Illusioni luminose riducono la pupilla come un aumento di luce
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno X - 28 gennaio 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Uno
dei capisaldi su cui si basa la neurofisiologia della percezione, è la distinzione
fra la reazione del recettore periferico all’agente fisico o chimico al quale è
sensibile, e la risposta psichica derivante dall’integrazione delle
informazioni provenienti dagli organi sensoriali con il contenuto informativo
originato dall’apprendimento della specie e del singolo individuo fino al
momento dell’esperienza considerata. Da questa distinzione deriva che, la
risposta biologica di un organo specializzato della periferia recettiva, può
essere considerata approssimativamente costante per una determinata specie, e
proposta come “effetto oggettivo” dell’azione di uno stimolo ambientale, in
contrapposizione con la reazione psichica al contenuto informativo sensoriale
che, nella nostra specie, può raggiungere i gradi più elevati di soggettività ed
imprevedibilità. Spesso, per rendere questa differenza, si cita l’esempio della
reazione
pupillare alla luce: miosi, ossia riduzione del diametro
pupillare, per aumento della luminosità ambientale, e midriasi, ossia aumento del diametro pupillare per riduzione del
tasso di illuminazione dell’ambiente. Una risposta che si presenta come
antipodicamente differente da quella originata dall’interpretazione ed
elaborazione personale dei contenuti di una percezione, quali quelli legati al
senso di uno scritto che si legge o all’identità di una persona che si
incontra.
Eppure,
la ricerca neuroscientifica sui processi percettivi sta rivelando una realtà
molto più complessa di quella delineata sulla base delle conoscenze del
passato, ed oggi appare evidente che, al di là di una deliberata schematizzazione
operativa o didattica, la separazione spaziale (localizzazione anatomica) e temporale (successione cronologica) fra una presunta risposta biologica pura e
semplice agli stimoli ambientali ed una elaborazione
psichica della percezione, è un artificio che rischia di allontanare dalla
comprensione della realtà.
Proprio
la variazione del diametro pupillare nella percezione, non per effetto della quantità di luce ma per
ragioni legate all’elaborazione cognitiva, è oggetto di un interessante studio
condotto da Bruno Laeng e Tor Endestad presso il Dipartimento di Psicologia
dell’Università di Oslo, in Norvegia (Bruno Laeng & Tor Endestad,
Bright illusions reduce the eye’s pupil. Proceedings
of the National Academy of Science USA [Published online before print
doi:10.1073/pnas.1118298109], 2012).
Gli
autori dello studio hanno registrato, mediante un eye-tracker a raggi infrarossi, i diametri pupillari di volontari ai quali era stato chiesto di osservare illusioni ottiche di illuminazione o luminosità.
Quattro illusioni originali[1] erano
state manipolate per ottenere condizioni di controllo in cui la luminanza
illusoria percepita poteva essere sia eliminata che ridotta. Tutti gli stimoli
erano “equiluminanti” così che le variazioni del diametro pupillare per azione
del muscolo ciliare innervato dallo specifico contingente di fibre del III paio
di nervi cranici (oculomotore comune) non poteva essere ascritto a differenze
nell’energia della luce.
I
rilievi effettuati hanno mostrato che la dimensione del foro pupillare variava
rapidamente secondo la luminosità percepita e la forza
dell’illuminazione. Le
differenze di informazione relative al contrasto locale potevano essere escluse
perché, in un successivo esperimento, gli osservatori mantenevano la fissazione
dell’occhio nel centro del display.
Ciò vuol dire che la stimolazione differenziale della fovea, non poteva essere
considerata responsabile delle differenze di contrazione del muscolo ciliare
con le conseguenti variazioni dimensionali della pupilla.
Su
questa base concettuale – ma per il dettaglio degli esperimenti si rimanda alla
lettura dello studio – Bruno Laeng
e Tor Endestad affermano che la spiegazione più minimalista possibile dei
risultati ottenuti è che le risposte pupillari alla luce ambientale riflettono
la luminosità o illuminazione percepita della scena, e non semplicemente
la quantità di energia fisica della luce strumentalmente misurabile che entra
nell’occhio e giunge alla retina.
Da
ciò si deduce che le risposte pupillari fisiologiche alla luce, non si limitano
ad agire con la precisione di una cellula fotoelettrica all’intensità della
radiazione rilevata, ma riflettono anche la percezione soggettiva della luce. Tale interpretazione
supporta l’idea, sostenuta anche dalla nostra scuola neuroscientifica, secondo
cui i sistemi neuronici cerebrali della visione sono modellati dall’esperienza
visiva delle immagini e delle loro possibili fonti, e tale apprendimento
influenza l’assetto funzionale inferenziale per le nuove esperienze.
L’autore della nota invita alla
lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle
“Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Le
quattro illusioni adottate dai due ricercatori sono state ricavate da due
fonti: esempi forniti dal celebre studioso della psicologia della percezione
visiva della forma, Gaetano Kanisza, e
dal meno noto Akiyoshi Kitaoka (v. Kanizsa G., Subjective Contours. Scientific American 234, 48-52, 1976; Kitaoka A.,
Tric Eyes. Barnes & Noble, New
Providence, NJ).