Milgram e i suoi normali mostri da Olocausto

                                                                                                                                           

 

A cura di MONICA LANFREDINI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno X - 14 gennaio 2012.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE]

 

Dopo la prima parte, pubblicata sabato 10 dicembre 2011, e la seconda pubblicata sabato 17 dicembre 2011, si prosegue nella pubblicazione della sintesi della relazione dal titolo “Rivisitare il lavoro di Milgram per comprendere come ordini di ferocia bestiale possano essere impartiti con un atteggiamento ordinario”, tenuta dal Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, intervenendo ad un incontro su “Il Male secondo la Psicologia e le Neuroscienze” organizzato da “Brain, Mind & Life International”. I riferimenti bibliografici citati nel testo sono quelli riferiti a voce dal professor Perrella durante l’esposizione; per ulteriori indicazioni scrivere alla prof. Monica Lanfredini all’indirizzo e-mal brain@brainmindlife.org.

 

(Terza Parte)

 

Adolf Eichmann era perfettamente consapevole di ciò che stava facendo e vi sono prove che festeggiò perfino il massacro degli Ebrei, secondo quanto riferisce lo storico David Cesarani in un recente saggio biografico dedicato al criminale nazista. Vi sono pochi dubbi in proposito, anche fra coloro che per motivi professionali di carattere giuridico e mediatico hanno esaminato la copiosa documentazione processuale. Hannah Arendt aveva dunque torto, e la sua interpretazione che oggi appare ad alcuni come una sublimazione letteraria o come una razionalizzazione indotta da un inconscio bisogno di giustificazione, viene a cadere, lasciando l’ipotesi dell’agentic state di Milgram orfana della sua fonte di ispirazione.

Se è documentato e plausibile che nella Germania nazista molte persone comuni, e per altri versi di buoni sentimenti, senza rendersi realmente conto della conseguenza delle proprie azioni si siano rese indirettamente complici della deportazione per motivi razziali di connazionali di vera o presunta origine ebraica, non è sostenibile per i diretti protagonisti delle azioni criminose una restrizione del campo di coscienza di tale entità e durata da determinare uno stato simile ad una sorta di automatismo ipnotico permanente.

Adottando le forme del ragionamento psicoanalitico, si potrebbe dire che l’impossibilità cosciente di immedesimarsi, insieme con l’obbligo inconscio di identificarsi con persone che hanno agito in modo disumano, sia da parte della Arendt che da parte di Milgram, abbia generato una costruzione tendente a spiegare il comportamento criminale  a partire da un meccanismo psichico di negazione di una spinta distruttiva intollerabile per la coscienza. Ma, al di là del giudizio che possiamo dare oggi delle congetture psicoanalitiche, appare evidente che uno stato di alterata coscienza, se non indotto da sostanze psicotrope o espressione di un disturbo psichico, non può che limitarsi a tempi molto brevi ed essere il prodotto di eventi capaci di generare una reazione emozionale da stress intensa e reversibile. In proposito, si tenga conto che la dissociazione da trauma psichico, una delle poche condizioni ragionevolmente accostabili in quanto prodotta da un evento esterno in persone apparentemente sane, se riduce la coscienza compromette la memoria ed altri aspetti della cognizione, tanto da rendere spesso la persona temporaneamente sofferente e meno abile o efficiente nell’esecuzione di vari compiti.

Diversa è l’ipotesi relativa ad un’influenza sul modo complessivo di pensare e sentire, dovuta ad un lento e progressivo apprendimento in grado di creare mancanza di reazioni affettivo-emotive in determinati casi. Questa ipotesi deriva dalla reale efficacia degli addestramenti cui erano sottopose le SS naziste e dalla possibilità di un “plagio” mentale[1]. Tuttavia, Eichmann non era una SS e, soprattutto, i volontari di Milgram erano Americani della generazione successiva, in parte perfino ignari degli eventi storici europei accaduti un quarto di secolo prima.

Ma, torniamo agli esperimenti degli anni Sessanta e alla discussione proposta dallo stesso Milgram. Lo psicologo newyorkese aveva concepito il disegno sperimentale prefigurando i seguenti effetti nei partecipanti: 1) sarebbero entrati in conflitto interiore per il contrasto fra i due doveri, quello nei confronti dello sperimentatore e quello nei confronti dell’esaminato; 2) avrebbero argomentato e chiesto di discutere in proposito; 3) avrebbero riportato le richieste dell’esaminato allo sperimentatore; 4) avrebbero richiesto rassicurazione e giustificazione.

Come abbiamo visto, nel primo esperimento solo in una minoranza di casi le cose andarono in questo modo; comunque, ecco lo schema delle risposte previste per lo sperimentatore: 1) “prego continua”; 2) “l’esperimento richiede che tu continui”; 3) “è assolutamente essenziale che tu continui”; 4) “non hai altra scelta, devi andare avanti”. E’ evidente che solo la quarta formulazione costituisce un’ingiunzione diretta con la qualità dell’ordine perentorio; la prima è di fatto un invito, e le due seguenti consistono nel proporre una necessità che implica un obbligo relativo alla buona riuscita dell’esperimento. Nel saggio del 1974, Milgram riferisce di un caso, fra gli altri, in cui si giunse all’ordine vero e proprio: ecco il “botta e risposta”.

 

Sperimentatore: Lei non ha altra scelta, signore, deve andare avanti.

Soggetto: Se fossimo in Russia può darsi, ma non in America.

(L’esperimento viene bruscamente interrotto).

 

Lo psicologo Jerry Burger, con i suoi collaboratori della Santa Clara University, recentemente ha allestito una replica parziale degli esperimenti di Milgram, cercando di riprodurne l’essenza concettuale nel rispetto degli standard di deontologia sperimentale vigenti, in una realtà, quale quella attuale, di maggiore sensibilità ed attenzione dell’opinione pubblica all’etica della ricerca scientifica su esseri umani. Burger, non mancando di rilevare che la sola ingiunzione apodittica in cui l’autorità richiede obbedienza è rappresentata dalla quarta delle risposte previste da Milgram, riporta che tutte le volte che nei suoi esperimenti è stato impiegato l’ordine diretto e perentorio, i suoi volontari si sono rifiutati di proseguire.

Questa osservazione è di estrema importanza per la valutazione critica delle interpretazioni proposte dallo stesso Milgram all’esito delle sue prove. Infatti, se i volontari di oggi si sono sempre rifiutati di proseguire quando ciò è stato loro imposto in modo tassativo, vuol dire che nessuno di essi aveva focalizzato la propria attenzione esclusivamente sull’essere un esecutore obbediente, ma probabilmente era concentrato nel cercare di fare la cosa giusta. E, dunque, fino a che non si trattava di arrecare un danno ad una persona, nell’eseguire il compito previsto dal protocollo.

Ma i risultati di Burger vanno oltre, nel mettere in crisi l’interpretazione di Milgram, suffragando una mia vecchia tesi, secondo cui gli esperimenti dello psicologo newyorkese non potevano ritenersi prove idonee a dimostrare il potere dell’obbedienza. Infatti, la sintesi prevalente e divulgata di ciò che avrebbero provato quegli esperimenti, anche sulla scorta di quanto affermato dal loro ideatore, è che gli esseri umani nel tendere ad obbedire divengono inconsapevoli esecutori di ordini che possono avere conseguenze gravi ed anche estreme; ma, come abbiamo visto, il comportamento rigidamente disumano si ha per effetto di regole assunte e fatte proprie dal volontario e non come esecuzione di un ordine diretto e tassativo. In altri termini, non vi è traccia di un rapporto fra il grado di tassatività di un’ingiunzione e la riduzione delle facoltà di coscienza e libero arbitrio che porterebbe a compiere un omicidio pur di obbedire ad un ordine. Ciò vuol dire che il contesto sperimentale di Milgram ha portato alla luce l’esistenza, in un’alta percentuale di persone comuni, di una potenzialità ad agire in modo disumano in perfetta coscienza e sostanziale autonomia, in una condizione in cui il perseguimento di un fine personale, condiviso con i ricercatori e acquisito con il ruolo assunto per l’esperimento, poteva essere anteposto al rispetto per la vita di una persona.

 

[continua]

 

Sintesi del testo a cura di Monica Lanfredini

BM&L-14 gennaio 2012

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Su questo argomento il presidente Perrella ha tenuto in passato un seminario che ha preso le mosse dagli studi di Robert Ornstein.