Effetti dello stress da combattimento su circuito mesofrontale e cognizione
NICOLE CARDON
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 15 settembre 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
E’ noto da tempo che l’esposizione prolungata a stress può causare alterazioni di lunga durata in grado di compromettere numerosi processi cognitivi, ma si conosce ancora poco delle basi neurobiologiche dei deficit osservati nell’uomo e della reversibilità dei processi causali. La sperimentazione animale ha fornito numerose evidenze a sostegno della possibilità che i difetti osservati nella fisiologia esecutiva possano derivare da alterazioni nelle strutture neuroniche costituenti il circuito mesofrontale. Varie analogie ed omologie morfo-funzionali fra le specie di mammiferi studiati, suggeriscono che la base neuropatologica dei difetti cognitivi osservati nei veterani e nei soldati esposti a stress da combattimento protratto potrebbe essere la stessa.
Guido van Wingen e colleghi hanno sottoposto a verifica questa possibilità, studiando un campione di soldati prima e dopo una missione in Afganistan, e paragonando i reperti ottenuti con quelli rilevati in un gruppo di controllo.
Lo studio,
condotto mediante la metodica della risonanza magnetica funzionale (fMRI) e
l’impiego della tecnica speciale DTI (diffusion
tensor imaging), oltre a confermare l’importanza del danno al sistema di
connessione della parte alta del tronco encefalico con la corteccia del lobo
frontale, ha rivelato la presenza sia di lesioni reversibili che irreversibili (van Wingen G. A., et al. Persistent and reversible
consequences of combat stress on the mesofrontal circuit and cognition. Proceedings of the National Academy
of Science USA [Published online ahead of print
doi:10.1073/pnas.1206330109], 2012).
La provenienza degli autori è la
seguente: Donders Institute for Brain, Cognition, and Behaviour and Department
of Cellular Animal Physiology, Radboud University (The Netherlands); Brain
Imaging Center, Department of Psychiatry, Department of Radiology, and Department
of Clinical Epidemiology, Biostatistics and Bioinformatics, Academic Medical
Center, University of Amsterdam (The Netherlands); Research Centre, Military
Mental Health, Ministry of Defense, Utrecht (The Netherlands); Department of
Psychiatry, Rudolf Magnus Institute of Neuroscience, Utrecht University Medical
Center, Utrecht (The Netherlands); Department for Cognitive Neuroscience,
Radboud University Nijmegen Medical Centre, Nijmegen (The Netherlands).
L’interesse che suscita lo studio di van Wingen e colleghi, e naturalmente tutti gli altri studi con lo stesso scopo sperimentale, è dato dalla specificità dell’individuazione del sostrato fisiopatologico dei deficit cognitivi, a fronte della focalizzazione dell’attenzione sperimentale, originariamente esclusiva e successivamente preponderante, sulle lesioni da stress delle aree più vulnerabili del cervello e, in particolare, dell’ippocampo. Non è superfluo ricordare che, per decenni, molti studiosi hanno negato la possibilità che i disturbi acuti da stress, come quelli osservati sui campi di battaglia, avessero fondamento in una lesione macroscopicamente rilevabile di strutture cerebrali.
Più in generale, la rilevanza di questo campo di studi si comprende se si ricorda che la prima formulazione nosografica di un disturbo da stress si deve alle osservazioni compiute nel 1871 da un medico di nome Da Costa, durante la Guerra Civile Americana. La sindrome, che colpiva i soldati esposti alla tensione estrema e alla paura del combattimento, era caratterizzata da spossatezza, irritabilità, costante stato di allerta, elevata frequenza cardiaca ed accentuazione generalizzata delle risposte fisiologiche. Da Costa, che aveva compreso l’origine psichica del disturbo, focalizzò la sua attenzione sulle manifestazioni cardiovascolari facilmente rilevabili alla semeiotica fisica, definendo la condizione Soldier’s Irritable Heart. Il cuore irritabile del soldato che, in nosografia, divenne la “sindrome di Da Costa”. Gli effetti traumatici sui soldati delle esperienze vissute sul campo di battaglia durante le due guerre mondiali, portarono alla descrizione di quadri clinici quali lo shock da bombardamento, la fatica da combattimento, le amnesie e le nevrosi di guerra. L’importanza dell’alterazione funzionale dei sistemi neuronici cerebrali era già stata compresa, quando Lawrence C. Kolb descrisse la startling response nei veterani del Vietnam, ma, prevalendo un’interpretazione psicologico-psicoanalitica dell’eziopatogenesi dei sintomi, l’orientamento generale ha negato la possibilità dell’esistenza di una base anatomopatologica per i disturbi da stress, fino alla dimostrazione del danno effettuata da Douglas Bremner mediante le immagini ottenute con la metodica della risonanza magnetica nucleare[1].
Ma, ritorniamo allo studio dei ricercatori dei Paesi Bassi che hanno specificamente indagato le vie e le connessioni alla base delle funzioni cerebrali necessarie all’elaborazione intellettiva e, in generale, cognitiva.
L’analisi delle immagini ottenute dall’encefalo dei militari sottoposti a stress da combattimento, confrontate con quelle provenienti dall’encefalo dei soggetti appartenenti al gruppo di controllo, ha rivelato che l’esperienza negativa caratterizzata dall’attivazione protratta e tossica dei sistemi di allerta, causa la riduzione di attività e di integrità del mesencefalo. Tale difetto morfo-funzionale era strettamente correlato con la compromissione dell’attenzione sostenuta.
Il follow-up di lungo termine ha mostrato che le variazioni strutturali e funzionali patologiche andavano incontro a normalizzazione entro un periodo di un anno e mezzo. In contrasto, è risultato evidente che lo stress da combattimento determinava una persistente riduzione nella connettività funzionale fra il mesencefalo e la corteccia del lobo frontale.
I risultati di questo lavoro dimostrano che lo stress da combattimento nell’uomo produce effetti lesivi sulle funzioni cognitive attraverso un danno al circuito mesofrontale, e suggeriscono che solo una parte di queste alterazioni sono reversibili.
L’autrice della nota ringrazia la
dottoressa Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle
recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Tutti i cenni storici menzionati sono tratti da Giuseppe Perrella, Il Disturbo Post-Traumantico da Stress (PTSD). Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli 2005.