Compiti simultanei rivelano caratteristiche della cognizione e del cervello
umano
GIUSEPPE PERRELLA
(Trascrizione
di Lorenzo L. Borgia)
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 28 aprile 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
TRASCRIZIONE DI UNA RELAZIONE ORALE]
Il presente testo è stato tratto dalla registrazione di una
relazione tenuta venerdì 13 aprile 2012 dal Presidente della Società Nazionale
di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, intervenendo ad un incontro su “Attenzione,
Coscienza e Controllo Cognitivo” organizzato da “Brain, Mind & Life
International”. Per i riferimenti bibliografici completi scrivere al dott.
Lorenzo L. Borgia all’indirizzo e-mail brain@brainmindlife.org.
(Terza
Parte)
Lasciamo in sospeso questo interrogativo per
un doveroso sguardo alla ricerca che ha preceduto gli studi di cui ci siamo
finora occupati, sia perché da molto tempo si è indagato questo campo con
risultati talvolta rilevanti, sia perché la conoscenza di acquisizioni ed
errori del passato può consentire una migliore comprensione ed un più meditato
giudizio dei risultati e dei progetti attualmente in corso.
L’esecuzione contemporanea di due compiti può
comportare interferenza sia nei processi di elaborazione necessari alla loro
guida cognitiva, sia negli atti che materialmente li pongono in essere. In
alcuni casi le ragioni dell’impossibilità creata dall’interferenza sono
intuitive; basti pensare al cantare una canzone e leggere una poesia
contemporaneamente: gli apparati per la produzione canora e fonoarticolatoria
costituiscono una via finale comune che può essere occupata da una sola delle
due attività per volta.
La via di esecuzione motoria può considerarsi
neurologicamente indipendente per i due arti superiori, così che le mani di un pianista,
di un violinista o di un chitarrista, possono eseguire sequenze di movimenti
diversi allo stesso tempo. Naturalmente le prestazioni in campo musicale sono
frutto di un lungo esercizio che proceduralizza le memorie psicomotorie rendendole
automatismi indipendenti dalla coscienza, la quale si limita ad agire come un
interruttore per sequenze memorizzate anche in parallelo. In generale, la
maggior parte dei primi studi sul “compito doppio”, si sono basati sulla
capacità potenziale di un uso indipendente delle due mani, senza un particolare
allenamento. Nel 1979, Kelso, Southard e Goodman, indagarono le prestazioni simultanee
delle due mani, chiedendo a dei volontari di raggiungere e toccare con la
destra e la sinistra, indipendentemente, bersagli di varie dimensioni posti a
distanze variabili. Come è noto, secondo la legge di Fitts (Fitts e Peterson,
1964), il tempo necessario a raggiungere un bersaglio aumenta con l’aumentare
della distanza e il diminuire delle dimensioni, sicché quando i ricercatori chiesero
di toccare un bersaglio piccolo e distante con la mano sinistra ed uno grande e
vicino con la mano destra, si attendevano una netta differenza fra i due
compiti. Accadde, invece, che la mano destra dei volontari rallentasse tanto da
portarli ad eseguire contemporaneamente i due atti, ma con una notevole perdita
di efficienza. Un simile comportamento, con piccole variazioni, fu osservato in
pressoché tutte le persone sottoposte alla prova. Questo risultato fu
attribuito all’impiego di quello che si ritenne un “canale motorio comune”,
nonostante l’innervazione piramidale distinta dei due antimeri.
Dopo questo studio, ve ne furono numerosi
altri che, indagando compiti diversi, sostanzialmente confermarono il
risultato, proponendo un dato costante: l’esecuzione contemporanea crea una
difficoltà neurofunzionale che induce a rallentare uno dei due compiti, che
viene generalmente sospeso fino a quando il primo non sia stato completato. Per
descrivere questo fenomeno si parlava, non tanto appropriatamente, di refrattarietà. Risultò presto evidente
che il ritardo nell’esecuzione del compito rinviato non è costante e dipende
dalle richieste funzionali dei due processi in “competizione”.
In realtà Posner e Boies, in un elegante
esperimento considerato un “classico” nello studio della richiesta di
attenzione di un’operazione cognitiva, avevano in un certo senso già affrontato
il problema del compito doppio nel 1971.
I due ricercatori avevano lo scopo di
misurare il grado di attenzione necessario allo svolgimento di un compito
principale, usando un secondo compito come distrattore. In particolare, i
volontari reclutati per quell’esperimento furono avvertiti che avrebbero dovuto
indicare se due lettere dell’alfabeto presentate loro in successione fossero
fra loro diverse o si trattasse della stessa lettera ripetuta e, nel corso di questa
semplice prova, avrebbero dovuto fare attenzione ad un segnale acustico che
sarebbe potuto intervenire in qualsiasi momento. L’esecuzione della prova
comportava che, distinguendo sulla base del semplice criterio uguale/diverso, tutte
le lettere presentate sarebbero state classificate. In pratica, comparsa la
prima lettera (es.: “A”), dopo un intervallo definito (es.: un secondo)
appariva la seconda lettera (es.: “B”) e il soggetto sottoposto alla prova
doveva rispondere premendo uno di due tasti, impiegando uno di due dita della
mano destra, per indicare diversità (come in questo caso) o uguaglianza. Alla
percezione del suono/segnale, poi, doveva immediatamente premere un tasto con
la mano sinistra.
Posner e Boies assumevano che il differente
grado di attenzione richiesto dal compito principale (si pensi alla distinzione
fra “I” ed “M”, o fra “Q” ed “O”) determinasse un effetto direttamente
proporzionale sul ritardo di risposta al segnale acustico, consentendo di
tracciare sulla base di questi tempi di reazione il profilo di richiesta
attenzionale nella classificazione rapida delle lettere dell’alfabeto.
Nonostante questo esperimento sia poi stato
considerato un modello di procedura per qualche decennio, fu subito giustamente
criticato perché entrambi i compiti chiedono una risposta manuale e, come
abbiamo visto, le due mani non possono essere considerate appartenenti a due
sistemi di risposta totalmente indipendenti. Infatti, si osservò che lo studio
molto probabilmente rilevava l’interferenza nella parte esecutiva della
risposta, e non nella componente cognitiva decisionale. Per questo motivo tutti
gli studi che, modellati sul procedimento di Posner e Boies, miravano a
studiare le prestazioni nei compiti doppi non sono stati considerati probanti.
McLeod (1978) fece tesoro delle osservazioni
critiche su questo paradigma e perciò decise, dopo la ripetizione di tutta la
procedura, di introdurre una variante: la risposta al segnale acustico sarebbe
stata data a voce, pronunciando un “bip”, invece che manualmente premendo un
tasto. In altri termini, aveva deciso di impiegare un diverso “canale
esecutivo”. I risultati non tradirono le aspettative, perché la ripetizione
fedele del primo esperimento con la risposta manuale confermò l’esito di Posner
e Boies, ma la versione con la pronuncia del “bip” mostrò un’interferenza
minima.
Non si deve però credere che questi studi
dimostrassero che l’unica interferenza fosse data dall’occupazione dello stesso
canale in uscita; in questo tipo di prove tale ostacolo esecutivo era
senz’altro una ragione importante, tuttavia una grande mole di dati desunti da
altri paradigmi sperimentali indicava una forte riduzione di prestazione
nell’esecuzione di due operazioni cognitive distinte e concomitanti. In realtà,
la vocalizzazione di “bip” all’ascolto del segnale acustico, è paragonabile ad
un processo automatico che non richiede una particolare elaborazione attuale e,
dunque, interferisce poco o nulla con il compito cognitivo attivo basato sul
riconoscimento percettivo.
Sulla scorta di varie osservazioni, e
soprattutto di esperimenti condotti in precedenza da Greenwald e Shulman
(1973), McLeod e Posner, insieme, attuarono nel 1984 uno studio di importanza cruciale
in questo senso, perché dimostrarono che l’interferenza tra i due compiti era
minima quando i volontari dovevano semplicemente ripetere uno stimolo acustico
verbale (es.: udivano “su” e dicevano “su”), mentre diventava consistente
quando dovevano rispondere associando concettualmente una parola (es.: “alto”
per “su” e “basso” per “giù”). Dunque se uno dei due compiti era automatico
poteva bene coesistere con l’altro.
Mi piace notare che gli esperimenti sul
possibile effetto negativo del comunicare per telefono durante la guida di un
autoveicolo, non sono un portato di recenti preoccupazioni legate alla
diffusione capillare dei telefoni cellulari e all’uso eccessivo che oggi ne
facciamo in ogni momento della giornata, ma risalgono addirittura agli anni
Sessanta. Brown, Tickner e Simmonds (1969) hanno studiato degli autisti che,
mentre per telefono rispondevano alle domande di una prova di valutazione
sintattica, dovevano compiere un percorso allestito in un campo di aviazione,
lungo il quale erano stati disposti dei varchi delimitati da due montanti: solo
alcuni di tali passaggi erano di dimensioni sufficienti per essere
attraversati. Il compito di ragionamento non interferiva minimamente con la
capacità di guidare e transitare con sicurezza attraverso i varchi ampi, ma
comprometteva la normale capacità di riconoscere per tempo quelli di dimensioni
ridotte che non avrebbero consentito il passaggio.
[continua]