Una discussione neuroscientifica sulla sessualità animale e umana

                                                                                                                                           

 

SIMONE WERNER

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 12 novembre 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.

 

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO]

 

 

(Ottava ed Ultima Parte)

 

La settima parte della discussione è stata pubblicata la scorsa settimana con le “Note e Notizie” del giorno 05-11-11.

 

Diane Richmond. Un aspetto molto interessante dell’accoppiamento, che è stato scoperto quasi per caso nei roditori e successivamente indagato nell’uomo, riguarda un criterio biologico di scelta del partner, che si è rivelato assolutamente efficiente in termini evoluzionistici come strategia a salvaguardia della specie, ma non dipende dalle arcinote forme di attrazione basate su aspetto e corteggiamento. Gregory Glass, uno studioso di malattie infettive della Johns Hopkins School of Public Health, studiando l’accoppiamento dei ratti della città di Baltimora mediante la tracciatura dei percorsi compiuti dai roditori per incontrare il partner sessuale, si rese conto che le femmine percorrevano una distanza enorme, fino a sette blocchi della città[1], pur avendo nei pressi e nei paraggi una grande quantità di maschi. Il perché di questo comportamento appariva inspiegabile e, quando fu esclusa una condizione temporanea dovuta ad un evento occasionale, si suppose che obbedisse ad una precisa strategia biologica.

I ricercatori accertarono che le femmine di ratto erano mosse dall’olfatto, sia nella percezione di molecole odorose che in quella di ferormoni non odorosi in grado di attivare attraverso l’organo vomero-nasale la risposta motoria. Queste molecole dipendono dal sistema maggiore di istocompatibilità (MHC), ossia quella parte del DNA che contiene i geni importanti per la compatibilità dei trapianti e che nel suo insieme definisce l’identità immunologica di un individuo in seno alla sua specie[2]. I geni dell’MHC hanno un ruolo determinante nell’immunità e, quanto più grande è la varietà genetica al suo interno, tanto maggiore è la capacità del sistema immunitario di un organismo di fronteggiare l’azione dei patogeni e l’enorme varietà di potenziali antigeni presenti nell’ambiente.

Sia il viaggio delle femmine di ratto di Baltimora sia la loro scelta del compagno, una volta giunte sul posto, si è visto che sortivano l’effetto di determinare l’accoppiamento con maschi che avevano l’MHC più differente possibile dal proprio. In altri termini, la ricerca del partner basata sulla chemorecezione mediata dall’inalazione di molecole rilasciate dai maschi nell’ambiente, generava una risposta a ricompensa di attrazione tanto più forte quanto più il profilo immunologico MHC del potenziale compagno era diverso dal proprio, e tanto più debole, fino a non prodursi affatto, quanto più gli antigeni di istocompatibilità erano simili.

Questo studio ha trovato numerose conferme e riscontri in altre ricerche. Dunque, la natura ha escogitato un modo diretto di far preferire il maschio che garantirà una prole più adatta in senso darwiniano, rendendo più afrodisiache le molecole di ferormoni che corrispondono ad un profilo geneticamente più distante. Credo che non sia superfluo precisare che per “geneticamente più distante” non si intende il “genoma più lontano possibile”, ma “fra i meno simili” in termini di MHC nell’ambito della specie.

Sappiamo delle resistenze presenti in una parte non trascurabile della comunità neurobiologica nell’accettare che anche nell’uomo i ferormoni potessero avere un ruolo nel facilitare l’eccitazione sessuale e orientare la scelta del partner, soprattutto a causa del fatto che per molto tempo non si era riuscito a stabilire un nesso fra questo tipo di chemiorecezione ed una corrispondente organizzazione anatomica e fisiologica, come quella costituita dall’organo vomeronasale dei mammiferi macrosmatici.

 

Nicole Cardon. Scusa l’interruzione, ma credo che sia opportuno ricordare che la nostra società scientifica ha dato il suo piccolo contributo nel diffondere in Italia i risultati di studi rilevanti in questo ambito, si veda ad esempio l’aggiornamento sull’olfatto, l’articolo “Il sesso e il nervo sconosciuto” e le numerose note di recensione in cui si riassumono lavori sperimentali su questo argomento. Ora non ci sono più dubbi sulla presenza nell’uomo di strutture anatomiche e di funzioni cerebrali che elaborano messaggi ferormonici, influenzando il comportamento.

 

Diane Richmond. Figurati, ti ringrazio perché è un’integrazione molto opportuna. I dubbi sussistono in termini psicologici, ossia circa la reale incidenza nella vita umana organizzata secondo le regole e i modi delle civiltà contemporanee, di queste spinte biologiche che, verosimilmente, al pari delle altre che definiamo istinti, pulsioni istintuali, pressioni originate nell’organismo, e così via, devono fare i conti con la miriade di apprendimenti della specie e del singolo individuo che mascherano, occultano, interferiscono o escludono l’accesso alla coscienza dell’azione dei ferormoni. Per mettere alla prova la possibile efficacia, prima ancora della reale incidenza nelle relazioni umane di questi effetti da chemiorecezione, si è sviluppato un intero filone di ricerca psicologica che negli USA è informalmente definito “smelly T-shirt studies”. In breve, si fa indossare a dei volontari una maglietta giorno e notte per almeno 48 ore, in modo che si impregni dei prodotti di traspirazione contenenti i ferormoni della persona, e poi la si fa annusare ad altri volontari per esperimenti volti a stabilire preferenze, compatibilità, incompatibilità e così via[3].

Gli esperimenti con donne volontarie che annusavano magliette di uomini, hanno rivelato che, in genere, l’odore è tanto più gradito, o tanto meno sgradito, quanto minore è il rapporto di parentela e, all’analisi del DNA, si è accertato che il grado di preferenza per l’odore di uomini estranei era direttamente proporzionale al grado di diversità del profilo MHC.

Un lavoro abbastanza recente condotto presso l’Università di Oxford ha confrontato geneticamente delle coppie stabili di coniugi con coppie finte, ossia composte con un criterio casuale (random) impiegato dai ricercatori appositamente per creare un gruppo di controllo. Ebbene, le coppie vere hanno rivelato una differenza nell’MHC molto superiore a quella di uomini e donne accostati casualmente.

 

Nicole Cardon. Vorrei ricordare anche gli studi che hanno valutato l’influenza della malattia sulla scelta del partner. In particolare, nell’ambito delle ricerche finalizzate ad accertare il ruolo dello stato di salute nella scelta sessuale, vorrei citare un lavoro condotto da Sabra L. Klein, biologa integrativa della Johns Hopkins, con il neuroscienziato dell’Università di Stato dell’Ohio Randy J. Nelson. I due ricercatori hanno messo a confronto due specie naturali di roditori che sono oggetto di studi sperimentali, la prima (prairie voles) è nota per essere assolutamente monogama[4], la seconda (polygamous voles), pur presentando caratteristiche fenotipiche sostanzialmente identiche alla prima, è caratterizzata da poligamia e da un comportamento sessuale paragonabile a quello dei ratti di laboratorio. In un esperimento, le femmine di ciascuna delle due specie potevano scegliere fra due maschi co-specifici: ad uno dei due veniva iniettata la molecola tossica batterica LPS, all’altro una semplice soluzione salina. Il primo riproduceva sperimentalmente uno stato di malattia, il secondo era di fatto un esemplare in buona salute. Le femmine monogame trascorsero la massima parte del tempo con i maschi sani, mentre le scelte di quelle poligame non furono influenzate dallo stato di salute dei maschi. In altri termini, le femmine della specie che si riproduce con un unico partner erano state munite dall’evoluzione di uno strumento olfattivo per scegliere quello sano, mentre le femmine poligame erano apparentemente prive della facoltà di riconoscere e distinguere il maschio ammalato o, comunque, di escluderlo come partner sessuale.

 

Lorenzo L. Borgia. Ci sarebbero ancora tanti argomenti da affrontare, ma il tempo a nostra disposizione è terminato e, dunque, ringraziando tutti coloro che hanno partecipato a questo incontro, ci diamo appuntamento per le prossime occasioni di discussione e dibattito.

 

 

Simone Werner

BM&L-12 novembre 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La pianta delle città americane è scandita da spazi rettangolari occupati da uno più edifici, solitamente grattacieli, originati dal regolare incrociarsi ortogonale di strade principali e secondarie; questi spazi, detti in inglese blocks, costituiscono una misura convenzionale delle distanze fra un punto ed un altro della città.

[2] Nel corso dell’evoluzione si è formata e conservata una specifica regione del genoma nella quale sono localizzati e strettamente associati fra loro i geni degli antigeni maggiori di istocompatibilità (MHC, Major Histocompatibility Complex) espressi sulla superficie cellulare e fungenti da barriera nei confronti degli allotrapianti. Si definiscono, infatti, alloantigeni quelle molecole che caratterizzano le differenze antigeniche fra individui di una stessa specie; gli alloantigeni che svolgono un ruolo determinante nel rigetto di trapianti si definiscono antigeni di istocompatibilità. Fuori dell’MHC e distribuiti in tutto il genoma vi sono gli antigeni minori di istocompatibilità. Le strutture che esprimono i geni MHC giocano un ruolo determinante nell’immunità e nella differenziazione di cellule e tessuti, oltre che nel riconoscimento del self.

[3] In tal modo, ad esempio, si è rilevato che la maggior parte degli uomini trova insopportabile o disgustoso l’odore di altri uomini, mentre trova gradevole quello delle donne e viceversa; gli omosessuali spesso mancano della reazione di repulsione per odori di magliette indossate da persone del loro stesso sesso cromosomico.

[4] Dopo il primo rapporto sessuale si verificano dei cambiamenti nel loro cervello dai quali deriva un comportamento di rapporto esclusivo: non solo non cambiano più compagno, ma allontanano o aggrediscono eventuali estranei recettivi di sesso opposto che vogliono accoppiarsi con loro. Si veda nelle “NOTE E NOTIZIE” per recensioni di lavori su questo argomento.