Viaggio nel DSM 5: interessanti cambiamenti, nuovi errori e vecchi limiti
GIUSEPPE PERRELLA
(a cura di Giovanna Rezzoni)
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 06 ottobre 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
AGGIORNAMENTO]
Premessa. Venerdì 22
giugno 2012, in occasione dell’incontro dei gruppi di studio strutturali con la
Commissione Scientifica della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia,
il presidente, Giuseppe Perrella, ha tenuto una relazione di presentazione
della nuova edizione dell’ormai celebre manuale diagnostico e statistico
realizzato per conto della maggiore associazione di psichiatri statunitensi.
Giovanna Rezzoni ha registrato la relazione ed ha collaborato con l’autore per
l’editing finale del testo che sarà
proposto in parti pubblicate settimanalmente.
(Sesta
Parte)
Per apprendere dall’esperienza del passato è
necessario rendersi conto, a mio avviso, che il problema maggiore non è
costituito dalle ragioni a sostegno della scomposizione analitica o del
raggruppamento sintetico delle sindromi, ossia dal conflitto fra i criteri
proposti dagli splitters e dai lumpers, come rappresentato in una parte
pur autorevole della pubblicistica medica americana, ma dal senso che ha una
categoria diagnostica in funzione dei fini medici. Decidere che una categoria
psichiatrica possa essere definita in base all’esperienza che ha prodotto il
disturbo o all’apparenza comportamentale del paziente, vuol dire abbandonare la
via logica e metodologica della diagnosi medico-scientifica, per seguire quella
della tassonomia comportamentale, influenzata, a seconda delle aree di
ripartizione, da criteri di tipo sociologico, assicurativo o legale, e tanto
flessibile e indipendente da vincoli biologici e fisiopatologici, da poter
essere adattata ad esigenze varie e diverse dall’interesse del paziente, sia
immediato che in prospettiva.
Purtroppo il DSM-5, nonostante i notevoli
miglioramenti rispetto alle precedenti edizioni, prosegue sulla via della
tassonomia comportamentale. Un esempio veramente significativo, in proposito, è
dato dalla vicenda relativa alla sindrome di Rett.
La sindrome, descritta per la prima volta da
Andreas Rett nel 1966, è una grave patologia neuroevolutiva caratterizzata da
arresto dello sviluppo fisico, ritardo mentale, deficit del linguaggio e delle
abilità sociali; legata al cromosoma X, è dovuta a mutazioni nel gene che
codifica la proteina MECP2, spesso aberrante nell’autismo. Per inciso, ricordo
che MECP2 è nota come proteina regolatrice della cromatina al pari della coesina, il cui fenotipo mutato è
al’origine della sindrome di Cornelia De Lange. Oltre quarant’anni di studi
sono stati necessari per giungere ad un test genetico che oggi consente di
avere una diagnosi scientificamente certa. Ebbene, la diagnosi di “Disturbo di
Rett”, indicata nel DSM-IV con il codice F84.2, è stata esclusa dal DSM-5. La
scomparsa è giustificata dagli autori con un riassetto delle diagnosi relative
ai disturbi pervasivi dello sviluppo, su cui mi soffermerò fra breve, tuttavia
è evidente che non si tratta di una coincidenza, ma di una scelta di uniformità
metodologica che definisce il manuale quasi esclusivamente come strumento di
valutazione del comportamento.
I “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo”,
dell’edizione attualmente in uso, sono caratterizzati da deficit nelle abilità
di interazione sociale reciproca e di comunicazione verbale, e dalla presenza
di comportamenti, interessi ed attività stereotipate. Contemplano cinque
categorie: Disturbo Autistico, Disturbo di Rett, Disturbo Disintegrativo
dell’Infanzia, Disturbo di Asperger e Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non
Altrimenti Specificato. Da un punto di vista pediatrico, si tratta di
condizioni che spesso compromettono molte aree dell’evoluzione biologica, sia nell’aspetto
quantitativo dell’accrescimento, sia in quello qualitativo di una corretta
differenziazione funzionale corrispondente all’età cronologica e al piano di
maturazione complessivo dell’organismo. Gli autori del DSM-5 hanno rilevato la
notevole somiglianza di quattro delle cinque sindromi e, escludendo senza una
specifica motivazione la sindrome di Rett, le hanno fatte confluire tutte in
un’unica categoria: “Disturbi dello Spettro dell’Autismo” (ASD, da Autism Spectrum Disorder). La sola
distinzione prevista, nell’ambito di quest’unica diagnosi, sarà la gravità
delle manifestazioni comportamentali.
Per i bambini affetti da Disturbo
Disintegrativo dell’Infanzia, verosimilmente non cambierà molto, in quanto il
completo deterioramento delle abilità sociali e comunicative, già precocemente
deficitarie, generalmente non si manifesta molto tempo dopo le prime evidenze
sintomatiche e, purtroppo, la drammaticità del quadro è presto evidente, e solo
raramente si giunge ai nove anni per la completa espressione della sindrome. Dunque,
secondo i criteri del nuovo manuale, a questi bambini sarà posta la diagnosi di
“severe ASD”, ossia di Disturbo dello Spettro dell’Autismo di livello grave. Cosa accadrà agli affetti da
sindrome di Asperger, o “Aspies”, come simpaticamente queste persone spesso si
autodefiniscono? Nelle intenzioni degli autori del DSM-5 saranno classificati
come “lievi” nell’ambito della categoria ASD, ma molti psichiatri, pediatri,
neuropediatri, psichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza e perfino
neurogenetisti, hanno molti dubbi in proposito. I motivi sono numerosi, ma fra
questi voglio ricordare alcuni di quelli che mi sembrano di estrema evidenza.
La sindrome di Asperger, così definita dalla
psichiatra inglese Lorna Wing in onore del pediatra e psichiatra austriaco Hans
Asperger che la descrisse per primo, non è affatto omogenea nelle sue
manifestazioni cliniche e, in molti casi, può passare inosservata per
l’apparenza “normale con qualche particolarità psicologica” di coloro che ne
sono affetti, sia da bambini che da adolescenti. Ma sappiamo che è importante
accertarne l’esistenza, perché problemi affettivo-emotivi e relazionali su base
neurobiologica possono persistere ed aggravarsi per tutta la vita. A differenza
dei bambini autistici, molti Aspies non presentano ritardo ed alterazione dello
sviluppo del linguaggio verbale, anzi una frazione notevole è in possesso di
abilità verbali eccellenti e, sotto molti aspetti, superiore alla media
normale. Quasi nessuno presenta ritardo mentale o definiti deficit cognitivi e,
una piccola parte di essi, può avere prestazioni intellettive superiori alla
norma. Invece delle stereotipie di moto prive di senso, questi pazienti
presentano talvolta delle abitudini comportamentali ripetitive, che possono
apparire come innocenti passatempi. Possono essere intensamente affascinati da
oggetti concreti o astratti, che li attraggono al punto da indurli ad
occuparsene con costante interesse ed evidente piacere: le cupole delle chiese,
le fogge dei cappelli, i manici degli strumenti a corde, le ruote delle auto, i
nomi delle galassie, le classificazioni delle piante; ma, in genere, a questa
fascinazione per il particolare non corrisponde un interesse più generale per
l’architettura, la moda, le auto, l’astronomia, la botanica, eccetera.
La maggior parte dei problemi delle persone
affette da questo disturbo si evidenzia nella relazione interpersonale, nella
quale manca la ricerca della condivisione affettiva e dell’intesa, pur essendo
presente una certa capacità empatica, e nelle difficoltà nei rapporti sociali,
spesso evitati o sopportati anche quando potenzialmente gratificanti.
Il rischio è che, con la scomparsa della
diagnosi nel DSM e della prevenzione secondaria, si perda anche la trasmissione
culturale che consente il riconoscimento di questa condizione umana, che può
essere di gran lunga migliorata dalla consapevolezza del paziente circa la
natura dei propri limiti e dalla cooperazione delle persone che costituiscono
l’ambiente di relazione affettiva prevalente.
In conclusione, l’abolizione dei disturbi di
Asperger e Rett, insieme con l’aggiunta di sindromi dall’identità
psicopatologica molto dubbia, accresce ancora la distanza fra il DSM e un
manuale di diagnostica medica dei disturbi psichici.
In compenso, studi statistici pubblicati nel
2011 e nel 2012 confermano che i criteri adottati dal DSM-5 per l’autismo sono
più precisi ed affidabili di quelli delineati nell’edizione precedente. La
presenza di cinque delle sette caratteristiche indicate nel nuovo manuale,
costituisce un riferimento più stringente rispetto alle sei su dodici della
precedente edizione. Sembra che le linee-guida così riviste abbiano eliminato
la possibilità di “falsi positivi”; ossia tutti coloro che rientrano
esattamente nei criteri possono certamente considerarsi affetti. Non si può
dire lo stesso dei “falsi negativi”, perché si teme che i casi cosiddetti “high-functioning”, cioè con un alto
grado di funzioni fisiologicamente attive, possano sfuggire alle maglie di
questi criteri.
[continua]