La leptina regola il valore di ricompensa dei nutrienti

                                                                                                                                           

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 26 novembre 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il ruolo della leptina nel determinare la quantità di cibo assunta da un animale è oggetto di numerosi studi, ed è di estrema attualità la verifica dell’influenza della molecola sull’effetto a ricompensa causato da alimenti e bevande. Ricordiamo che la leptina, scoperta nel 1994 da Jeffrey Friedman che derivò il suo nome dal termine greco leptos che vuol dire snello o sottile, è considerata un ormone della sazietà, ma è una molecola dai molti aspetti funzionali. Appartiene, infatti, alla famiglia delle citochine ad elica ed è in grado di influenzare la risposta immune ed autoimmune, oltre ad aver dimostrato di possedere proprietà antidepressive[1].

Ora, Jeffrey Friedman e colleghi hanno realizzato un nuovo tipo di saggio per quantificare il valore di ricompensa dei nutrienti e lo hanno usato per analizzare gli effetti prodotti dallo stato metabolico e dalla leptina (Domingos A. I., et al. Leptin regulates the reward value of nutrient. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.2977], 2011).

Gli autori dello studio fanno capo a vari istituti della Rockfeller University (New York), della Stanford University (Stanford, CA), della Yale University School of Medicine at New Haven, e del Weill Cornell Medical College (New York).

Nel saggio realizzato da Ana Domingos e colleghi, i topi potevano scegliere fra due beverini: il primo erogava acqua ed era accoppiato all’attivazione optogenetica[2] di neuroni dopaminergici, mentre il secondo conteneva dolcificanti naturali o artificiali. Il saggio misurava il valore di ricompensa dei dolcificanti in relazione all’attivazione optogenetica dei neuroni a dopamina indotta dal leccamento. Come dolcificanti sono stati impiegati il saccarosio e il sucralosio.

Il saccarosio, disaccaride naturale costituito dai monosaccaridi glucosio e fruttosio, come zucchero di barbabietola o di canna è presente in tutte le case e costituisce il glicide alimentare di riferimento in questo tipo di studi.

Il sucralosio (C12 H19 Cl3 O8)[3] è un potente dolcificante di sintesi ottenuto per sostituzione di 3 gruppi ossidrilici del saccarosio con altrettanti atomi di Cloro, che lo rendono da 320 a 1000 volte più dolce del disaccaride naturale, ossia gli conferiscono un potere dolcificante quattro volte maggiore dell’aspartame e due volte maggiore della saccarina.

La sperimentazione ha dimostrato che i topi preferivano la stimolazione optogenetica dei neuroni rilascianti dopamina al sucralosio, ma non al saccarosio. Tuttavia, negli esperimenti in cui i era possibile scegliere fra il saccarosio e la combinazione sucralosio più stimolazione optogenetica delle cellule nervose dopaminergiche, i roditori preferivano l’associazione dello stimolo con il dolcificante sintetico.

A questo punto, i ricercatori hanno sperimentato l’effetto della restrizione dietetica sulla risposta dei roditori. E’ apparso evidente che il deficit alimentare acuto era in grado di accrescere il valore del saccarosio rispetto a quello della combinazione sucralosio + stimolazione optogenetica dei neuroni dopaminergici, e che la leptina era in grado di ridurre tale valore.

Il complesso dei dati emersi dalla sperimentazione, per i cui dettagli si rimanda alla lettura integrale del lavoro originale, consente di concludere che la leptina sopprime la capacità del saccarosio di guidare l’attivazione indipendente dal gusto dei neuroni dopaminergici e fornisce nuovi elementi di conoscenza nel meccanismo degli effetti della leptina sull’assunzione di cibo.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Diane Richmond

BM&L-26 novembre 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si veda al riguardo: “Note e Notizie 04-03-06 La leptina come nuovo antidepressivo”; ma soprattutto si consiglia di consultare le numerose recensioni di lavori originali sulla leptina nelle “NOTE E NOTIZIE” mediante il motore di ricerca interno nella pagina “CERCA” del sito.

[2] Sebbene il principio su cui si basa la tecnica, ovvero l’innesco di un potenziale d’azione nei neuroni, risalga al 2002, il termine optogenetica fu coniato nel 2006 per indicare metodologie ottiche ad alta velocità utili a sondare e controllare geneticamente ed in modo mirato i neuroni all’interno di circuiti neuronici intatti.

[3] E’ noto nei paesi dell’Unione Europea con la sigla E955, mentre negli USA è commercializzato con il nome di “Splenda”. Dal 73 all’89% del sucralosio ingerito è espulso attraverso le feci; il rimanente 11-27% che raggiunge il sangue è in gran parte rimosso dal rene ed eliminato con le urine. La quantità di calorie per unità di volume è stimata 8 volte inferiore a quella del saccarosio.