Attenzione spaziale umana studiata con un nuovo metodo   

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 19 gennaio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo studio di pazienti colpiti da ictus cerebrale con le moderne tecniche di analisi del rapporto fra quadro sintomatologico e caratteristiche di sede ed estensione delle lesioni, ha consentito straordinari progressi nella conoscenza della rappresentazione dell’attenzione spaziale nel cervello umano. Questo approccio, tuttavia, sembra aver esaurito le sue potenzialità informative, soprattutto in ragione di una, sia pur operativa, tendenza a considerare le aree danneggiate come sede delle funzioni compromesse.

L’approccio teorico neoconnessionista, che supporta gran parte della ricerca neurocognitiva e neuropsicologica, ritiene che alla base delle principali attività mentali e abilità cognitivo-strumentali studiate, vi sia l’interazione fra aree specializzate in singoli processi. Non è facile, però, applicare questa prospettiva allo studio di lesioni focali singole e multiple del sistema nervoso centrale, soprattutto perché mancando una conoscenza completa del “connettoma umano”, ossia del complesso delle connessioni cerebrali e del loro significato funzionale, non è facile ipotizzare i ruoli assoluti e reciproci dei singoli territori morfo-funzionali, e non è in genere possibile definire se una lesione costituisca la sede di un’ostruzione del flusso di informazioni proveniente da aree situate a monte, oppure indichi anatomicamente dove avvenivano i processi perduti (Perrella, 2003; 2013).

Con un approccio non ancora entrato nella procedura ordinaria per l’analisi delle lesioni cerebrali, Smith, Clithero, Rorden e Karnath, hanno studiato un nutrito campione di pazienti colpiti da ictus, ottenendo risultati di estremo interesse, che potrebbero contribuire ad aprire una nuova via in questo genere di indagini (Smith D. V., et al. Decoding the anatomical network of spatial attention. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1210126110], 2013).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Center of Neurology, Division of Neuropsychology, Hertie-Institute for Clinical Brain Research, University of Tuebingen (Germania); Department of Psychology and Neuroscience and Center for Cognitive Neuroscience, Duke University, Durham (USA); Department of Psychology, University of South Carolina, Columbia (USA).

I limiti, spesso inapparenti, nell’approccio allo studio della fisiologia cerebrale umana sono numerosi, come la nostra scuola neuroscientifica ha evidenziato da anni.

Nella ricerca sulle basi delle funzioni mentali, la maggior parte degli esperimenti verifica la maniera in cui il cervello risponde ad una richiesta attuale e temporanea proveniente dall’esterno, in tal modo presumendo un’angolazione visuale simile a quella che tradizionalmente si assume quando si studiano le risposte riflesse. Sebbene in tal modo si sia ottenuta una grande quantità di nuove informazioni, si è anche determinata assuefazione al trascurare la possibilità che le operazioni principali dell’encefalo umano siano quelle che costantemente e intrinsecamente regolano gli equilibri che consentono, fra le altre cose, la conservazione e il rimodellamento degli stati funzionali adatti ad interpretare, rispondere e prevedere stimoli, eventi e circostanze ambientali (Cfr. Perrella, 1993). Una vera e propria deformazione interpretativa, negli studi condotti mediante metodi di neuroimaging (PET e fMRI), si è andata affermando a partire dagli anni Ottanta e persiste ancora oggi: supponendo che l’esposizione ad uno stimolo risulti invariabilmente in un’attivazione delle aree esplorate, si ricavavano i dati sottraendo all’immagine dei cervelli “attivati” quella dei cervelli a riposo fungenti da controllo. Il decremento di attività non era preso in considerazione, al punto che nel 1998 i referees di una importante rivista bocciarono e respinsero un lavoro ottimamente condotto da Marcus E. Raichle e colleghi, perché non documentava presunte attivazioni ma evidenti riduzioni del segnale BOLD (Raichle, 2009).

La necessità di impiegare approcci diversi da quelli ordinari sembra più che mai richiesta ed utile, sia per verificare e comprendere meglio i dati finora ottenuti, vincendo l’assuefazione acritica al modulo interpretativo standard, sia per sviluppare nuovi criteri di indagine che ci avvicinino un po’ di più all’intricata realtà del più complesso ed impenetrabile dei sistemi conosciuti (Perrella, 2003; 2013).

L’approccio impiegato da Hans-Otto Karnath e colleghi, ossia la multivariate pattern analysis, non assume più l’esistenza di un contributo indipendente da parte delle singole regioni cerebrali, ma piuttosto quantifica il contributo congiunto di molte aree encefaliche presumibilmente agenti in concomitanza o in cooperazione nel determinare effetti fenomenicamente rilevabili come comportamento.

In un campione numeroso di pazienti colpiti da un evento cerebrovascolare acuto con danno d’organo (ictus o stroke), i ricercatori hanno rilevato patterns di danno più affidabilmente predittivi di negligenza spaziale (spatial neglect) della migliore delle analisi al singolo voxel condotte secondo il criterio tradizionale. Inoltre, la costruzione di modelli di simulazione basati su molte regioni cerebrali – quelle più frequentemente danneggiate e, cosa ancora più importante, quelle risparmiate – forniva informazioni più efficaci per la previsione clinica, della elaborazione di modelli basati su singole regioni.

Un altro elemento di grande interesse emerso da questo studio, riguarda il ruolo che singoli territori della superficie encefalica accessibile all’indagine possono assumere nel fornire indicazioni: l’aggiunta della circonvoluzione temporale superiore ad altre regioni ha dimostrato una rilevante capacità di migliorare la performance di classificazione, indicando che tale giro della corteccia presenta un potenziale informativo predittivo unico. In stridente contrasto, la performance di classificazione del giro angolare e della corteccia insulare (superficie corticale della cosiddetta Insula di Reil) era migliorata in modo evidente ed affidabile dall’aggiunta di altre regioni del cervello; fatto che indica la mancanza da parte di queste due aree di capacità predittiva indipendente per la negligenza spaziale.

I risultati di questo studio, per il cui dettaglio si raccomanda la lettura del testo dell’articolo originale, hanno evidenziato la grande utilità della multivariate pattern analysis nello studio topografico e funzionale delle lesioni cerebrali, soprattutto evidenziando le potenzialità di un approccio più vicino all’attuale concezione neurobiologica del cervello e in grado di impiegare i dati lesionali per indagare in modo efficace alcuni dei tanti aspetti oscuri del funzionamento dell’organo dal quale, più di ogni altro, dipende la nostra qualità umana e individuale.

 

L’autore invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-19 gennaio 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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