Malattia di Huntington guarita sperimentalmente
DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 30 giugno 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La nostra Società Scientifica ha sempre seguito con interesse gli sviluppi della ricerca sulla malattia di Huntington e, in questa sezione del sito web, ha pubblicato numerose recensioni di studi sulla genetica, la fisiopatologia e la patogenesi delle malattie da ripetizione di triplette nucleotidiche. Personalmente ho scelto spesso di recensire lavori che idealmente completavano gli aggiornamenti dei journal clubs mensili e che, nonostante il rilievo dei dati ottenuti, rischiavano di essere oscurati da studi centrati su questioni maggiormente al centro del dibattito o realizzati da gruppi più noti e celebrati. Ho anche scelto, concordemente con altri soci-colleghi, di riferire solo raramente di studi intesi a trovare una terapia per queste gravi affezioni, non solo e non tanto per seguire le direttive della nostra Commissione Scientifica che ci impone di essere distinti e distanti da lavori sospetti di essere influenzati da conflitti di interessi perché finanziati in tutto o in parte da case farmaceutiche, ma per la consapevolezza di una conoscenza ancora limitata dell’eziopatogenesi e della fisiopatologia, oltre che in generale della neurobiologia molecolare, perché si possa fondatamente ipotizzare una terapia farmacologica al contempo efficace e scevra da rischi. Credo che chi conosca la probabile patogenesi del danno secondo le tesi che sono oggetto di insegnamento universitario da alcuni anni, ma non sia uno specialista di questo campo, si possa fare un’idea dei miei dubbi al riguardo leggendo la recensione di un recente lavoro di Yong-Joon Choi e colleghi (Note e Notizie 14-01-12 Nella malattia di Huntington ruolo causale per poliQ-htt non aggregata).
Tanto
premesso, fra le rare eccezioni alla regola della severa selezione, ho deciso
di proporre all’attenzione critica del lettore un lavoro di Holly B.
Kordasiewicz e colleghi, che hanno ottenuto non solo il rallentamento della
progressione di un modello sperimentale della malattia, ma una vera e propria
inversione del fenotipo (Andrew H. Bass
& Boris P. Chagnaud, Sustained
Therapeutic Reversal of Huntington’s Disease by Transient Repression of
Huntingtin Synthesis. Neuron 74 (6), 1031-1044, 2012).
Ricordando il supporto a questo
studio di Novartis, Isis e Genzyme Corporation, indichiamo di seguito la
provenienza degli autori: Ludwig Institute for Cancer Research and Department
of Cellular and Molecular Medicine, University of California at San Diego
(California, USA); Genzyme Corporation (New York, USA); Isis Pharmaceuticals,
Carlsbad (California, USA); Novartis Institutes for BioMedical Research
(Basilea, Svizzera).
Prima di entrare nel merito dello studio recensito, qui di seguito riporto in estrema sintesi alcuni dati salienti sulla malattia di Huntington.
La malattia ipercinetica ereditaria caratterizzata
da movimenti aritmici e involontari che ricordano la danza (corea), descritta
per la prima volta nel 1872 in una famiglia di Long Island da George
Huntington, è una patologia neurodegenerativa ad andamento progressivo che
interessa prevalentemente i neuroni dello striato, fin dalle fasi precliniche,
e poi si estende al talamo, alla corteccia e al tronco encefalico. Come è noto,
si tratta di una malattia genetica trasmessa con modalità autosomica dominante e originata da una mutazione di
un gene altamente conservato, sito sul braccio corto del cromosoma 4 (4q16) e
codificante l’huntingtina (htt), una proteina nucleare e citosolica
associata ai microtubuli e alle vescicole sinaptiche, ma espressa anche in
tessuti non neuronici. Sebbene ancora non sia stata definita con certezza una
funzione per l’htt, molte
evidenze suggeriscono ruoli nello sviluppo, nel trasporto assonico e in
processi che controbilanciano l’apoptosi. L’alterazione genica dell’htt consiste nell’espansione di triplette CAG,
con la conseguenza di una sequenza di poliglutammina (poliQ) nel prodotto genico. La proteina mutata, oltre a tendere
alla formazione di aggregati proteolisi-resistenti, accresce l’espressione di
fattori pro-apoptotici, quali la caspasi-1 e la caspasi-3 attivata.
Attualmente è opinione condivisa che la causa
primaria della malattia di Huntington sia costituita dall’espressione di una htt
con un’espansione di poliglutammina e, sebbene non vi sia consenso unanime sui
meccanismi molecolari della tossicità, è stato provato che la riduzione della
proteina mutante nei principali neuroni affetti è in grado di abbattere i
processi responsabili del danno.
Su questa base, Kordasiewicz e colleghi hanno
impiegato oligonucleotidi antisenso (ASO, da antisense
oligonucleotide), che catalizzano la degradazione RNasi H-mediata dell’mRNA
dell’htt, e li hanno infusi nel fluido cerebrospinale di esemplari sintomatici
di un modello murino della malattia. L’infusione temporanea non solo ha
rallentato notevolmente la progressione della malattia caratteristica del
modello sperimentale, ma ha mediato una reversione protratta del fenotipo della
malattia di Huntington, che persiste oltre il knockdown dell’htt.
La riduzione del tipo naturale di htt, insieme con
l’htt mutante, determina la stessa reversione sostenuta della malattia.
I ricercatori hanno sperimentato anche l’infusione
di ASO in modelli costituiti da primati non-umani, ottenendo la significativa
riduzione dell’htt nei neuroni di molte regioni cerebrali interessate dalle
manifestazioni patologiche della malattia di Huntington.
La strategia terapeutica sperimentata, sembra aver
provato la possibilità di ottenere un arresto nella progressione ed
un’apparente reversione dei processi patologici mediante una transitoria, e non
continua o protratta, diminuzione della sintesi di htt mediata da ASO.
Naturalmente si attendono verifiche di questo
lusinghiero risultato da parte di gruppi di ricerca indipendenti e non legati
all’interesse della produzione di un nuovo farmaco.
L’autrice della nota ringrazia il
professor Giovanni Rossi, che ha collaborato alla stesura del testo, e invita
alla lettura delle numerose recensioni di lavori di argomento connesso che
compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina
“CERCA” del sito).