Il cervello dei balbuzienti riserva sorprese
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 11 febbraio 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
AGGIORNAMENTO]
Tradizionalmente
considerata una manifestazione di timidezza ed attribuita all’emotività, la balbuzie dell’infanzia e dell’adolescenza è
stata affrontata in passato come un “difetto da correggere” per evitare che se
ne potesse ridere se conservata da adulti, come voleva la cultura popolare
riflessa nella commedia dell’arte che ne aveva fatto una maschera di nome
Tartaglia. Ma in epoca recente, quando già il trattamento della balbuzie,
classificata fra le disfemie o disturbi del flusso della parola, era
affidata ai logopedisti, si è andata affermando una concezione dell’origine
totalmente psicologica e, da parte di numerosi autori, definita in chiave
psicodinamica. Come per altri disturbi, più o meno strettamente riconducibili
alla sfera neuropsichica, l’appropriazione dell’argomento da parte di
interpreti della cultura psicoanalitica ha dato adito alla possibilità di
esercitare l’abilità di elaborare congetture a partire dalla forma simbolica
del sintomo, ragionando in modo apparentemente simile a quello impiegato dal
padre della psicoanalisi, per realizzare delle costruzioni arbitrarie, poi regolarmente
proposte come teorie scientifiche.
Esempi
significativi si trovano nel “Breviario di Patologia della Comunicazione” di
Schindler (Omega, Torino, varie edizioni a partire dagli anni Ottanta), un
testo di riferimento per la formazione di foniatri e logopedisti in Italia.
Ecco alcuni brani che, in cattivo italiano, fanno strame dei concetti
psicoanalitici originari e del buon senso applicato alla conoscenza delle
persone balbuzienti:
Per la teoria psicoanalitica la balbuzie è considerata come
«nevrosi di conversione pregenitale». […] Quando le pulsazioni (sic! Leggi: pulsioni) dell’Es vengono bloccate dall’Ego queste possono
trasferire altrove la loro energia (conversione) interferendo ad esempio sulla
normalità di una o più funzioni somatiche. La pregenitalità della conversione
indica che le pulsioni sono di tipo pregenitale e con maggior precisione «di
tipo sadico-anale» in seguito ad una regressione che ha spostato l’energia
istintuale dal livello genitale o fallico a quello anale. Analogamente alla
caratteristica della fase anale del “trattenere-rilasciare” nella balbuzie vi
sarebbe un conflitto “dire-non dire” in rapporto all’uso della parola come arma
molto potente […] così un particolare freno egoico deve essere esercitato
quando parlando a persone autoritarie «le si potrebbe uccidere o colpire con
l’onnipotenza della parola». […] Secondo Glauber il personaggio centrale
sarebbe rappresentato dalla madre del balbuziente, piuttosto succube nei
confronti della di lei madre. Dal conflitto non risolto con la madre, sviluppa
comportamenti piuttosto maschili per tentare in questo modo di conquistare la
propria autonomia: rimane peraltro infantile ed immatura con elementi di
dipendenza ed aggressività associati a forti sensi di colpa. Cerca un marito
sul quale potere imporsi ma che come tale non soddisferà le sue profonde
esigenze di femminilità associate ad una richiesta fantastica di un partner
assai virile” (Schindler, op.
cit., pp. 154-155).
Ecco,
con questo genere di testi, medici e terapisti del linguaggio si preparavano a
comprendere le cause della balbuzie. E’ importante, a mio avviso, sapere da
dove si è partiti per potersi rendere conto di quanta strada si è percorsa
negli ultimi anni e, soprattutto, delle difficoltà che ancora si incontrano nel
comunicare i risultati della ricerca scientifica a professionisti formati con
questo tipo di… materiale scritto.
Attualmente,
se si eccettua il balbettare causato da un’esperienza traumatica e l’episodica
interruzione del flusso dell’eloquio per effetto di intensa emozione o
stanchezza, gli aspetti psicologici della balbuzie sono considerati soprattutto
in termini di fenomeni concomitanti o conseguenti, e non come il primum movens del sintomo. Oggi, sebbene
non si possa attribuire alla forma clinica uno specifico significato
eziopatogenetico, si conserva la classificazione di impronta neurologica che
riconosce una forma
tonica (caratterizzata
dall’arresto con il prolungamento del suono di una sillaba), una clonica (con la tipica ripetizione di un
suono sillabico o vocalico) e una mista (con caratteristiche toniche e cloniche), cui si
aggiungono la sincinetica o labiocoreica (con fini contrazioni delle labbra e della lingua e
conseguenti difficoltà nella pronuncia delle bilabiali /p/ e /b/ e delle
dentali /d/ e /t/) e la gutturale-tetanica (con spasmi dei muscoli faringei e laringei che comporta difficoltà
nella pronuncia di /gh/ e /k/).
Nel
98% dei casi, secondo l’American Psychiatric Association, l’esordio precede i
10 anni di età, con una prevalenza di circa l’1% nei prepuberi e dell’8 per
mille fra gli adolescenti, con un rapporto maschi/femmine di 3 a 1. Da tempo è
nota la familiarità del disturbo: la presenza di altri disturbi della fonazione
non acquisiti aumenta la probabilità, con un aumento del triplo della possibilità
di sviluppare balbuzie nei parenti biologici di primo grado dei balbuzienti. Si
è stimato che il 20% dei figli e il 10% delle figlie dei maschi balbuzienti
svilupperanno il disturbo. I miglioramenti indotti dai trattamenti, variano
nelle stime dal 20 all’80%, come pure è varia nelle statistiche epidemiologiche
la percentuale di coloro nei quali il disturbo scompare spontaneamente, e in
apparenza del tutto, prima dei 16 anni.
Gli
studi di neuroimaging funzionale
hanno rilevato delle differenze nel controllo corticale della produzione verbale fra balbuzienti e persone prive del disturbo, evidenziando anche altre
particolarità che hanno indotto vari gruppi di ricerca ad approfondire lo
studio del cervello dei bambini e degli adulti che non presentano un flusso
dell’eloquio integro.
Un
aspetto di particolare interesse riguarda la fisiologia dei sistemi di neuroni
che consentono una perfetta coordinazione fra i circuiti dell’ideazione
comunicativa e dell’articolazione fonetica. Quando parliamo, l’esatta esecuzione
dei movimenti fonoarticolatori, che includono l’azione delle fibre muscolari
delle corde vocali, della laringe, del velopendulo del palato molle, della
lingua, delle guance e delle labbra, richiede un controllo cerebrale che impiega come guida il ritorno acustico della voce emessa, istante per
istante. La perfetta integrazione delle informazioni relative ai movimenti in
uscita e ai suoni in entrata si verifica, nella maggior parte delle persone,
nella corteccia
premotoria dell’emisfero sinistro. Secondo quanto rilevato da studi
basati sull’imaging funzionale
dell’encefalo, nei balbuzienti questo processo avviene nell’emisfero destro, probabilmente perché un deficit
funzionale dei circuiti specializzati della corteccia del lobo frontale di
sinistra induce l’intervento compensativo delle popolazioni neuroniche del lato
opposto.
Un controllo cerebrale simile a quello
esercitato nel parlare, e basato su informazioni provenienti dalla recezione
uditiva della propria voce, si verifica nel canto, ma in questo caso l’integrazione dei dati sensoriali e
motori necessaria all’ottimizzazione della prestazione ha luogo
fisiologicamente, nella maggior parte delle persone, nell’emisfero destro. Su questa base si spiega perché
spesso i balbuzienti nel cantare non balbettino e su questo compenso si fonda
la ratio degli esercizi di lettura ed
espressione in voce cantata che si impiegano nel trattamento logopedico del
disturbo.
L’intervento
ottimizzatore della corteccia prefrontale sinistra, che riceve il ritorno
uditivo della voce emessa, non funziona bene in chi è affetto da balbuzie;
dunque, interferire con questo intervento,
disattivandolo, potrebbe migliorare la prestazione. E, infatti, nella maggior
parte dei casi è così: mettendo degli auricolari collegati ad un apparecchio
che trasmette musica, col volume regolato in maniera tale da non sentire la
propria voce, il balbuziente riesce a parlare senza tartagliare o arrestarsi su
una sillaba. Questo artificio è noto da tempo, ed è stato anche inserito nel
film The King’s Speech, ma solo di
recente si è cominciato a comprenderne la base neurale.
Proprio
analizzando i dati relativi alle particolarità nell’elaborazione del linguaggio
da parte del cervello degli affetti da balbuzie, si è fatta strada l’ipotesi
che l’encefalo di queste persone presenti una generale configurazione delle
connessioni
profondamente diversa da quella della media normale: una sorta di fenotipo
connessionale particolare, se non patologico. E’ anche interessante rilevare
che, l’analisi dei risultati ottenuti negli studi recenti, non ha confermato
l’ipotesi secondo cui la balbuzie sarebbe sempre associata al mancinismo e, per
la legge dell’innervazione crociata, esprimerebbe una dominanza destra, invece di una compensazione dell’emisfero destro
sul sinistro deficitario. Di passaggio, ricordiamo che in molti paesi è diffusa
la convinzione popolare secondo cui i balbuzienti siano sempre mancini, e tale
associazione è stata menzionata nel film The
King’s Speech. Ma, a quanto risulta dalle indagini più recenti,
l’intervento della corteccia prefrontale di destra nel controllo dell’eloquio non
sarebbe espressione di dominanza invertita, ma potrebbe avere un significato
adattativo vicariante, nel quadro di una più generale differenza fra sostrato
anatomico e fisiologia dei sistemi.
L’ipotesi
secondo cui compiti
motori senza alcun
rapporto col linguaggio abbiano una base morfo-funzionale diversa nel cervello
dei balbuzienti, per effetto di un’organizzazione neurale differente, è stata
messa alla prova da Martin Sommer e colleghi dell’Università di Göttingen in
Germania (Cortex, Sept. 2011). I
ricercatori hanno studiato il cervello di 30 volontari, 15 balbuzienti e 15
fungenti da gruppo di controllo, mediante l’impiego di prove motorie e l’uso
della stimolazione
magnetica trans-cranica
(TMS, da transcranial magnetic stimulation), una metodica non invasiva, qui
impiegata per disattivare parzialmente e temporaneamente, a turno, ciascun
emisfero, e rilevare il ruolo dell’altro. In una prova, i volontari dovevano
battere un dito seguendo il ritmo scandito da un metronomo e, in condizioni di
base, nessuno dei partecipanti aveva difficoltà nell’esecuzione. Quando i
ricercatori hanno attivato la TMS sull’emisfero destro, le persone appartenenti al gruppo
di controllo non hanno fatto rilevare differenze, mentre i balbuzienti non sono
apparsi in grado di tenere il ritmo. Quando la TMS è stata praticata in corrispondenza dell’emisfero sinistro, le parti si sono invertite, con i
balbuzienti perfettamente in grado di tenere il tempo e i volontari
normofluenti incapaci di esecuzione corretta.
L’insieme
dei risultati emersi da questa sperimentazione e da altre simili, suggerisce
che il difetto
funzionale
dell’emisfero sinistro delle persone affette da balbuzie, causa problemi con l’integrazione sensoriale in generale, invece che specifiche
alterazioni limitate ai processi di produzione ed esecuzione linguistica, come
storicamente ipotizzato e fino ad oggi ritenuto dalla maggior parte dei
clinici. Lo stesso Sommer paragona questo difetto funzionale a quello che si
determina per effetto di perdita di tessuto nervoso come conseguenza di un ictus: come in quel caso i sottosistemi
indenni dell’emisfero controlaterale intervengono per compensare il deficit in una gamma estesa,
anche se inapparente, di sottoprocessi. Tuttavia, i circuiti neurali
dell’emisfero destro non si sono evoluti per questo specifico tipo di compiti,
perciò la loro sostituzione degli omologhi di sinistra, pur efficace, sarà
sempre insufficiente e, in compiti altamente specializzati
come quello della regolazione del flusso fonoarticolatorio del discorso, i
limiti si rendono evidenti.
La
definizione delle condizioni in cui si manifestano i limiti prestazionali per
abilità diverse da quelle della comunicazione verbale nelle persone che
balbettano, non è che il primo passo di un lungo percorso che porterà alla
completa definizione delle peculiarità dell’organizzazione funzionale del
cervello dei balbuzienti.
L’autore della nota ringrazia il
Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, con il
quale ha studiato e discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle
recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).