Fisiologia delle proiezioni cortico-corticali della corteccia visiva

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 19 gennaio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Gran parte della nostra vita quotidiana, intesa come esperienza ed attività, si basa sulla percezione visiva, e la cognizione di tutto ciò che vediamo, posta in relazione con tutto ciò che abbiamo visto e pensato, rappresenta una parte importante della nostra vita mentale. La stessa dimensione immaginaria, necessaria per attività psichiche che vanno dalla fantasia alla creatività, passando per l’intelligenza adattativa, deriva da schemi di attività cerebrale verosimilmente originati nella filogenesi e nell’ontogenesi dall’elaborazione di percezioni visive. Si comprende, perciò, l’importanza della conoscenza dei processi cerebrali della visione per la comprensione delle basi biologiche della mente.

Le popolazioni di cellule nervose delle aree sensoriali primarie della corteccia cerebrale presentano una gamma ricca e varia di proprietà di risposta, mentre le aree sensoriali preposte all’elaborazione di più alto livello, verosimilmente per effetto della loro specializzazione, fanno registrare una gamma molto più limitata. Ad esempio, la sintonizzazione dell’attività elettrica dei neuroni dei territori corticali visivi deputati alla codifica di singoli caratteri relativi alla forma, al colore o al movimento di una scena, è molto meno varia di quella delle cellule nervose dell’area visiva primaria (area V1 o area 17 della topografia di Brodmann) che codifica tutte le informazioni provenienti dall’occhio, tanto da aver meritato il soprannome di “retina corticale”.

La spiegazione di questa differenza sulla base della specializzazione funzionale non è ancora suffragata dalla conoscenza del modo in cui ciò possa avvenire; in altri termini, si cerca risposta al quesito: quali sono i processi e i meccanismi che fanno funzionare in modo tanto diverso la prima delle aree visive da tutte le altre?

La maggior parte dei ricercatori ritiene che la chiave sia nella definizione degli elementi alla base della specificità delle connessioni: la connettività può essere importante per la specializzazione di ruolo dei singoli territori corticali, particolarmente nel topo, in cui la diversità funzionale è evidente già nei neuroni che circondano le aree primarie.

Lindsey L. Glickfeld e colleghi del Department of Neurobiology della Harvard Medical School di Boston, hanno impiegato la metodica di imaging bi-fotonico del calcio in topi svegli ed attivi, per misurare le risposte visive dei bottoni sinaptici formati dagli assoni dei neuroni di proiezione di V1, con le cellule delle aree di più alta specializzazione neurofunzionale, ed hanno rilevato che la sintonia di questi terminali corrispondeva alla preferenza delle aree riceventi (Glickfeld L. L., et al. Cortico-cortical projections in mouse visual cortex are functionally target specific. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3300], 2013).

Ricordiamo brevemente, a beneficio del lettore non specialista, l’origine e il criterio della denominazione delle aree della corteccia cerebrale.

Korbinian Brodmann, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, realizzò una mappa topografica della corteccia, distinguendo su base istologica esattamente 100 aree, che contraddistinse con numeri progressivi dall’1 al 100. Questo straordinario lavoro, che si era avvalso di osservazioni precedenti ed era stato condotto con l’apporto di altri anatomisti, si era basato unicamente su criteri morfologici, nell’ipotesi che i caratteri morfostrutturali e citoarchitettonici avessero una precisa corrispondenza funzionale, cosa che si è rivelata vera solo in alcuni casi. Ad esempio, l’area visiva primaria individuata attualmente sulla base del criterio funzionale e denominata con la sigla V1, corrisponde al territorio della corteccia calcarina del lobo occipitale contraddistinto da Brodmann con il numero 17, e l’area visiva secondaria, o V2, situata in territorio extrastriato, coincide con l’area 18 della topografia istologica. L’area 19, invece, pur essendo morfologicamente omogenea, contiene vari territori funzionalmente distinti e specializzati per caratteri diversi della visione.

Complessivamente, all’incirca la metà della superficie degli emisferi cerebrali partecipa all’elaborazione della percezione visiva mediante distinte aree funzionali, il cui numero è di 30 nel macaco e si stima sia dello stesso ordine di grandezza nell’uomo, verosimilmente con qualche unità in più (ne sono state descritte 32)[1]. Le aree visive possono essere differenziate secondo due criteri: a) la loro rappresentazione dello spazio visivo, ossia della mappa retinotopica o visuotopica; b) le proprietà funzionali delle popolazioni neuroniche che le costituiscono. Studi basati su queste due caratteristiche hanno rivelato che le aree visive sono organizzate secondo due vie gerarchiche: 1) una via ventrale specializzata nel riconoscimento dell’oggetto e 2) una via dorsale che impiega l’informazione visiva per guidare il movimento.

Glickfeld, Reid, Anderman e Bonin, per verificare se l’input assonico inviato dall’area visiva primaria alle altre aree specializzate nell’elaborazione dei singoli caratteri è funzionalmente specifico, hanno misurato mediante two-photon calcium imaging l’attività delle arborizzazioni telodendriche degli assoni di V1 in tre aree con distinte preferenze di frequenza spaziale e temporale. L’osservazione sperimentale ha mostrato che le preferenze visive dei bottoni presinaptici, in ciascuna area, erano fra loro differenti e corrispondevano alle preferenze medie dei neuroni post-sinaptici, ossia delle cellule riceventi l’input. Una verifica accurata, condotta dai ricercatori, ha dimostrato che tale specificità non poteva essere spiegata dall’organizzazione interna di V1 ed era invece dovuta ad una maggiore densità e ad una maggiore ampiezza di risposta in bottoni sinaptici funzionalmente uniformi. Le fibre di proiezione provenienti da un singolo strato della corteccia, ossia la lamina V (layer 5), e dalla corteccia visiva secondaria, presentavano un’attività neurotrasmissiva coerente con quella dei neuroni delle aree-bersaglio.

I dati, nel loro complesso, suggeriscono che la segregazione inter-area dei singoli caratteri in cui sono scomposti gli stimoli visivi per la loro elaborazione separata, si verifica attraverso un processo di ripartizione dei flussi guidato dal target, mentre l’informazione visiva ascende verso i livelli più elevati nell’organizzazione dei processi corticali.

Se i risultati di questo studio saranno confermati, si potrà dedurre che la trasmissione di un’informazione univoca e specifica ai territori a valle, costituisce un aspetto fondamentale e generale della comunicazione nelle connessioni cortico-corticali.

 

L’autrice ringrazia il professor Giuseppe Perrella per la collaborazione alla stesura del testo e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Nicole Cardon

BM&L-19 gennaio 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Soprattutto studi condotti mediante l’impiego della metodica di neuroimmagine basata sulla risonanza magnetica funzionale (fMRI, functional magnetic resonance imaging), hanno consentito di stabilire omologie fisiologiche fra la corteccia cerebrale del macaco e dell’uomo, consentendo di traslare alla nostra realtà, su base induttivo-deduttiva, localizzazioni direttamente provate solo nella scimmia.