Declino cognitivo negli assuntori di cannabis

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 15 settembre 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Recenti sondaggi ed indagini sociologiche hanno rilevato che solo una minoranza degli adolescenti è edotta circa i rischi per la salute determinati dall’assunzione abituale di prodotti della cannabis, quali hashish e marijuana; per contro, sono numerosi i giovani che hanno convinzioni erronee circa i reali effetti sull’organismo dei composti contenuti nelle preparazioni che assumono. Tali false nozioni originano da una vera e propria forma di sottocultura promossa dai produttori, diffusa dagli spacciatori e, inconsapevolmente, dagli stessi assuntori. In termini psicologici, la presunta innocuità delle preparazioni vegetali psicotrope, così come le loro virtù curative, fungono da razionalizzazioni in grado di giustificare e proteggere l’uso compulsivo e abituale di queste sostanze.

E’ impressionante notare il rifiuto che molti ragazzi oppongono all’ascolto dei dati scientifici sulle sostanze che interferiscono con il ruolo dei recettori CB1 e CB2 per gli endocannabinoidi e che, fumate secondo l’uso abituale, hanno una potenzialità cancerogena superiore a quella del fumo di tabacco[1]. Di fatto, negli anni recenti, l’età di inizio di assunzione di questa droga è andata abbassandosi ed è grandemente aumentato il numero dei ragazzi che ne fanno uso quotidiano.

Madeline Meier del Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze della Duke University, in collaborazione con vari ricercatori, fra cui colleghi britannici e neozelandesi, ha condotto uno studio allo scopo di verificare l’associazione registrata in precedenza fra l’uso persistente dei prodotti della cannabis e un rilevante declino nelle prestazioni neuropsicologiche, e determinare se il decadimento cognitivo è particolarmente concentrato fra i consumatori che hanno cominciato ad assumere la sostanza in età adolescenziale. I risultati sono di tutta evidenza (Meier H. M., et al. Persistent cannabis users show neuropsychological decline from childhood to midlife. Proceedings of the National Academy of Science USA [Published online ahead of print doi:10.1073/pnas.1206820109], 2012).

La provenienza degli autori è la seguente: Duke Transdisciplinary Prevention Research Center, Center for Child and Family Policy, Department of Psychology and Neuroscience, and Institute for Genome Science and Policy, Duke University, Durham; Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, Duke University Medical Center; Institute of Psychiatry, King’s College London (UK); Dunedin Multidisciplinary Health and Development Research Unit, Department of Preventive and Social Medicine, School of Medicine, University of Otago, Dunedin (New Zealand).

Il lavoro è reso particolarmente interessante dal tipo di campione sottoposto allo studio longitudinale: si tratta di persone che fanno parte del Dunedin Study, un noto studio prospettico condotto su una coorte di 1037 bambini nati nel periodo 1972/73 e seguiti dalla nascita all’età di 38 anni.

Il rilievo dell’uso di cannabis è stato ottenuto con un accertamento mediante specifiche interviste condotte nell’ambito di colloqui professionali programmati, che hanno avuto luogo temporalmente in corrispondenza delle età anagrafiche di anni 18, 21, 26, 32 e 38. La prima valutazione neuropsicologica estesa e dettagliata fu condotta quando i partecipanti al campione avevano tredici anni e nessuno aveva ancora cominciato ad assumere derivati della cannabis. La nuova valutazione è stata eseguita all’età di trentotto anni, dopo lo sviluppo di patterns di uso persistente della sostanza, quando era stato programmato il termine della fase di rilevazione dei dati, che poi sarebbero stati analizzati ed elaborati.

I risultati ottenuti, per il cui dettaglio si rimanda al testo del lavoro originale, mostrano chiaramente che l’uso persistente della cannabis era associato con un notevole declino neuropsicologico ampiamente diffuso attraverso i vari domini del funzionamento mentale esplorati, anche dopo aver esercitato per anni un controllo attraverso l’istruzione, allo scopo di tentare di compensare o ridurre la perdita di capacità ed efficienza. Naturalmente nulla di simile, o anche lontanamente comparabile, si era verificato nelle persone che non avevano immesso nel loro organismo e nel loro cervello i composti presenti nelle varietà di canapa indiana coltivate per realizzare prodotti che interferiscono con la fisiologica azione retrograda esercitata sulle sinapsi dalle dosi autoregolate di anandamide (arachidonil-etanolammide) e 2-AG (2-arachidonilglicerolo), ossia degli endocannabinoidi naturalmente prodotti dal cervello.

Lo studio si è valso della raccolta di informazioni da parte di osservatori, che hanno riferito di notare, in un numero notevole di circostanze, più problemi cognitivi nei consumatori abituali di cannabis. I deficit riscontrati erano particolarmente concentrati nel gruppo di coloro che avevano dato inizio all’abitudine viziosa del drogarsi nel periodo dell’adolescenza. E’ emerso un rapporto stretto di proporzionalità fra la persistenza nell’uso e le proporzioni del declino nelle prestazioni cognitive.

Fra i dati più rilevanti, e in un certo senso impressionanti, emersi da questo studio, vi è il rilievo che la cessazione completa e protratta dell’assunzione di cannabis non era in grado di ristabilire il livello fisiologico di prestazioni neuropsicologiche nei consumatori che avevano sviluppato l’abitudine nell’adolescenza. Un dato netto e preciso, che non lascia margini per dubbi ed ipotesi, indicando l’esistenza di un danno permanente irreversibile, la cui natura strutturale dovrà essere indagata da studi sulla biologia delle lesioni da cannabis dell’encefalo umano.

Nel loro insieme, i dati ottenuti con una metodologia di neuropsicologia clinica, ma estremamente significativi per le caratteristiche del campione, le procedure e i metodi impiegati, indicano un effetto neurotossico della cannabis particolarmente accentuato sul cervello in corso di sviluppo degli adolescenti. L’esito di questo studio indica, perciò, l’importanza della prevenzione e di sforzi maggiori da parte dei sistemi dell’istruzione, della salute pubblica e dell’informazione, per raggiungere i ragazzi e renderli edotti e consapevoli dei rischi certi, come di quelli eventuali, derivanti dalla scelta di assumere prodotti di vegetali riconducibili alla Cannabis sativa.

In conclusione notiamo che, nonostante numerose organizzazioni scientifiche, inclusa la nostra, diffondano i dati della sperimentazione che ha accertato la pericolosità di questa sostanza, in molti Paesi del mondo tali informazioni non sembrano riuscire a raggiungere i più giovani, che sono spesso vittima della propaganda occulta e manifesta dei produttori internazionali che operano sostenendo economicamente associazioni e partiti politici favorevoli all’uso della cannabis a scopo ricreativo e terapeutico. In proposito, abbiamo osservato che, in particolare negli Stati Uniti, dove queste associazioni sono numerose e attive nel chiedere la liberalizzazione del vegetale per usi curativi, il composto psicoattivo della cannabis, ossia il Δ9-tetraidrocannabinolo, è già a disposizione dei medici, perché è stato da tempo registrato come farmaco con il nome di dronabinolo. Pertanto, se è proprio necessario impiegarlo - ma esistono altri farmaci più efficaci nelle stesse indicazioni - il principio attivo della cannabis può essere prescritto secondo un ponderato giudizio medico e, dunque, l’impiego terapeutico del vegetale intero, che contiene numerosi altri composti con azioni diverse e in parte contrastanti con quelle propagandate dagli attivisti, non è una scusa valida per chiedere la liberalizzazione.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle numerose recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Diane Richmond

BM&L-15 settembre 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Note e Notizie 05-09-09 La cannabis è cancerogena oltre che lesiva per il cervello. Più in generale, per una introduzione allo studio degli effetti della cannabis si consiglia la lettura della scheda introduttiva dal titolo “BM&L sulla cannabis” nella sezione “AGGIORNAMENTI” del sito.