Perché uomo e scimmia differiscono nella memoria uditiva
DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 28 aprile 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Lo studio delle somiglianze e delle differenze fra il nostro encefalo e quello degli altri primati ha di recente fatto progressi, evidenziando elementi rilevanti quali la totale assenza nel macaco di aree corticali caratteristiche del cervello umano, o peculiarità morfo-funzionali e di espressione genica tipiche di ciascuna specie (Si veda “Cosa rende unico il cervello umano” nella sezione “Note e Notizie” in pubblicazioni settimanali dal 27-03-10 all’8-05-10).
Il cervello della scimmia è in grado di formare con estrema facilità rappresentazioni centrali di stimoli visivi e tattili, ma non sembra altrettanto efficiente nel generare memorie di suoni. La differenza con il nostro encefalo è notevole, perché la sua capacità di sviluppare e consolidare memorie uditive di lungo termine è di un’efficienza ed efficacia sorprendente, accostabile ai processi di conservazione delle tracce visive e di gran lunga superiore a quelli che consentono di ritenere gli effetti della stimolazione cutanea. Questa differenza è nota da tempo, ed ha suggerito ipotesi e congetture che hanno al centro l’abilità umana di usare codici linguistici verbali che consentono la comunicazione attraverso un riconoscimento altamente specifico di stimoli acustici.
L’uso della comunicazione verbale avrebbe influito su tutta la neurofisiologia uditiva, in particolare migliorando l’elaborazione del flusso di informazioni provenienti dalla coclea e che, dall’area 41 del lobo temporale, sono trasmesse agli altri territori corticali in cui avvengono processi dai quali derivano le nostre complesse ed articolate esperienze legate alla conoscenza acustica, che includono quelle appartenenti alla dimensione artistica della musica.
Si è
ipotizzato che la riproduzione subvocale dei suoni verbali e un processo di
“etichettatura verbale nascosta” degli stimoli ambientali, possano aver
contribuito all’organizzazione dell’informazione acustica in un modo che ha
favorito e migliorato il costituirsi di memorie di lungo termine. Se questa
ipotesi è corretta, l’immagazzinamento di segnali acustici rapidamente
fluttuanti potrebbe richiedere l’intervento del sistema motorio, che è
specificamente organizzato per associare a catena rapide sequenze. Questa
possibilità è stata sottoposta a vaglio sperimentale da Mortimer Mishkin del
Laboratorio di Neuropsicologia dell’NIH (Bethesda, USA), insieme con Kathrin
Schulze e Faraneh Vargha-Khadem dell’Unità di Neuroscienza Cognitiva dello
Sviluppo dello University College London (Londra, UK) (Schulze K. A., Vargha-Khadem
F. & Mishkin M., Test of a motor theory of long-term auditory memory. Proceedings of the National Academy
of Science USA [Epub ahead of print
doi:10.1073/pnas.1204717109], 2012).
La verifica sperimentale si è basata sul confronto di prestazione fra due tipi di compiti cui sono stati sottoposti soggetti volontari sani e dotati di abilità cognitive nella media normale. E’ stata valutata la capacità dei partecipanti nel riconoscere liste di stimoli che possono essere facilmente riprodotti, etichettati o entrambe le cose (pseudo-parole, suoni non verbali e parole) e confrontata con l’abilità nel riconoscere una lista di stimoli che possono essere riprodotti solo con un impegno attivo che consenta di superare la difficoltà che si incontra se si presume di potervi riuscire di getto (in particolare, parole invertite, ossia unità verbali riprodotte in successione inversa).
I punteggi di riconoscimento, dopo intervalli di 5 minuti occupati da prove di soppressione articolatoria, sono stati relativamente alti (risposte corrette: 75-80%) per tutti i tipi di suono, eccetto le parole invertite, per le quali i punteggi registrati non erano molto superiori a quelli che si sarebbero ottenuti con risposte casuali (corrette: 58%). Da notare che questi stimoli acustici erano discriminati pressoché perfettamente quando presentati come coppie di parole invertite con brevi intervalli temporali fra i due termini.
Il complesso dei risultati registrati, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo del lavoro originale, può essere interpretato come una prova a sostegno di una partecipazione del cosiddetto “sistema oromotorio” alla costituzione della memoria per i suoni della lingua parlata, e una dimostrazione che le memorie uditiva e verbale possono essere così criticamente dipendenti l’una dall’altra da giustificare la possibilità di una coevoluzione.
Naturalmente, prima che si possa pronunciare una parola decisiva, sarà necessario ancora molto lavoro di ricerca, condotto anche con altre metodologie che consentano di ottenere prove morfo-funzionali di una dipendenza dai processi cerebrali legati alla comunicazione verbale, della capacità umana di memorizzare e confrontare intere sinfonie, così come le caratteristiche di due generi musicali seguiti in due diverse epoche della vita.
L’autrice della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle numerose recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono
nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del
sito).