Scimmie sintonizzate su ritmi espressivi simili a quelli verbali
DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 02 febbraio 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
È nozione comune che la parola non è che uno dei codici a nostra disposizione per comunicare, e che il linguaggio del corpo, dalla postura alla mimica facciale e gestuale, oltre ad integrare i messaggi verbali, può svolgere una funzione di canale indipendente e, in qualche caso, esclusivo. Lo studio in chiave evoluzionistica ha evidenziato la possibilità per espressioni, modi e gesti con valore analogico, allusivo o propriamente simbolico, di un ruolo di precursori delle unità comunicative impiegate dai linguaggi verbali. Se tale ipotesi ha un fondamento filogenetico, allora dovrebbe essere possibile rintracciare prove di una struttura funzionale comune, fra forme di comunicazione verbale e non-verbale, in primati sub-umani come le scimmie.
Asif A. Ghazanfar, Ryan J. Morril e Christoph Kayser hanno condotto un interessante studio dal quale è
emerso che i processi percettivi nelle scimmie, così come negli esseri umani,
sono sintonizzati sulle frequenze naturali dei segnali di comunicazione (Ghazanfar A. A., et
al., Monkeys are perceptually
tuned to facial expressions that exhibit a theta-like speech rhythm. Proceedings of the National Academy
of Science USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1214956110],
2013).
La provenienza
degli autori dello studio è la seguente: Neuroscience
Institute, Departments of Psychology and Ecology and Evolutionary Biology,
Princeton University, Princeton (NJ, USA); Max Plank Institute for Biological
Cybernetics, Tuebingen (Germania); Institute of
Neuroscience and Psychology, University of Glasgow (Regno
Unito).
A proposito delle basi neurali della capacità umana di comunicare mediante una lingua verbale, ricordiamo che al primo modello elaborato dal neurologo tedesco Karl Wernicke che, basandosi sulla sua scoperta della sede della lesione dell’afasia recettiva aveva distinto un’area corticale posteriore per la comprensione della parola udita (area di Wernicke) e una anteriore per l’effettiva abilità motoria del parlare (area di Broca)[1], seguì negli anni Sessanta del Novecento il modello detto di Wernicke-Geschwind, in cui si assumeva che il fascicolo arcuato[2] trasmettesse l’informazione dall’area recettiva di Wernicke a quella motoria di Broca. Sebbene questo schema di fondo sia considerato sostanzialmente ancora valido, gli studi recenti hanno evidenziato un’organizzazione molto più articolata e complessa del controllo cerebrale delle funzioni di comunicazione, alla quale partecipano numerose aree corticali e centri sottocorticali, schematicamente riportabili a tre reti o sistemi specializzati ed interagenti, secondo la descrizione di Hanna ed Antonio Damasio (1. implementation system; 2. mediational system; 3. conceptual system). E’ interessante notare che la ricerca ha stabilito un profilo funzionale diverso per le singole aree; in particolare, circa la loro specializzazione, possiamo dire che sembra consistere in paradigmi di processi necessari a varie macrofunzioni fisiologiche. Ad esempio, nell’area di Broca, ritenuta sede esclusiva dell’organizzazione motoria corticale necessaria alla produzione verbale, si è rinvenuta una rappresentazione delle mani, fatto che suggerisce un intervento nell’esecuzione di particolari movimenti. Si rileva, infine, che in base ad evidenze sperimentali è stato ipotizzato che il compito dell’area di Broca consista nell’assemblare ed integrare unità elementari di memoria corrispondenti ad atti motori semplici alla base di azioni complesse[3]. E’ certo, ormai, che abilità motorie e comunicative sono molto più strettamente interconnesse di quanto si ritenesse in un passato anche recente.
Il linguaggio verbale umano presenta universalmente un ritmo caratterizzato da una frequenza che va da 3 ad 8 Hz, corrispondente alla frequenza di produzione delle sillabe, che è rispecchiata sia dalla configurazione grafica dell’onda sonora che dall’aspetto visivo dei movimenti della bocca. Perturbazioni artificiali del ritmo dell’eloquio che lo portino fuori del range naturale, riducono l’intelligibilità del linguaggio, dimostrando l’esistenza di una sintonia percettiva per la banda fisiologica.
In altri termini, esiste un intervallo di frequenze adeguate per la decodifica percettiva, che corrisponde a quello della trasmissione naturale in tutte le lingue parlate dall’uomo.
Una teoria sostiene che i movimenti della bocca all’origine di questo ritmo si sono evoluti attraverso le modificazioni di espressioni facciali di primati ancestrali. Evidenze recenti mostrano che una di queste espressioni comunicative tipiche dei macachi, consistente in uno schiocco delle labbra (lip-smacking), ha un parallelo motorio con il nostro linguaggio verbale, nella sua ritmicità, nella sua traiettoria di sviluppo e nella coordinazione delle strutture del tratto vocale. Non era finora stato stabilito, però, se queste scimmie presentino una sintonia percettiva connessa all’ascolto di questo lip-smacking.
Ghazanfar, Morril e Kayser, per sottoporre a verifica l’esistenza di una tale sintonia, che avrebbe consentito di ipotizzare un vero e proprio processo specifico di trasmissione/recezione, hanno indagato nel macaco rhesus (Macaca mulatta)[4] impiegando scimmie-avatar generate da computer, ed hanno esplorato le reazioni al lip-smacking fisiologico e a forme alterate per aumento o riduzione di frequenza. Il paradigma sperimentale adottato è quello basato sulla preferenza espressa dalla fissazione dello sguardo con il mantenimento dell’attenzione (preferential looking procedure) fra elementi in concorrenza: i ricercatori hanno valutato la scelta preferenziale mediante la misurazione della durata temporale dello sguardo per ciascuna di due scimmie-avatar che apparivano fianco a fianco sullo schermo posto di fronte a ciascun macaco. All’avatar che effettuava il lip-smacking secondo le caratteristiche di tipologia e frequenza naturale, era accostato un avatar che eseguiva esattamente la stessa performance ma con un ritmo più basso o più alto, secondo una gamma non naturale predefinita dai ricercatori.
Complessivamente le scimmie hanno mostrato una definita preferenza per il ritmo naturale rispetto alle frequenze artificiali, fornendo così sostegno all’ipotesi secondo cui i processi percettivi delle espressioni comunicative delle scimmie presentano lo stesso tipo di sintonia di quelli umani che consentono la comprensione della parola.
Come commento di questa recensione, appare quanto mai appropriata la seguente citazione da una relazione del presidente della nostra Società:
“Il quadro che va componendosi, sulla base
delle interpretazioni che ricollegano i dati esposti, sembra supportare la
cosiddetta teoria dell’evoluzione gestuale del linguaggio che postula
all’origine della capacità umana di impiegare un codice di comunicazione,
l’iniziale sviluppo di un sistema di gesti emblematici, analogici e simbolici,
che successivamente e progressivamente si sarebbe convertito in un sistema di
suoni vocali modulati con intenzione significativa”[5].
In conclusione, ad onor del vero, vogliamo precisare che, se il nostro presidente così efficacemente riassumeva il senso della teoria dell’evoluzione gestuale del linguaggio, non è sua opinione, né nostra, che le cose siano andate esattamente in questo modo nel corso della filogenesi: la nostra scuola neuroscientifica propende per un’evoluzione complessiva, in cui difficilmente abilità gestuali e vocali possono essere così nettamente separate, come se si fossero evolute in forma segregata e se ne potesse riconoscere una definita successione temporale. Un tale modo di concepire l’evoluzione, fortemente rappresentato nell’ambito della paleontologia, risente di un vecchio modo di considerare le funzioni psichiche, come se fossero separate da tutto il resto dell’organismo e separate fra loro: secondo questa visione, una scimmia che parla è sostanzialmente un uomo, così come un qualsiasi animale cui si potesse conferire abilità di ragione, come se si prendesse alla lettera l’antica definizione di “animale ragionevole”.
Gli autori della nota invitano alla
lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle
“Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Nel !861 Pierre Paul Broca comunicò alla Società di Antropologia di Parigi la scoperta della causa dell’afasia motoria in una lesione della corteccia cerebrale localizzata esattamente al piede della terza circonvoluzione frontale di sinistra, parte opercolare del giro frontale inferiore (corrispondente all’area 44 dei campi citoarchitettonici di Brodmann), in un suo paziente, Leborgne, sopraanominato “Tan” o “Tan-tan” perché in grado di ripetere solo questo monosillabo.
[2] Successivamente si è scoperta la bi-direzionalità del flusso informativo lungo il fascio arcuato e, in tempi recenti, Marco Catani e colleghi hanno identificato una via indiretta di collegamento fra aree posteriori ed anteriori.
[3] Note e Notizie 10-12-11 Area di Broca del linguaggio per apprendere sequenze motorie. Si veda anche in “Note e Notizie 14-05-11 Danza terapeutica nel Parkinson e in altre malattie degenerative (Sesta Parte)”.
[4] Ricordiamo che il macaco rhesus, fra le scimmie meglio conosciute e più studiate, dal cui nome viene la definizione dell’antigene Rh che consente di distinguere il sangue umano in Rh positivo e negativo, fu così denominato dal naturalista francese Jean Baptiste Audebert, il quale negò di essersi ispirato al mitico re Rhesos.
[5] Note e Notizie
14-05-11 Danza terapeutica nel Parkinson e in altre malattie degenerative (Sesta Parte). Per lo stretto rapporto fra questi campi di studio, si consiglia di leggere
tutto il testo diviso in sette parti e pubblicato settimanalmente, dal 2 di
aprile 2011, al 21 di maggio 2011 (settima ed ultima parte). Il testo è la
sintesi della trascrizione di una relazione tenuta dal Presidente della Società
Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, nel quadro di
una sessione di aggiornamento del gruppo di studio di BM&L sulla neurofisiologia
del movimento, giovedì 24 marzo 2011, ad un incontro dal titolo: “Le basi
neurali della danza e dei suoi effetti sul movimento patologico”. L’inizio
dello studio di questo argomento risale al settembre 2008 (si veda la nota: Note e Notizie 13-09-08 BM&L e la
neurofisiologia della danza).