Il desiderio non è il piacere ed entrambi non sono gioia

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 20 ottobre 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Nell’ottobre del 2006 si costituì, in seno alla nostra società scientifica, un gruppo di studio interdisciplinare sulla felicità[1] che, prendendo le mosse sia dal sapere umanistico sia da quello scientifico, compì un interessante percorso che, distinguendo la felicità quale concezione ideale dalla gioia, come stato psicofisico globale, a sua volta distinta dal piacere, che si genera per effetto di uno stimolo locale, ha individuato utili criteri per parlare dell’esperienza umana degli affetti espansivi, delle emozioni e delle sensazioni positive, superando i limiti epocali delle singole concezioni filosofiche ed evitando di cadere nelle ipersemplificazioni di quella parte del pensiero scientifico che tende a “ridurre il complesso vissuto dei sentimenti umani alle sensazioni elementari, a loro volta ridotte al paradigma di interpretazione binaria piacere/dispiacere col quale si leggono le risposte dei roditori nelle condizioni sperimentali” (G. Perrella, 2006).

Recenti ricerche, e principalmente quelle condotte da Morten L. Kringelbach, che lavora presso le Università di Oxford e di Aarhus (Danimarca), e Kent C. Berridge dell’Università del Michigan (USA), hanno individuato particolari aree cerebrali che, stimolate, accrescono le sensazioni di piacere. La definizione di tali hotspots, diversi dal “circuito a ricompensa” che si riteneva fosse la base neurofunzionale del piacere, fornisce una prova decisiva per la tesi sostenuta da decenni dal nostro presidente e pubblicamente esposta, l’ultima volta in ordine di tempo, a uno dei primi incontri del gruppo di studio sulla felicità. Qui di seguito si riporta un breve stralcio della relazione del prof. Perrella.

“Le basi neurobiologiche dei sentimenti umani sono ancora in gran parte ignote, anche se oltre mezzo secolo di ricerche ha consentito di fare straordinari progressi nella conoscenza delle sedi anatomiche, dei processi fisiologici e dei meccanismi molecolari di molti stati del cervello, come quelli che accompagnano il desiderio e la motivazione, e di sensazioni, quali quelle di dolore e piacere che originano dalla percezione. E’ interessante notare che, sebbene la cultura umanistica e quella filosofica avessero fornito al pensiero comune, fin dal passato più remoto, una gamma di parole, concetti e concezioni tali da consentire di esprimere tutta la varietà delle esperienze che ciascuno prova nel corso della vita e darsene ragione, l’irrompere sulla scena della storia contemporanea di nozioni scientifiche in grado di riferire a processi misurabili quanto si prova, ha indotto molti ad abbandonare i vecchi paradigmi e a sostituirli con le poche ma “certe” parole della scienza.

L’individuazione delle basi neurali di alcuni comportamenti ha letteralmente segnato delle epoche: si pensi alla scoperta nei ratti da parte di James Olds e Peter Milner (1956) di un’area dell’encefalo che, stimolata, generava una sensazione così positiva da preferirla talvolta al cibo e da indurre gli animali, pur di procurarsela, a seguire i ricercatori ovunque questi volessero. Impiantando in quest’area degli elettrodi collegati ad una leva che consentiva ai roditori di autostimolarsi, Olds e Milner assistettero ad una scena inaspettata: come impazziti gli animali non facevano altro che stimolarsi, alcuni premendo la leva più di 1000 volte in un’ora. Da questa esperienza nasce il concetto di motivazione, che la neurofisiologia trasmetterà alla psicologia, e l’idea, non corretta scientificamente ma intensamente suggestiva, di ‘centro del piacere’.

Olds e Milner, in realtà avevano individuato una parte del ‘circuito a ricompensa’, che è stato costantemente posto in relazione con il piacere, ma che un’attenta riflessione sui risultati della ricerca, mi induce a ritenere più la base funzionale del desiderio che del piacere inteso come sensazione di godimento” (G. Perrella, 2006).

I punti la cui stimolazione determina l’aumento delle sensazioni di piacere sono stati battezzati “hedonic hotspots”, e Kringelbach e Berridge li hanno identificati proprio prendendo le mosse dall’esclusione dei territori neuronici in cui, da Olds e Milner in poi, si impiantano gli elettrodi per generare “effetto a ricompensa”.

I due ricercatori sono partiti da questa considerazione: l’area cui viene attribuita la funzione di mediare il piacere è situata in un territorio frontale che riceve fibre dopaminergiche dall’area tegmentale ventrale, se in questo territorio si aumenta l’azione della dopamina, ad esempio impiegando un topo knockout per la proteina trasportatrice, il piacere dovrebbe aumentare; se, al contrario, si elimina la dopamina, il piacere dovrebbe diminuire o cessare del tutto. Alla prova sperimentale non si è verificato nulla di tutto ciò.

Partendo da questo esito, un lungo percorso sperimentale ha portato i due ricercatori ad identificare vari “punti edonici”, fra cui un’area sita nella parte ventrale del nucleo pallido e un circoscritto territorio del nucleo accumbens, che inviano informazioni alle regioni più elevate del cervello (principalmente corteccia del giro del cingolo ed orbitofrontale) le quali, ricevendo impulsi anche dal circuito a ricompensa e da altri territori cerebrali, nell’uomo possono elaborare una sintesi in grado di fornire la rappresentazione cosciente di ciò che costituisce l’esperienza del piacere (Kringelbach, 2008; Kringelbach e Berridge, 2010).

Nel commentare questi risultati, però, i due ricercatori assimilano l’affetto del piacere alla gioia (Kringelbach e Berridge, 2012), senza nemmeno distinguere la reazione di gioia dallo stato di gioia, come abbiamo imparato a fare seguendo i seminari originati dal lavoro del gruppo di studio menzionato. Ebbene, esprimendo gratitudine per Kringelbach e Berridge, che con i loro studi hanno gettato luce sulle basi neurobiologiche del piacere, ci auguriamo che presto la nostra società possa dar vita ad un nuovo gruppo di studio che contribuisca a creare una cornice culturale adeguata, nella quale accogliere questi importanti risultati sperimentali.

 

L’autore della nota invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono sul nostro sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-20 ottobre 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] L’ampio orizzonte delle tematiche affrontate dal gruppo, prima di restringere il campo degli interessi alle basi neurobiologiche degli affetti esplorati sperimentalmente, spaziava dalla linguistica alla filosofia, dalla letteratura alla matematica. Ricordiamo le relazioni del prof. Patrizio Perrella sull’armonia in chiave matematica e sulla teoria della complessità - necessaria alla comprensione della prospettiva di Edelman e di altri ricercatori nello studio delle basi cerebrali delle funzioni psichiche; ricordiamo anche le tematiche filosofiche legate alla concezione del tempo affrontate dalla prof. Maria Rosaria Daniele. A quel gruppo di studio presero parte, fra gli altri, Rita Cadoni, Gloria Gambacciani, Roberta Carnesecchi e Annalisa Lo Brutto.