Insonnia rivisitata

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 24 marzo 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’insonnia è il disturbo del sonno con la più alta prevalenza, interessando approssimativamente il 10% della popolazione generale, secondo il Consensus Panel Report dei National Institutes of Health (NIH, USA). L’insonnia primaria, ossia la forma non secondaria a patologie di alcun tipo, inclusi i disturbi psichiatrici, e non dovuta ad abuso di sostanze psicotrope, all’effetto di farmaci o ad altre alterazioni del sonno, da quasi due decenni ha particolarmente attratto l’interesse della ricerca neurobiologica, perché si ritiene che il riconoscimento delle sue cause possa chiarire meccanismi ancora sconosciuti della fisiologia del sonno, e suggerire terapie più mirate ed efficaci di quelle attualmente disponibili. L’insonnia secondaria a malattie, tossicodipendenza, farmaci e, in generale, sviluppata come sintomo nel quadro di stati di alterazione della normale fisiologia sonno-veglia (comorbid insomnia) presenta una prevalenza maggiore, ma l’interesse sperimentale per la sua patogenesi è da ricondursi a quello delle condizioni che l’hanno prodotta.

L’insonnia primaria accresce la possibilità di sviluppare depressione, può ridurre l’abilità nell’esecuzione di prove complesse che richiedono attenzione, incide sulla fisiologia di molti organi ed apparati, accrescendo la vulnerabilità a vari tipi di patologie, riducendo la sensazione soggettiva di benessere, e innescando circoli viziosi psico-neuro-endocrino-immunologici che peggiorano, sia pure spesso in modo non direttamente evidente, la qualità della vita.

Il nostro sonno può considerarsi un fenotipo complesso regolato dall’interazione di molti geni con vari fattori ambientali. Gli studi sui gemelli hanno fornito straordinarie evidenze dell’importanza dei geni nell’insonnia primaria. L’esempio più noto e grave di insonnia genetica è la forma mortale causata da una mutazione puntiforme nel gene della proteina prionica (Montagna et al., 2003), detta insonnia familiare fatale (FFI, da fatal familial insomnia) e particolarmente studiata in Italia da Elio Lugaresi e collaboratori. Nella FFI è stata descritta una degenerazione del talamo che si ritiene responsabile della perdita del sonno ad onde lente.

I meccanismi neurochimici alla base dell’insonnia sono ancora in gran parte sconosciuti e, dunque, rappresentano un importante terreno di cimento per la ricerca degli anni a venire (Perrella, 2012). Gli attuali modelli di insonnia sono incentrati su una fase di veglia caratterizzata da uno stato di allerta con ipervigilanza, prodotto dall’interazione fra fattori biologici, cognitivi ed emotivi (Hall-Porter et al., 2010). Il neuroimaging funzionale eseguito durante il sonno e la veglia di pazienti insonni e persone sane, ha fornito supporto all’ipotesi secondo cui, nell’encefalo degli insonni, regioni che svolgono un ruolo-chiave nella regolazione della veglia, non solo non si disattivano mentre la persona dorme, come accade in condizioni normali, ma sono anche inadeguatamente attive durante la veglia (Nofzinger, 2008). Proprio questi rilievi effettuati nell’uomo hanno indicato l’importanza di studi preclinici volti a caratterizzare i cambiamenti neurochimici dipendenti dal sonno nelle aree encefaliche che partecipano alla regolazione dei due stati fisiologici fondamentali del cervello e del corpo.

E’ importante notare che, come in altre aree della farmacoterapia psichiatrica, anche nel trattamento dell’insonnia la sperimentazione farmacologica ha storicamente preso le mosse da evidenze empiriche e, definiti i limiti di tossicità e di efficacia in rapporto alle dosi, ha studiato molecole per indurre o favorire il sonno fisiologico fin da quando non si sapeva nulla della biologia molecolare di questa funzione e ben poco della sua neurofisiologia. Naturalmente non si può trascurare che, come è accaduto nel caso dei farmaci ansiolitici e di altri psicofarmaci, anche nel caso della ricerca di molecole in grado di vincere l’insonnia, la farmacologia sperimentale ha fornito una traccia per studi neurobiologici e neurochimici di base. Attualmente il trattamento dell’insonnia può avvalersi di un discreto numero di molecole, il cui razionale di impiego di basa sulle nozioni correnti di neurochimica del sonno. Negli USA, la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato, specificamente per il trattamento dell’insonnia, nove molecole di agonisti dei recettori delle benzodiazepine, il ramelteon, che è un agonista dei recettori della melatonina MT1 e MT2, e l’antidepressivo triciclico doxepina (Roth et al., 2010).

Gli agonisti del recettore delle benzodiazepine, raccomandati per i trattamenti farmacologici di primo livello, hanno un sito di legame presso il complesso recettoriale GABAA del neurotrasmettitore inibitorio, acido γ-aminobutirrico (GABA), ed agiscono come modulatori allosterici che rafforzano l’inibizione mediata dal GABA endogeno. Attualmente si ritiene che il meccanismo in grado di favorire il sonno a partire dall’azione recettoriale, consista nell’inibizione di neuroni monoaminergici e colinergici implicati nel promuovere la veglia.

Ricordiamo che in passato si usavano farmaci ipnotici detti “sonniferi”, ossia barbiturici in grado di far insorgere il sonno indipendentemente dal bisogno espresso dallo stato di fondo dell’organismo, provvisti di numerosi effetti collaterali indesiderati e spesso impiegati nel suicidio mediante farmaci. Furono abbandonati in seguito all’introduzione delle benzodiazepine, quali il nitrazepam (mogadon), per il quale Galeano Munoz coniò il termine “euipnico” in quanto, a differenza dei barbiturici che inducevano il sonno in qualsiasi momento e con un tracciato EEG non fisiologico, questa molecola favoriva l’addormentarsi nelle ore normalmente deputate al riposo notturno, con fasi EEG del tutto simili a quelle dei soggetti sani non trattati. Attualmente, una parte degli agonisti GABAergici impiegati in terapia ha struttura benzodiazepinica (flurazepam, triazolam, temazepam, estazolam, quazepam), mentre il rimanente ha una diversa natura chimica (eszopiclone, zaliplon, zolpidem e zolpidem a rilascio esteso), ma tutti si legano alle sotto-classi di recettori GABAA costituiti dalle subunità α1-3,5β2,3γ2,3.

Ci soffermiamo sui recettori GABAA, rimandando ai manuali e alle rassegne di farmacoterapia dell’insonnia il prosieguo della trattazione farmacologica, per discutere l’accertamento di una traccia genetica molto promettente per la comprensione di un certo numero di casi di insonnia primaria.

E’ stata identificata nell’uomo una mutazione puntiforme espressa come una subunità β3 alterata nel complesso recettoriale GABAA.

Per lo studio dell’insonnia è rilevante che le analisi funzionali dei recettori GABAA umani contenenti la subunità β3 mutata abbiano mostrato che la proteina alterata determinava una disattivazione più rapida del canale del cloro (Buhr et al., 2002). Una tale mutazione potrebbe avere l’effetto di ridurre la trasmissione inibitoria GABAergica. Dieci anni or sono fu scoperto un paziente affetto da insonnia cronica, portatore di questa mutazione (Buhr et al., 2002). Da allora è stata avanzata l’ipotesi che una riduzione della trasmissione GABAergica potrebbe essere, più in generale, un processo patogenetico alla base dell’insonnia umana; oppure, la riduzione dell’inibizione GABA per cause genetiche, potrebbe contribuire in modo più o meno marcato all’espressione del fenotipo dell’insonnia.

Sulla scorta di queste osservazioni sono stati condotti studi su roditori ingegnerizzati. Nello stesso anno dell’individuazione del genotipo umano con mutazione nella subunità β3, fu rilevato che topi mancanti di questa subunità mostravano un’alterata risposta del sonno alla benzodiazepina midazolam (Wisor et al., 2002).

In precedenza era stato accertato che una mutazione puntiforme nel gene per la subunità α del recettore GABAA, rendeva i topi insensibili all’induzione del sonno. In particolare, somministrando dosi di diazepam (valium) in grado di indurre il sonno negli animali di controllo, si rilevava che, i roditori portatori della mutazione nella proteina α del complesso molecolare costituente il recettore GABAA, rimanevano perfettamente svegli ed attivi senza risentire minimamente dell’azione del farmaco ansiolitico che produce a dosi più elevate effetto di induzione del sonno.

Attualmente la ricerca è impegnata nell’identificazione, nei sistemi recettoriali dei neurotrasmettitori, di mutazioni ed alterazioni geniche che appaiano in grado di aumentare il rischio di insonnia.

 

L’autrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia per le integrazioni e la correzione del testo, ed invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-24 marzo 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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