Cause ereditate di autismo: due nuove ricerche

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 09 febbraio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il disturbo autistico fu descritto per la prima volta da Leo Kanner nel 1943 e, dopo un anno, da Hans Asperger. A distanza di settanta anni, la diagnosi è ancora largamente basata su criteri clinici, quali i difetti di interazione sociale e comunicativa, e la restrizione dell’interesse a specifici oggetti, accompagnata da comportamenti stereotipati[1].

La scorsa settimana, in Nuovi elementi sulla connettività nei disturbi autistici[2], Nicole Cardon ha così ribadito l’eterogeneità eziopatogenetica dei disturbi dello spettro dell’autismo: “Le sindromi caratterizzate dai sintomi clinici dell’autismo infantile sono correttamente descritte come disturbi pervasivi dello sviluppo neuroevolutivo, ma non costituiscono una categoria omogenea e, molto probabilmente, come sostenuto da sempre dalla nostra scuola neuroscientifica, includono di fatto entità patologiche diverse. Per questa ragione, molti ricercatori ritengono che la diagnosi per tutti i disturbi dello spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum disorders) non dovrebbe più essere considerata “categoriale”, ma “dimensionale”, così da riflettere questa eterogeneità eziopatogenetica”. La molteplicità di cause che, naturalmente, prevede percorsi inizialmente diversi per lo sviluppo degli stessi sintomi, include anche cause ereditate di sindromi autistiche.

Varie regioni genomiche su diversi cromosomi sono state correlate con lo sviluppo del disturbo: particolarmente interessanti sono apparse le mutazioni in due geni sul cromosoma X in due coppie di fratelli affetti da autismo o da sindrome di Asperger. Questi geni codificano neuroligine, proteine post-sinaptiche di adesione cellulare, importanti nella formazione delle sinapsi. Questo dato ha notevolmente attratto l’attenzione, perché tali geni sono associati al cromosoma X e, dunque, consentirebbero di spiegare la maggiore incidenza nel sesso maschile.

Oltre alle convenzionali mutazioni in singoli geni, nell’autismo sembra avere notevole importanza il meccanismo CNV (copy number variation), che descrive delezioni e duplicazioni genomiche di parti di un cromosoma, implicanti fino a 100 geni consecutivi. Questo meccanismo, apprezzato come una significativa fonte di variazione nella nostra specie, può avere anche le conseguenze negative del disturbo autistico. Sebbene le varianti prodotte con il meccanismo CNV siano quasi sempre ereditate, studi recenti suggeriscono che un 10% degli autistici sia portatore di varianti de novo, perciò assenti in entrambi i genitori. La responsabilità causale di un meccanismo come il CNV potrebbe da sola renderci conto della grande difficoltà nell’identificazione di geni di suscettibilità per l’autismo.

La ricerca in questo campo, almeno rispetto alle aspettative nutrite dai genitori dei bambini affetti, dalle coppie che si reputano a rischio, dai clinici e dai riabilitatori, sembra procedere a rilento. Tuttavia, periodicamente, lavori di ampio raggio realizzati con una vasta partecipazione, determinano delle accelerazioni, che fungono anche da incentivo e riferimento per i gruppi di ricerca più isolati e di minori dimensioni, ma costantemente e specificamente dedicati a questo campo di indagine. Qui di seguito si presentano i risultati di due di questi grandi studi, pubblicati entrambi sulla rivista Neuron, e frutto di progetti di ricerca fra loro correlati, che hanno visto nel complesso la partecipazione di 55 istituzioni scientifiche e cliniche.

Entrambe le ricerche hanno impiegato il sistema di sequenziamento WES (whole exome sequencing) ed hanno identificato mutazioni recessive o emizigotiche nell’autismo.

In particolare, Timothy W. Yu e numerosissimi altri ricercatori provenienti da 31 diversi istituti sparsi in tutto il mondo, hanno trovato mutazioni in un’ampia gamma di geni implicati nella funzione sinaptica e in vie neurometaboliche (Yu T. W., et al., Using Whole-Exome Sequencing to Identify Inherited Causes of Autism. Neuron 77 (2), 259-273, 2013).

Dei 31 istituti di provenienza degli autori dello studio, indichiamo i seguenti: The Autism Consortium, Boston, MA (USA); Division of Genetics, Department of Medicine, Boston Children’s Hospital, Boston, MA (USA); Manton Center for Orphan Disease Research, and Howard Hughes Medical Institute, Boston Children’s Hospital, Boston, MA (USA); Department of Human Genetics and Pediatrics, McGill University, Montreal Children’s Hospital Research Institute, Montreal, QC (Canada); Academic Unit of Child Psychiatry South West Sidney (AUCS), University of New South Wales, Sydney (Australia); Kwait Center for Autism, Kwait City (Kwait).

A dispetto delle note evidenze di ereditabilità dei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD), la loro estrema eterogeneità genetica ha messo a dura prova le abilità dei ricercatori nell’identificare alterazioni geniche sicuramente responsabili. Yu e colleghi fanno notare che vari studi precedenti hanno implicato mutazioni puntiformi e de novo copy number changes, ma non sono stati disegnati in maniera ottimale per identificare alleli di rischio ereditati. In questo studio, applicando il metodo WES a famiglie ASD, in cui la probabilità di cause ereditarie era accresciuta dalla consanguineità, sono stati trovati disturbi dello spettro dell’autismo familiari associati con mutazioni bialleliche nei seguenti geni della malattia: AMT, PEX7, SYNE1, VPS13B, PAH e POMGNT1.

Alcuni di questi geni hanno fatto rilevare mutazioni bialleliche in famiglie prive di consanguineità. Queste mutazioni sono solo parzialmente disabilitanti o presenti in condizioni atipiche, con pazienti mancanti degli elementi diagnostici dei disturbi mendeliani ai quali sono associati tali geni.

Il lavoro, oltre ad aver dimostrato l’utilità della procedura WES per l’identificazione di stati genetici non sospettabili solo in base a dati clinici, ha messo bene in evidenza l’importanza della perdita parziale di funzione genica nei disturbi autistici.

Il secondo studio, condotto da Elaine T. Lim e numerosi colleghi provenienti da 24 istituti statunitensi, ha caratterizzato il ruolo di rari e completi knockouts genetici ed ha consentito di stimare che il 5% dei casi di sindromi dello spettro dell’autismo complessivamente diagnosticate, può riconoscere in tali alleli una componente causale significativa (Lim E. T., et al., Rare Complete Knockouts in Humans: Population Distribution and Significant Role in Autism Spectrum Disorders. Neuron 77 (2), 235-242, 2013).

Dei 24 istituti di provenienza degli autori dello studio, indichiamo i seguenti: Analytic and Translational Genetics Unit, Massachusetts General Hospital, Boston, MA (USA); Department of Molecular Biology, Massachusetts General Hospital, Boston, MA (USA); Psychiatric and Neurodevelopmental Genetics Unit, Massachusetts General Hospital, Boston, MA (USA); Program in Medical and Population Genetics, Broad Institute, Cambridge, MA (USA); Department of Genetics and Medicine, Harvard Medical School, Boston, MA (USA).

Per caratterizzare il ruolo dei rari knockouts umani completi nei disturbi dello spettro dell’autismo, Lim e colleghi hanno identificato geni con varianti omozigotiche o eterozigotiche composte con perdita di funzione (LoF), dal WES di 933 casi e 869 controlli.

I ricercatori hanno identificato un incremento di 2 volte nei knockouts completi di geni autosomici con basso tasso di variazione LoF (frequenza ≤ 5%) nei casi ed hanno stimato al 3% il contributo al rischio di ASD di questi eventi, confermando questa osservazione in un set indipendente di 563 probandi e 4.605 controlli. Fuori delle regioni pseudoautosomiche del cromosoma X, è stato rilevato un significativo aumento di 1.5 volte in rari knockouts omozigotici nei maschi, contribuenti per un altro 2% di ASD nel sesso maschile.

Nel complesso, i risultati di questo studio forniscono evidenze che i rari knockouts genici completi autosomici e del cromosoma X, sono importanti fattori di rischio ereditati per i disturbi dello spettro dell’autismo.

 

L’autore della nota ringrazia il presidente della Società, con il quale ha discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Roberto Colonna

BM&L-09 febbraio 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si tenga conto che, a fronte di una maggioranza di bambini affetti che presenta un grave ritardo di sviluppo del linguaggio, cui si aggiungono alterazioni qualitative dell’eloquio in corso di sviluppo, una frazione variabile di bambini con sintomi autistici non presenta ritardo di sviluppo nell’apprendimento linguistico, e fa registrare presto un alto grado di abilità verbali. Questi casi sono in genere etichettati come sindrome di Asperger, ma il DSM-5 ha abolito questa categoria, per cui in futuro saranno considerati “autistici lievi”. Per la nostra opinione al riguardo si vedano le note di recensione del DSM-5.

[2] Note e Notizie 02-02-13 Nuovi elementi sulla connettività nei disturbi autistici.