La nuova edizione dei Principles of
Neural Science di Kandel, Schwartz, Jessell, Siegelbaum e Hudspeth
GIUSEPPE PERRELLA
(Trascrizione
di Lorenzo L. Borgia)
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 24 novembre 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
TRASCRIZIONE DI UNA RELAZIONE ORALE]
Il presente testo è stato tratto dalla registrazione di una
relazione tenuta sabato 27 ottobre 2012 dal Presidente della Società Nazionale
di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, che ha recensito per i soci la quinta
edizione del testo, presentandone le caratteristiche generali e le principali
novità, e poi soffermando l’attenzione su alcuni argomenti la cui trattazione
nella IV edizione era stata oggetto di critiche anche severe da parte di
qualche membro della Commissione Scientifica di BM&L. In una premessa alla
relazione, il Presidente ha rivolto un particolare ringraziamento alla signora
Ilaria Berti della Feltrinelli International di Firenze per l’impegno profuso
nel seguire otto anni di rinvii editoriali e garantire la disponibilità del volume
alla Società in anticipo sulla data di uscita ufficiale. A questa prima
presentazione seguiranno recensioni critiche mirate su singoli oggetti della
trattazione, tenute dai membri della nostra Commissione Scientifica.
(Quinta
ed Ultima Parte)
La IX Parte, dedicata a “Linguaggio,
Pensiero, Affetto e Apprendimento”, si apre con una immagine fotografica di una
scultura lignea del XIII secolo dello scultore Kōshō, che ritrae il
monaco buddista Kūya mentre recita la preghiera detta nembutsu: le sei figurine di legno intagliato poste in fila e
sostenute da un filo metallico, che si vedono uscire dalla bocca del religioso,
rappresentano le sei sillabe della preghiera, simboleggianti la parola in grado
di veicolare concetti e farsi mezzo di illuminazione spirituale. E’ la sezione
del volume (capitoli 60-67, pp. 1347-1521) che, accanto ai capitoli su
linguaggio, processi mentali, memoria e apprendimento, contiene la trattazione
sistematica dei principali disturbi psichiatrici: la schizofrenia (cap. 62), i
disturbi dell’umore e dello spettro dell’ansia (63), l’autismo infantile ed
altri disturbi neuroevolutivi che interessano la cognizione.
L’intento lodevole di conferire omogeneità ad
una “materia della mente”, per dirla con Edelman, tradizionalmente scomposta in
argomenti sviluppati in seno a discipline diverse per metodologia, scopi e
riferimenti culturali, è evidente fin dall’immagine in esergo e bene espressa
nelle due pagine di introduzione, che presentano come fatto compiuto la sintesi
in una nuova scienza della mente di
neuroanatomia, neurofisiologia, neuroembriologia, neurobiologia cellulare e
molecolare, e scienze psicologiche della cognizione e di altri aspetti della
vita mentale.
Non posso nascondere la soddisfazione nel
rilevare che una prospettiva da me sempre sostenuta, ma fortemente osteggiata
negli ambienti accademici e clinici italiani, sia presentata dalla scuola
neuroscientifica della Columbia University come l’approdo attuale della neural science e modello presente e
futuro per lo studio scientifico della mente. Tuttavia, è necessario aver
presente che, se sono caduti gli steccati disciplinari con tutte le inibizioni
e i pregiudizi che comportavano, siamo ancora lontani dalla possibilità di
decodificare un processo mentale a tutti i livelli, da quello molecolare a quello
psicologico, di comprendere i limiti di ogni approccio e di ogni metodo, e di
ottenere da ciascuno di essi elementi significativi per lo sviluppo di nuovi
modelli interpretativi, nuovi ragionamenti e nuove prospettive per la ricerca.
Da una prima rapida e incompleta lettura
degli argomenti di psicopatologia, ho ricavato un’impressione generale così
negativa, da aver pensato che gli autori avrebbero dovuto saggiamente
rinunciare a trattare le sindromi psichiatriche, per non abbassare il livello
complessivo dell’opera. Resistendo alla tentazione di ignorare questa parte dei
Principles, mi sono imposto di rileggerla
con attenzione e con la mente sgombra da attese di alto livello scientifico, di
completezza espositiva e di aggiornamento alle ultime acquisizioni. In altri
termini, ho scelto di considerare il testo di quei capitoli come un materiale didattico
introduttivo.
In questa nuova prospettiva, sono riuscito a
riconoscere degli elementi positivi, ma con maggiore evidenza mi sono apparsi i
numerosi aspetti negativi.
Ho sicuramente apprezzato alcune valutazioni ed
affermazioni che, oltre a denotare l’indipendenza di un giudizio fondato sulla
conoscenza scientifica e non condizionato da timore reverenziale per il potere
di istituzioni che attualmente influenzano la pratica psichiatrica in tutto il
mondo, hanno valore formativo, nella loro forza di realtà, per le giovani
generazioni.
Ad esempio, si legge: “…i sistemi diagnostici
correnti, come il Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali, 4a edizione (DSM-IV)
dell’American Psychiatric Association non possono definire stati di malattia in
termini scientificamente verificabili. Col progresso di aree quali la genetica
ed il neuroimaging dovrebbe
finalmente essere possibile giungere a criteri diagnostici per i disturbi
mentali obiettivamente verificabili e perciò validi.” (p. 1390).
Purtroppo, le frequenti diagnosi erronee di
schizofrenia, in persone che presentano allucinosi acute per assunzione di
sostanze psicotrope o in pazienti scompensati con sintomi simili a quelli
psicotici, associate alle campagne promozionali delle case farmaceutiche sugli
effetti terapeutici degli antipsicotici da loro commercializzati, hanno indotto
convinzioni sbagliate sulla prognosi di questo grave disturbo, anche fra i
professionisti della salute mentale. Perciò ho bene accolto questa cruda ma
veritiera affermazione: la schizofrenia determina disabilità a vita (Cfr. p.
1389). Ed ancor più ho apprezzato la chiarezza con la quale si afferma che
nessuno dei farmaci antipsicotici attualmente impiegati è in grado di
determinare effetti benefici sulla sintomatologia cognitiva degli schizofrenici
(Cfr. p. 1390).
Andando a memoria, e senza voler citare la
positività dell’ovvio, devo fermarmi qui con le considerazioni favorevoli.
Non ho affatto apprezzato l’apologia dell’elettroshock nella terapia della
depressione: un metodo che non ha alcun fondamento scientifico, in quanto non
si conosce il modo in cui produce i suoi effetti e, pur nelle moderne versioni
che si servono del controllo elettroencefalografico della tempesta elettrica
indotta nel cervello, rimane una procedura che causa un disturbo equivalente ad
una crisi epilettica generalizzata. Accettare l’impiego di un simile strumento,
ideato da Ugo Cerletti quando nella terapia psichiatrica era inclusa
l’induzione del coma mediante insulina o con altri mezzi, vuol dire per un
medico non agire secondo “scienza e coscienza”, se mi si consente l’impiego di
questa abusata locuzione in un’accezione non proprio ortodossa. Provo a
chiarire il mio pensiero.
Una terapia può definirsi scientifica quando
è basata su un’azione definita e sperimentalmente verificata su uno o più
processi causanti o caratterizzanti un disturbo o una patologia: sicuramente
non è questo il caso delle scariche elettroconvulsive. A mio avviso, non si
agisce secondo coscienza somministrando scariche elettriche al cervello, non
solo e non tanto per gli effetti collaterali immediati, che pure possono essere
molto evidenti, ma in quanto è nota l’impossibilità di verificare gli effetti
nocivi a distanza.
I neuroscienziati dovrebbero incoraggiare lo
sviluppo di terapie fondate su dati emersi da rigorosi studi sperimentali su
patogenesi e fisiopatologia dei disturbi, e scoraggiare l’impiego di pratiche
empiriche che, attraverso aggiustamenti e perfezionamenti, acquisiscono
un’apparenza accettabile e magari anche attraente per una veste
tecnologicamente evoluta, ma per un difetto di fondamento scientifico nascondono
l’insidia dell’imponderabile e un insufficiente rispetto dell’integrità
dell’altro. Desidero anche aggiungere che, per la verità, non ho troppo gradito
che la DBS (deep brain stimulation) e
la TMS (transcranial magnetic stimulation)
siano state presentate nello stesso paragrafo come evoluzioni della terapia
elettroconvulsiva.
Sono rimasto veramente deluso dalla
trattazione delle basi patologiche della schizofrenia: dopo un paragrafo che
illustra le alterazioni morfologiche del cervello (“Le Anomalie Neuroanatomiche
Possono Essere un Fattore Causale nella Schizofrenia”), riferendo correttamente
la riduzione di materia grigia più alla perdita di sinapsi che alla perdita di
cellule e ponendo l’accento sulle anomalie di sviluppo nell’adolescenza, si
passa al paragrafo conclusivo che tratta dei farmaci antipsicotici agenti sui
sistemi dopaminergici. A parte un’osservazione critica relativa al taglio da
manuale clinico conferito alla trattazione, che sicuramente sarà rilevato da molti per il suo stridente contrasto con la
natura biologica della neural science,
devo osservare che, se si eccettua qualche dato genetico e il riferimento ad un
paio di studi recenti di neuroimaging,
il testo del capitolo 62 poteva essere scritto sostanzialmente allo stesso modo
vent’anni fa.
Se è vero che il principale obiettivo
dell’opera che sto recensendo è
didattico, credo sia opportuno far sapere agli studenti che esistono ed operano
istituti scientifici interamente dedicati all’individuazione delle basi
molecolari e cellulari delle psicosi schizofreniche, della depressione e dei
disturbi bipolari, e che la ricerca neurobiologica di base, attraverso numerosi
gruppi e scuole universitarie in tutto il mondo, è in un continuo rapporto
osmotico con questo campo di indagine[1].
Non è questa la sede per entrare nello
specifico di quella vastissima mole di studi che ha indagato, negli ultimi due
decenni, le basi patologiche dei disturbi psicotici collettivamente ricondotti
alla definizione clinica di schizofrenia e, d’altra parte, non avevo preparato
una rassegna sull’argomento per questo incontro[2].
In numerose occasioni di studio e aggiornamento della nostra società
scientifica, sono stati egregiamente esposti tutti i dati più importanti emersi
dalla sperimentazione, e credo che vi sia qualche traccia anche negli scritti
pubblicati sul sito; tuttavia, voglio aderire alla richiesta con qualche cenno
sommario, soprattutto per dare ai più giovani, oggi presenti, un’idea di quanto
è stato omesso in quest’opera.
Si può sintetizzare tutto in sette punti: 1)
la cosiddetta “ipotesi della dopamina” - ossia un’alterazione dei sistemi
dopaminergici quale causa - originata
dall’efficacia sui sintomi positivi della schizofrenia dei primi farmaci neurolettici
agenti sui recettori dopaminergici, è stata definitivamente accantonata; 2)
l’ipofunzione dei recettori NMDA del glutammato può contribuire
all’endofenotipo della schizofrenia; 3) i neuroni inibitori, che impiegano il
GABA come trasmettitore, sono implicati nella fisiopatologia schizofrenica; 4)
disfunzioni sono state rilevate nel sistema colinergico; 5) alcune molecole di
trasduzione del segnale endocellulare sono ridotte nella schizofrenia; 6)
proteine che prendono parte a strutture e funzioni fondamentali per i neuroni,
sono ugualmente diminuite; 7) la glia può giocare un ruolo la cui stima di importanza
sembra destinata a crescere con il progresso delle conoscenze.
1. L’ipotesi della centralità nella
schizofrenia dei sistemi di neuroni che impiegano la dopamina come
neurotrasmettitore, ha dominato la ricerca per oltre quarant’anni.
Le evidenze di cui si dispone attualmente
hanno indotto alla definitiva archiviazione di questa idea, consentendo di
tracciare un profilo del disturbo schizofrenico quale malattia altamente
ereditabile secondo una genetica complessa, dovuta alla partecipazione di
numerosi geni dagli effetti limitati, che interagiscono producendo un fenotipo
caratterizzato dall’interessamento di numerosi sistemi neurali che impiegano
differenti mediatori chimici.
Gli studi sui tessuti cerebrali postmortem oggi sono notevolmente più
informativi, grazie all’introduzione di nuovi metodi di analisi del DNA (microarrays) capaci di esaminare
migliaia di trascritti allo stesso tempo; la specificità cellulare è stata
enormemente aumentata con l’analisi mediante la cattura laser della singola cellula e l’ibridizzazione in situ; lo studio della glicosilazione e della fosforilazione
delle proteine è notevolmente migliorato e, infine, l’impiego di metodi
informatici ha consentito l’identificazione di relazioni fra proteine o
famiglie di proteine implicate in ruoli strutturali o funzionali comuni. Un freeware come EASE (Expression Analysis Systemic Explorer), disponibile attraverso la
banca dati dell’NIH (Database for Annotation,
Visualization and Integrated Discovery) ha grandemente facilitato i
ricercatori in queste analisi. Ho citato queste strategie di studio, perché
costituiscono la reale novità che ha consentito di porre in relazione anomalie apparentemente
isolate di geni o dell’espressione di proteine, con funzioni quali la
mielinizzazione o il metabolismo ossidativo mitocondriale alla base delle
attività dei sistemi dai quali dipende la vita psichica.
Rimandando alle rassegne specialistiche per
le alterazioni del sistema dopaminergico, passiamo al secondo punto.
2. L’ipotesi che l’ipofunzione di un
sottotipo di recettori NMDA (N-metil-D-aspartato) del glutammato contribuisca
alla fisiopatologia della schizofrenia e che, per questo, possa costituire una
componente importante dell’endofenotipo, pur avanzata da tempo, ha ottenuto un
adeguato sostegno sperimentale solo nell’ultimo decennio.
La partecipazione dei sistemi di neuroni che
segnalano mediante il glutammato, il principale mediatore eccitatorio del
cervello, costituisce probabilmente il più rilevante cambiamento di indirizzo sperimentale
in questo campo, che ha visto la ricerca di base staccarsi da quella
farmacologica rimasta legata alla dopamina, e precederla su questa via di molti
anni.
La combinazione di dati provenienti dalla
ricerca genetica, con gli studi sul tessuto cerebrale di pazienti deceduti, ha
mostrato che la perdita della fisiologica modulazione dei sottotipi di NMDA
contribuisce alla fisiopatologia della schizofrenia (Coyle et al., 2010). Ad esempio, il GCPII degrada il neuropeptide NAAG,
rilasciato dai neuroni glutammatergici così come dalle cellule di altri
sistemi, quali i neuroni motori colinergici e quelli adrenergici del locus coeruleus. NAAG è importante come
antagonista reversibile della glicina presso i recettori NMDA dell’ippocampo e
quale agonista del recettore metabotropico 3 del glutammato, il quale agisce
riducendo il rilascio del neurotrasmettitore. Negli schizofrenici è stata
documentata una riduzione significativa della presenza e dell’attività
enzimatica di GCPII nell’ippocampo e nella corteccia frontale e temporale, con
immaginabili conseguenze sulla regolazione della trasmissione glutammatergica.
Una traslocazione associata con la schizofrenia interessa un locus sul cromosoma 11q13 in stretta
prossimità con il gene che codifica GCPII.
La D-serina è l’agonista puro del sito di
modulazione dei recettori NMDA, e i suoi livelli dipendono in parte dall’enzima
catabolico DAAO inibito dalla proteina G72. Un polimorfismo nel gene
codificante la proteina G72 è stato associato in molti studi con la
schizofrenia (Sacchi et al., 2008).
Un’altra alterazione riguarda l’acido
kinurenico, antagonista endogeno del sito modulatorio della glicina dei
recettori NMDA. Altri studi hanno evidenziato alterazioni nelle proteine della
densità post-sinaptica (PSD), un complesso multi-molecolare costituito da oltre
80 proteine, associate a subunità dei recettori NMDA (Kristiansen, et al., 2007). Anche il sistema NO-NMDA
è alterato nella corteccia prefrontale degli schizofrenici, con un profilo di
funzione diverso da quello di persone non affette da disturbi mentali e da
quello di pazienti diagnosticati di disturbo bipolare.
Negli schizofrenici sono state rilevate
alterazioni, nel talamo e nella corteccia, delle proteine trasportatrici del
glutammato, EAAT1 ed EAAT2, e delle molecole che con queste interagiscono, con
conseguente disturbo della segnalazione.
Infine, una menzione ad una famiglia di
proteine che ha importanza nella differenziazione gliale, nelle funzioni degli
astrociti e nella stabilizzazione delle sinapsi, ossia le neureguline, molecole
di segnalazione cellula-cellula che sono ligandi per il recettore della
tirosinchinasi della famiglia Erb (Buonanno, 2010). Vari studi indipendenti
hanno associato varianti alleliche della neuregulina 1 al rischio di
schizofrenia. Topi omozigoti per una mutazione null nel gene della neuregulina o in quello del suo recettore ErbB4
manifestano un’iperattività che risponde all’antipsicotico clozapina, ma
soprattutto presentano un ridotto numero di NMDA.
Tutte le alterazioni citate, da sole o in
associazione con altre cause, sono responsabili di un’attenuazione della
funzione dei recettori NMDA del glutammato nella schizofrenia.
3. L’interessamento degli interneuroni
inibitori GABA-ergici è stato a lungo sospettato, sia perché si tratta del tipo
funzionale di cellule nervose più presente nella corteccia cerebrale, dalle
quali dipende il controllo di tutte le funzioni psichiche, sia per ragionevoli
deduzioni basate su dati di osservazione. Anche se studi neurochimici
pionieristici avevano rilevato già molto tempo fa, nella corteccia prefrontale
di schizofrenici, la riduzione di markers
presinaptici dei neuroni GABA, quali l’enzima GAD, è stato necessario attendere
conferme basate su osservazioni ed analisi anatomiche precise in condizioni
sperimentali più affidabili. Ad esempio, è stata rilevata una ridotta
espressione di markers presinaptici
quali GAD67, GAT1 e parvalbumina nelle cellule GABA a candelabro della
corteccia degli schizofrenici; poi, in una subpopolazione di pazienti, è stato
descritto il disturbo della migrazione di questi neuroni inibitori nella
corteccia frontale: un processo che si verifica durante il secondo trimestre di
vita intrauterina. Inoltre, sono stati registrati precisi segni di adattamento
molecolare conseguenti alla riduzione dell’innervazione GABA-ergica. La maggior
parte dei rilievi indicanti l’indebolimento della funzione inibitoria è stata
confermata in vari laboratori indipendenti in cui sono state impiegate fonti
diverse di materiale cerebrale.
Una crescente quantità di prove sperimentali
supporta la deduzione che considera il depotenziamento della funzione degli
interneuroni GABAergici nella fisiopatologia psicotica, come un effetto a valle
di alterazioni dei sistemi eccitatori glutammatergici e, specialmente, dei
recettori NMDA (Coyle et al., 2010).
E’ degno di menzione, infine, il lavoro di
vari gruppi di ricerca che hanno dimostrato nel cervello schizofrenico una significativa
riduzione dei livelli di reelina, un ligando peptidico di alta affinità per i
recettori integrinici. In proposito, ricordo che il sistema reelina/integrina
modula lo sviluppo corticale precoce, specialmente la migrazione neuronica, e
che la segnalazione della reelina, con quella di notch, contribuisce all’organizzazione in strati laminari della
corteccia. E’ noto il legame con la neurotrasmissione inibitoria: la reelina è
espressa per tutta la nostra vita da pressoché tutti i neuroni rilascianti
GABA.
4. Le osservazioni relative alla
partecipazione del sistema colinergico dell’encefalo sono numerose, mi limito a
citare gli studi di linkage che hanno
identificato un locus sul cromosoma
15q13 associato con un alto rischio di sviluppare la malattia. Questa regione
contiene il gene per il recettore CHRNA7, un sottotipo di recettore nicotinico
dell’acetilcolina che presenta interessanti similitudini con i recettori NMDA.
5. e 6. Rinvio alle rassegne disponibili in
copia nella nostra biblioteca, sia per le molecole di trasduzione del segnale
intracellulare sia per quelle implicate in aspetti fondamentali della struttura
e delle funzioni.
7. Le alterazioni della mielina costituiscono
un meccanismo fisiopatologico recentemente identificato nella schizofrenia
(Karoutzou et al., 2008) e gli studi
che mettono in relazione le immagini macroscopiche con i dati genetici e di
biologia molecolare delle proteine associate con gli oligodendrociti e la
mielinizzazione, sono numerosi ed interessanti. Anche in questo caso rimando
alle specifiche rassegne, e qui mi limito a ricordare che nella corteccia
cingolata anteriore di persone affette da schizofrenia è stato rilevato un
numero ridotto di astrociti (Bernstein et
al., 2009), cellule gliali che svolgono un ruolo critico nel regolare la
disponibilità sinaptica dei co-agonisti dei recettori NMDA: glicina, D-serina e
glutammato.
La fine del tempo che mi è stato assegnato
per questa recensione, mi costringe a concludere e a rimandare ogni altra
considerazione alla sede delle domande e alle circostanze dei prossimi
incontri.
Desidero solo, prima di congedarmi, ribadire
l’apprezzamento generale e complessivo per il lavoro svolto da tutti gli autori
dei Principles of Neural Science e,
prendendo spunto dall’esergo ippocratica, voglio giustificare la mia
sottolineatura di alcuni difetti ed aspetti negativi dell’opera con le parole
dell’autore della raccolta siglata con F/A: “Anche questi sono dei begli
insegnamenti [mathemata], le cose
che, tentate, si sono rivelate un insuccesso e (le ragioni) per cui si è
pervenuti all’insuccesso”[3].
Una formulazione che mi ha ricordato Tucidide, con il quale dirò che per questo
motivo ho voluto appositamente sottolinearle e trasmetterle.
[1] Approfittando di una pausa nell’esposizione, molti dei soci presenti hanno rivolto domande al presidente sui recenti sviluppi della ricerca sulla biochimica e sulla biologia molecolare della schizofrenia, invitandolo a compensare la lacuna dei Principles of Neural Science con una sintesi dei risultati di maggior rilievo.
[2] L’esortazione da parte dell’uditorio si fa pressante.
[3] Vincenzo Di Benedetto, Il medico e la malattia. La scienza di Ippocrate, p. 299, Einaudi, Torino 1986.