Il sapore della soppressione immunitaria e le nuove frontiere della psicoimmunologia

                                                                                                                                           

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X – 04 febbraio 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Quando oltre un secolo fa Ivan Pavlov accertò che il riflesso di salivazione attivato in un cane alla vista del cibo poteva essere evocato dal semplice suono di un campanello, che in precedenza era stato costantemente associato all’arrivo del pasto, non aveva solo compreso la genesi di un riflesso condizionato, ma aveva aperto una via per la comprensione di un processo di base che caratterizza l’apprendimento nei sistemi biologici. Furono infatti gli allievi di Pavlov che, all’inizio del XX secolo, ipotizzarono che oltre al sistema nervoso anche il sistema immunitario avrebbe potuto apprendere per condizionamento associativo, conducendo studi pionieristici in questo campo. Purtroppo, la fama e il rilievo per la psicologia del riflesso condizionato come modello di apprendimento, oscurò queste ricerche che finirono nel dimenticatoio per decenni.

Robert Ader, che nel 1975 coniò il termine psiconeuroimmunologia per definire la nuova disciplina di cui era il principale fondatore, fu il primo a dimostrare che il sistema immunitario è suscettibile di condizionamento mediante la procedura associativa classica. E’ ormai celebre l’esperimento in cui somministrò ripetutamente, a ratti e topi, saccarina insieme con un farmaco in grado di indurre un disturbo che portava i roditori, per associazione, ad evitare l’acqua dolcificata con saccarina. Un effetto collaterale di quel farmaco era l’immunosoppressione. Quando, dopo tempo, iniettò negli animali solo saccarina, molti di essi morirono per immunosoppressione[1]. L’esperimento è stato poi ripetuto in numerose varianti, impiegando semplice saccarosio per dolcificare l’acqua da bere e una immunosoppressione più blanda, ma con risultati che hanno sempre confermato gli esiti della prima prova.

Nel tempo, la possibilità di condizionare il sistema immunitario dei roditori è stata impiegata per prolungarne la sopravvivenza dopo trapianto cardiaco, per rallentare e cercare di arrestare la progressione del lupus eritematoso sistemico, dell’artrite autoimmune e di altre malattie da autoaggressione immunitaria in modelli patologici sperimentali.

Ma, nonostante queste e numerose altre prove ottenute negli animali, molti ricercatori sono rimasti a lungo scettici circa la possibilità che un simile condizionamento del sistema immunitario si potesse indurre anche nella nostra specie. Nel 2002, un gruppo di ricerca di cui faceva parte Manfred Schedlowski, riuscì a ripetere nell’uomo, in uno studio condotto sulla falsariga dell’esperimento di Ader, l’apprendimento condizionato della risposta, ma ottenendo l’effetto in una singola prova. In altri termini, l’immunosoppressione poteva essere evocata una sola volta.

Lo stesso Schedlowki, che è ricercatore nel campo della psicologia medica presso l’Università di Duisberg-Essen in Germania, ha così commentato in una recente intervista di Lauren Friedman, l’esito del lavoro di dieci anni fa: “Se può verificarsi una sola volta, si tratta di un fenomeno interessante per comprendere i rapporti fra cervello e sistema immune, ma privo di utilità clinica”.

La sperimentazione in questo campo è proseguita, e lo scorso anno Schedlowski e colleghi hanno compiuto uno studio, poi pubblicato sulla rivista Brain, Behavior and Immunity, che aveva lo scopo di verificare se fosse possibile indurre per apprendimento condizionato una risposta immunosoppressiva sostenuta ed evocabile più di una volta. Questa sessione sperimentale si è valsa della creazione di una bibita speciale, realizzata allo scopo di ottenere un’impressione percettiva, e in particolare gustativa, unica e, perciò, bene distinguibile e non sovrapponibile ad altre. Si trattava di un latte alla fragola che, invece di avere un aspetto rosato derivante dal colore scarlatto del frutto, si presentava di una bella tinta verde e, invece di avere odore di menta, di fragola o di latte, profumava di lavanda. I trentadue volontari partecipanti all’esperimento hanno assunto la nuova bibita per 3 giorni di seguito ma, con questa, a una metà è stato dato un farmaco ad effetto immunosoppressivo e all’altra metà una pillola di placebo, ovviamente con somministrazione “in cieco”. I volontari sono stati studiati verificando gli indici di immunosoppressione, ad esempio misurando nel plasma il livello di molecole rilevanti nella risposta immunitaria.

Dopo 5 giorni, la prima volta, e dopo 11 giorni, una seconda volta, tutti i partecipanti hanno ricevuto il latte verde alla fragola profumato di lavanda, con una pillola di placebo: in entrambi i casi il sistema immunitario del gruppo che in precedenza aveva assunto l’immunosoppressore è andato incontro a una depressione funzionale, mentre i reperti del gruppo di controllo non hanno fatto registrare alcun cambiamento di rilievo.

Questo studio ha dimostrato per la prima volta che l’immunosoppressione appresa può essere riattivata più di una volta e, dunque, potenzialmente richiamata più volte nel tempo per un trattamento di malattie autoimmuni con basso impiego del farmaco. Se il prosieguo degli studi confermerà questi risultati e dimostrerà che è possibile sfruttare l’evocazione dell’effetto principale del farmaco senza i suoi effetti collaterali indesiderati o tossici, si sarà compiuto un notevole progresso nella terapia delle malattie a patogenesi auto-aggressiva, che oggi è gravata e limitata da conseguenze che vanno dall’ipertensione all’insufficienza renale.

Per il momento è necessario studiare come rinforzare l’effetto condizionato e determinarne la durata in funzione di un’effettiva durata terapeutica, tuttavia si può dire che, a dieci anni di distanza dal rilievo di un fenomeno “clinicamente irrilevante”, qualche passo in avanti è stato compiuto e, se questa branca della ricerca sarà adeguatamente finanziata, è lecito essere ottimisti per un futuro non lontano.

 

L’autore della nota ringrazia il presidente Perrella con il quale ha discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-4 febbraio 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si veda in “Note e Notizie 15-10-05 Psiconeuroimmunologia e BRAIN, MIND & LIFE: un connubio perfetto”. Il testo è la sintesi della trascrizione di una relazione del Presidente della nostra società scientifica.