La Sclerosi Tuberosa di Bourneville rivisitata

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 16 giugno 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

La Sclerosi Tuberosa di Bourneville, detta anche sindrome di Bourneville-Pringle, era classificata fra le facomatosi (dal greco phakòs = macchia cutanea, lentiggine, efelide, neo), gruppo di malattie ereditarie con tendenza allo sviluppo di tumori (insieme con la Neurofibromatosi di Von Recklinghausen, la malattia di Sturge-Weber e l’atassia con telangectasia di Louis-Bar), che colpiscono principalmente organi ad origine embrionaria doppia. Considerata una neuroectodermosi ad eredità autosomica dominante, era caratterizzata clinicamente dalla presenza di piccole neoformazioni cutanee multiple (i cosiddetti adenomi di Pringle) e, in generale, dallo sviluppo di neoplasie in derivati dell’ectoderma, quali la pelle e il sistema nervoso, e in formazioni originate dal mesoderma, come molti organi interni.

Nella nosografia accademica si descriveva un quadro clinico caratterizzato da 1) segni nervosi: ritardo mentale/deficit intellettivo, epilessia ad esordio precoce come spasmi infantili con ipsaritmia o crisi focali resistenti alla terapia, calcificazioni rilevabili radiologicamente per lo più associate a neoplasie neurogliali dell’encefalo (“tuberi”), talvolta condotte autistiche; 2) segni cutanei: i cosiddetti “adenomi sebacei” (in realtà piccoli e numerosi angiofibromi di colorito rossastro) localizzati prevalentemente al volto, piccoli fibromi periungueali, presenza di macchie cutanee ipocromiche, spesso ovali a bordi irregolari, localizzate soprattutto al tronco e presenti già nel primo anno di vita; 3) segni e sintomi derivati da lesioni associate, quali gliomi retinici, tumori renali, del cuore, del polmone, ecc.

Attualmente si riconosce l’esistenza di un gruppo di disturbi oncologici multi-sistemici definito Complesso della Sclerosi Tuberosa o TSC, da Tuberous Sclerosis Complex, che, quando interessa l’encefalo, si manifesta con crisi epilettiche, ritardo dello sviluppo mentale e problemi psicopatologici di vario genere e gravità clinica, incluse le manifestazioni indicate dalla nosografia tradizionale.

I bambini affetti da forme di TSC, a differenza di quanto accadeva in passato, ricevono spesso la diagnosi nei primi anni di vita e possono sottoporsi precocemente all’asportazione dei tumori ed usufruire di trattamenti specifici per la promozione delle abilità psicomotorie, cognitive e linguistiche difettuali, nonché per i disturbi affetivo-emotivi e comportamentali. L’affinamento diagnostico ha consentito di individuare molti casi con una sintomatologia clinica lieve e, pertanto, oggi si può dire che la gravità delle sindromi TSC presenta un’estesa gamma di variazioni che va persone che, dopo uno sviluppo quasi fisiologico, possono godere di una vita sotto molti aspetti normale, fino a casi in cui la compromissione del cervello è tale da determinare forme di gravissimo deficit intellettivo, con perdita della vista per i gliomi retinici e scarsa sopravvivenza per complicanze legate alle neoplasie sistemiche e nervose.

Sono stati identificati due geni all’origine del TSC ed è sufficiente che sia presente un’anomalia in uno solo dei due, perché la malattia si manifesti (Leung A. K. & Robson W. L., 2007; Inocki K., et al., 2005).

Il gene TSC1 allocato sul cromosoma 9q34 codifica la proteina amartina (i tumori della sindrome erano definiti “amartomi”), mentre il gene TSC2 appartenente al cromosoma 16p13 codifica la proteina tuberina.

Le proteine amartina e tuberina formano un complesso all’interno delle cellule, che è risultato essere una sorta di interruttore molecolare per la crescita cellulare. Il tandem amartina-tuberina frena una chinasi con un ruolo chiave, la mTOR (mammalian target of rapamycin) che normalmente attiva la S6K e guida la crescita cellulare.

Quando uno dei due geni presenta alterazioni che compromettono il funzionamento del complesso tuberina-amartina, la via biochimica di mTOR è costitutivamente attivata, dando luogo alla formazione di tumori.

In diagnostica neurologica si è tradizionalmente ritenuto che l’entità dei difetti neuro-comportamentali rilevati in molti pazienti sia direttamente proporzionale al numero delle formazioni tuberose presenti nell’encefalo o all’entità dell’attività epilettica, ma ora lo studio della via molecolare suggerisce una terza ipotesi esplicativa.

Negli anni sono stati documentati vari casi, veramente impressionanti ed inizialmente sorprendenti, di pazienti con funzioni neuropsichiche virtualmente normali anche se portatori di molti noduli tumorali cerebrali, a fronte di altri che con poche formazioni tuberose mostravano deficit cognitivi gravi. Si è perciò fatta strada la convinzione che le neoformazioni, ossia il carico dei tuberi patologici rispetto al tessuto indenne, non siano direttamente responsabili della patogenesi del deficit cognitivo e dei disturbi mentali. Simili dubbi sono stati sollevati anche circa i danni conseguenti al ripetersi delle crisi epilettiche. Gli studi di biologia molecolare hanno rivelato che mTOR controlla il citoscheletro actinico dei neuroni e i contatti sinaptici, sicché appare ragionevole che le alterazioni strutturali neuroniche e sinaptiche possano essere più direttamente responsabili della sintomatologia psichica.

Lo studio della genetica e della patologia del TSC su modelli murini ha migliorato le nostre conoscenze sull’eziopatogenesi dei sintomi ed ha anche consentito di sperimentare farmaci efficaci.

Infatti, in alcuni paesi, sono già stati introdotti in terapia farmaci in grado di controllare la via di mTOR. I topi con una mutazione inattivante nel gene Tsc2 presentano deficit cognitivi e un breve trattamento con la rapamicina, un inibitore di mTOR, nel topo adulto è in grado di compensare i deficit sviluppati in precedenza.

La rapamicina, come è noto, si usa come immunosoppressore, in particolare dopo il trapianto di rene, e dunque la sua sperimentazione clinica per il controllo dei processi neoplastici del TSC non ha incontrato particolari ostacoli (Bissler et al., 2008). I trials sono ancora in corso e stanno valutando tutti gli aspetti rilevanti, dall’efficacia sui sintomi agli effetti collaterali indesiderati o tossici. Verso la fine del 2010, la FDA ha approvato un farmaco basato sulla rapamicina per pazienti affetti da forme del Complesso della Sclerosi Tuberosa con astrocitomi subependimali a cellule giganti che non possono essere trattati chirurgicamente.

I primi resoconti dell’impiego clinico di farmaci basati sulla rapamicina sembrano incoraggianti, tuttavia rimane il pericolo di ricrescita delle neoplasie al cessare del trattamento.

 

L’autrice della nota ringrazia il Presidente Giuseppe Perrella, con il quale ha studiato l’argomento trattato e preparato il presente testo sintetico, ed invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Nicole Cardon

BM&L-16 giugno 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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