Compiti simultanei rivelano caratteristiche della cognizione e del cervello
umano
GIUSEPPE PERRELLA
(Trascrizione
di Lorenzo L. Borgia)
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 26 maggio 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
TRASCRIZIONE DI UNA RELAZIONE ORALE]
Il presente testo è stato tratto dalla registrazione di una
relazione tenuta venerdì 13 aprile 2012 dal Presidente della Società Nazionale
di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, intervenendo ad un incontro su “Attenzione,
Coscienza e Controllo Cognitivo” organizzato da “Brain, Mind & Life
International”. Per i riferimenti bibliografici completi scrivere al dott.
Lorenzo L. Borgia all’indirizzo e-mail brain@brainmindlife.org.
(Settima
Parte)
Mi riferisco ad un aspetto psicologico che
posso così sintetizzare: l’opinione che ciascuno ha delle proprie prestazioni
confrontata con il loro reale livello, e l’influenza che questa opinione ha sul
modo in cui ciascuno di noi si gestisce. Ad esempio, se una persona ritiene a
torto di essere particolarmente abile ed efficiente nel fare più cose allo
stesso tempo, tenderà ad organizzare gli impegni e le azioni della vita
quotidiana secondo uno stile comportamentale che prevede sistematicamente la
contemporaneità, determinando verosimilmente un crescente peggioramento delle
prestazioni, se è vero quanto emerso dallo studio di Nass e colleghi.
David Sanbomnatsu, uno psicologo sociale
della Utah University, ha allestito con Watson e Strayer uno studio nel quale ha
chiesto, agli oltre 300 partecipanti, di dichiarare la frequenza con la quale
eseguissero compiti multipli e di formulare un’autovalutazione del grado di
abilità ordinariamente espressa in quelle prestazioni. I volontari sono poi
stati sottoposti ad un multitasking test.
In effetti, è stato impiegato un paradigma che in neuropsicologia si adopera
per valutare la working memory: tentare
di memorizzare una lista di elementi, trattenendola in mente mentre si risolve
un problema di matematica. La soluzione del quesito cognitivo funge da compito
interferente rispetto a quello di memorizzazione della lista, e la rievocazione
finale si ritiene fornisca una misura dell’estensione della memoria di
funzionamento. Sanbomnatsu e colleghi hanno anche studiato il profilo
psicologico dei partecipanti all’esperimento mediante questionari standard
volti ad accertare il livello di impulsività e di propensione a seguire delle
sensazioni.
L’esito delle prove è stato assolutamente
omogeneo: le persone che nella vita quotidiana erano maggiormente impegnate in
compiti multipli, presentavano una più bassa capacità di working memory, erano più impulsive, più propense a seguire le
sensazioni e tendevano a sovrastimare la propria abilità nell’eseguire più
compiti simultaneamente. In particolare, la percezione del proprio livello di
prestazione nei compiti multipli è risultata inversamente proporzionale
all’effettiva abilità dimostrata.
Come possiamo leggere questo risultato?
Intanto, rileviamo che non è stato ancora accertato se fare più cose allo
stesso tempo sia controproducente per la working
memory o se le persone con l’abitudine ai compiti multipli siano già meno
dotate in questo senso, magari per una ridotta estensione della memoria di
funzionamento e della capacità di mantenimento dell’attenzione su un singolo
compito. In tal caso, l’adozione dell’abitudine all’esecuzione di più procedure
allo stesso tempo, potrebbe avere un significato di compenso, perché la
segmentazione di ciascuna consentirebbe un effetto di momentaneo “carico e
scarico” della memoria di funzionamento, cui si aggiungerebbe lo stimolo
dell’attenzione nel passare da un compito ad un altro. Bisogna però osservare
che, se questa ipotesi si rivelasse corretta, il compenso da me ipotizzato si
limiterebbe a generare un effetto psicologico di stimolo e suggestione
positiva, non integrando la carenza di prestazione, se sono corretti i
risultati dello studio che ho citato.
Un’altra osservazione a commento degli esiti
del lavoro di Sanbomnatsu e colleghi è relativa alla motivazione che porta spontaneamente
all’esecuzione di più compiti contemporaneamente: se non è in questione una
migliore disposizione, ossia un fenotipo cerebrale più adatto all’elaborazione
multipla e all’attuazione simultanea - anzi, sembra che coloro che abbiano la
maggiore tendenza siano proprio i meno dotati - allora potrebbe essere in
questione un altro tipo di processo neurofunzionale e psicologico. Un
suggerimento viene da studi condotti nel 2007 da Stephen J. Payne e colleghi
dell’Università di Bath, in Inghilterra: dagli esperimenti si evince che i
volontari che tendevano a passare da una prova all’altra, puntavano ad
accrescere il tempo trascorso nell’attività più gratificante. Si può dunque
ipotizzare che coloro che tendono nella vita quotidiana ad eseguire
contemporaneamente più compiti siano persone inclini alla ricerca dell’effetto ricompensa: una caratteristica
compatibile con il profilo psicologico riscontrato dai ricercatori della Utah
University (Strayer & Watson, 2012).
Al termine di questo excursus si può affermare,
senza tema di smentita, che le evidenze sperimentali emerse dal lavoro dei
maggiori gruppi di ricerca in questo campo, indicano che l’esecuzione contemporanea
di due o più compiti riduce di molto le potenzialità di elaborazione degli
stimoli percepiti, riduce quasi sempre la qualità della prestazione e, infine,
l’esercizio non migliora gli esiti. Possiamo perciò comprendere lo scetticismo
imperante fra i ricercatori sia riguardo all’aneddotica relativa a presunte prestazioni
mirabolanti di alcune persone con capacità fuori dal comune, sia a proposito dell’utilità
di coltivare l’idea di esercitarsi alla simultaneità.
Eppure, come
eccezione a tutto ciò, si pone l’individuazione delle persone
iperdotate: i supertaskers dei quali
ho parlato proprio all’inizio di questa relazione.
[continua]