La patogenesi della sindrome di Rett da mutazioni in MECP2
DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno IX - 17 dicembre 2011.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo
staff dei recensori fra quelli
pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La sindrome descritta dal medico austriaco Andreas
Rett nel 1966[1] e classificata fra i
Disturbi Pervasivi dello Sviluppo nel Manuale Diagnostico-Statistico
dell’American Psychiatric Association (DSM-IV-TR) [Disturbo di Rett: codice F84.2, corrispondente a
299.80 dell’ICD-9], si presenta come una grave alterazione neuroevolutiva
legata al cromosoma X, dovuta a mutazioni
nel gene che codifica MECP2 (methyl-CpG-binding protein 2), spesso
aberrante nell’autismo.
MeCP2 è nota
come proteina regolatrice della cromatina al pari della coesina, il cui fenotipo mutato è all’origine della sindrome di
Cornelia De Lange[2]. Una delle più frequenti
mutazioni in MeCP2 associate con la sindrome di Rett (RTT) si
verifica in corrispondenza della treonina 158, che è convertita in metionina
(T158M) o alanina (T158A). Darren Goffin e colleghi, per cercare di comprendere
il ruolo delle mutazioni T158 nella patogenesi della sindrome, hanno generato
topi knockin che ricapitolano la
mutazione MeCP2 T158A. I risultati della sperimentazione sono veramente
interessanti (Goffin D., et al. Rett syndrome mutation MeCP2 T158A disrupts DNA binding, protein
stability and ERP responses. Nature Neuroscience [Advance online publication; doi:10.1038/nn.2997], 2012).
Affiliazioni degli autori:
Department of Genetics, University of Pennsylvania School of Medicine, Philadelphia,
Pennsylvania; Department of Pharmacology, University of Pennsylvania School of
Medicine, Philadelphia, Pennsylvania; Department of Neurobiology, Harvard
Medical School, Boston, Massachusetts; Department of Psychiatry, University of
Pennsylvania School of Medicine, Philadelphia, Pennsylvania.
L’importanza dello studio di questa sindrome genetica in pediatria è notevolmente aumentata negli ultimi anni col crescere del numero delle diagnosi in tutto il mondo. La percentuale relativamente grande di casi non riconosciuti nel passato può attribuirsi, oltre che alla mancata formulazione dell’ipotesi diagnostica per ignoranza della sindrome, alla difficoltà di un riconoscimento precoce a causa dell’esordio in epoca variabile e dopo un periodo minimo di 5 mesi dalla nascita in cui le tappe neuroevolutive sono raggiunte nei tempi della media statistica.
La stragrande
maggioranza dei casi è costituita da femmine eterozigoti. L’insorgenza dei sintomi, dopo un inizio di
sviluppo normale, varia da una bambina all’altra, ma più spesso si verifica fra
i 6 e i 18 mesi, e il primo sintomo -spesso trascurato- è l’ipotonia muscolare.
L’evoluzione della malattia è generalmente descritta in quattro stadi e il suo
inizio, frequentemente subdolo, si annuncia spesso con una difficoltà di uso
intenzionale delle mani che, poco a poco, diviene una vera e propria aprassia, mentre il rallentamento di
sviluppo del cervello e della testa si possono rendere progressivamente
evidenti insieme con il ritardo mentale
e delle abilità comunicative. Le
difficoltà del passo, in un quadro più complessivo di alterazioni motorie, in
taluni casi possono prevalere, mentre in altri casi la difficoltà di dirigere
lo sguardo, di gestire i movimenti e gli atti di esecuzione linguistica,
innescano circoli viziosi di deficit e distorsione dello sviluppo che si
manifestano con sintomi di tipo autistico.
La sperimentazione ha dimostrato un ruolo causale della mutazione T158A nello sviluppo di fenotipi RTT-simili, includenti regressione nello
sviluppo, disfunzione motoria e deficit di memoria e apprendimento. Questi
fenotipi somigliano a quelli presenti nei topi Mecp2 null e si manifestano attraverso una riduzione di MeCP2 che
si lega al DNA metilato e nella stabilità proteica di MeCP2.
Lo sviluppo dipendente dall’età di risposte
neuroniche legate all’evento era compromesso dalla mutazione di MeCP2, fatto
che suggerisce che circuiti neuronali alterati sono alla base della patogenesi
della RTT, e che la valutazione di potenziali evocati da eventi (event-related potentials ERP) può servire come biomarker per la RTT e la valutazione
del trattamento.
L’autrice della nota ringrazia la
professoressa Nicole Cardon con la quale ha discusso l’argomento trattato e la
dottoressa Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle numerose
recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Sebbene la prima descrizione da parte di Rett del disturbo neurocognitivo che porta il suo nome risalga al 1966, solo alla pubblicazione di un secondo articolo, avvenuta diciassette anni dopo, nel 1983, si ebbe il riconoscimento da parte della comunità medica dell’esistenza di questa sindrome che colpisce pressoché esclusivamente le bambine. Dall’origine del fenotipo (29-11-08) al ruolo degli astrociti (06-06-09) a numerose caratteristiche biomolecolari, decine di interessanti resoconti di lavori originali sulla sindrome di Rett sono stati pubblicati in questi anni nelle “Note e Notizie”, per cui si consiglia si cercarli utilizzando il motore interno nella pagina “Cerca” del sito.
[2] Disturbi come il ritardo mentale da alfa-talassemia, la sindrome di Rett e la sindrome di Cornelia de Lange avrebbero alla base un meccanismo molecolare comune. Un gruppo di ricerca canadese guidato da Kernohan ha ipotizzato che il complesso ATRX-MECP2-coesina sia implicato nella trans-regolazione di una rete di geni imprinted necessaria per la maturazione normale del cervello. Si veda in Note e Notizie 24-04-10 Un meccanismo comune a deficit cognitivi di sviluppo diversi.