limbico e concetto di cervello emotivo” si rinviano i soci alla comunicazione del Presidente, dello scorso 9 febbraio, per conto di Fenstein e coll.: “Lesioni bilaterali dell’amigdala non hanno impedito l’insorgenza di paura e panico da CO2” ).
[6] Per una migliore descrizione anatomo-funzionale dell’amigdala si veda in “Note e Notizie 09-02-13 Nuovo modello da un circuito della paura nell’amigdala centrale”; per approfondimenti si cerchi fra gli oltre 100 scritti che ne trattano aspetti relativi a nuove acquisizioni o la citano in relazione allo studio di basi neurali di funzioni psichiche (digitare “amigdala” nella pagina “CERCA” del sito).
[7] Genesi del freezing, attraverso i nuclei grigi centrali, aumento della pressione sanguigna, per attivazione dell’ipotalamo laterale, rilascio di ormoni dal nucleo paraventricolare dell’ipotalamo.
[8] Il primo di Le Doux, La Bar e Phelps (Neuron 20, 937-945, 1998); il secondo di Morris, Öhman e Dolan (Nature 393, 467-470, 1998).