Una discussione neuroscientifica sulla sessualità animale e umana

                       

 

SIMONE WERNER

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 29 ottobre 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.

 

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO]

 

 

(Sesta Parte)

 

La quinta parte della discussione è stata pubblicata la scorsa settimana con le “Note e Notizie” del giorno 22-10-11.

 

Ludovica R. Poggi. I risultati relativi alla proteina trasportatrice della serotonina evidenziano un importante meccanismo molecolare alla base della differenza fra uomini e donne, che emerge con chiarezza anche da altri dati ottenuti dagli stessi ricercatori. La diversa risposta delle donne agli SSRI nelle diverse stagioni della vita, riflette l’importanza dell’assetto endocrinologico e, in particolare, dell’azione neuroendocrina degli estrogeni. Come si è già detto, gli ormoni femminili sarebbero causa, almeno in parte, della vulnerabilità agli stati depressivo-ansiosi in età giovanile, in quanto sembra che interferiscano con il rifornimento di serotonina e contribuiscano ad innalzare i livelli di cortisolo, già accresciuti per effetto di stress mediante l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corteccia surrenale (cortisolo) e di circuiti come quello di amplificazione interna della segnalazione indotta dall’agente o evento stressante locus coeruleus-amigdala (CRH)-ipofisi (ACTH)-corteccia surrenale (cortisolo). Il gruppo di Susan Kornstein ha accertato che le donne depresse in epoca post-menopausale non rispondono bene come le giovani agli SSRI, presentando un profilo di risposta simile a quello degli uomini, con i quali condividono la maggiore efficacia degli antidepressivi agenti su dopamina e noradrenalina. I ricercatori di Yale hanno anche rilevato che le pazienti in post-menopausa, come gli uomini e a differenza delle donne giovani, non presentavano riduzione dei livelli della proteina trasportatrice della serotonina. L’esito di questi lavori conferma nella realtà umana l’estrogeno-dipendenza di una componente della fisiopatologia depressiva, già verificata nella sperimentazione animale.

Da questi studi dovrebbe derivare un impiego di farmaci, negli uomini e in post-menopausa,  come la venlafaxina (Effexor) che agisce sulla noradrenalina, ma spesso queste molecole si rivelano inefficaci. Certamente, all’origine del loro scarso effetto in molti casi vi sono le ragioni che la nostra scuola neuroscientifica sottolinea da tempo e che Nicole Cardon ha appena ricordato, ma vale la pena approfondire le differenze legate al sesso. Jill Goldstein[1], che studia le differenze nei due sessi delle sindromi depressive e delle psicosi schizofreniche, ritiene che una migliore comprensione delle differenze sessuali richieda uno studio esteso a tutta la vita delle persone. A questo scopo ha fatto uso dei dati derivanti da una straordinaria banca-dati originata negli USA da uno studio avviato nel 1959. Il progetto, promosso dall’NIH e denominato National Collaborative Perinatal Project, prevedeva l’osservazione di 66.000 gravidanze in 12 diverse città degli Stati Uniti, e il successivo studio longitudinale dei nuovi nati per tutta la loro vita. Anche se i finanziamenti per il progetto terminarono nel 1967, i ricercatori erano riusciti per quella data ad accumulare una tale quantità di dati e reperti pre- peri- e post-natali da farne una delle più grandi raccolte del mondo. Anche se il progetto nel suo insieme non andò oltre quella data, molti dei partecipanti in singole realtà cliniche sono stati seguiti nel tempo fino ad oggi. Nel Minnesota, ad esempio, un gruppo di ricerca, studiando volontari che da bambini erano inclusi nello studio del 1959, ha potuto stabilire un collegamento fra elementi cutanei presenti alla nascita e tumori della pelle.

Alcuni anni fa, Jill Goldstein, con colleghi di Harvard e della Brown University, ha reclutato 1000 dei partecipanti originari in età fra i 40 e i 50 anni, ed ha avviato uno studio di follow-up sulla depressione. Lo scopo principale di Goldstein è quello di individuare fattori evolutivi associati al disturbo, molti dei quali includono differenze fra i generi, allo scopo di identificare vie patogenetiche neurochimiche guidate dagli ormoni sessuali. Lo studio, ancora in corso, sta impiegando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per valutare le differenze nelle varie condizioni fra le attività di aree cerebrali rilevanti per la fisiopatologia della depressione, quali l’amigdala e l’ipotalamo. Da un esame parziale dei dati finora raccolti, Goldstein ritiene che le scansioni del cervello delle donne depresse riveleranno un’attività ridotta nelle regioni della corteccia che regolano la risposta allo stress.

 

Roberto Colonna. Questo interessante approfondimento sullo stato della ricerca che studia le differenze fra i sessi nella depressione, propone però un collegamento solo indiretto, attraverso gli steroidi sessuali, con il tema originario della nostra discussione.

 

Nicole Cardon. E’ vero. Ma forse il collegamento è meno indiretto di quanto possa apparire sulle prime. Anche se lo studio delle influenze ormonali indaga gli effetti delle grandi variazioni come quelle connesse con la pubertà, la gravidanza, la menopausa, e si può estendere ad altre condizioni quali l’ovariectomia, l’orchiectomia, le terapie a base di testosterone per l’infertilità, i trattamenti con estrogeni ed estro-progestinici, esistono delle fluttuazioni dell’increzione di estrogeni e testosterone in diretto rapporto con la vita sessuale delle persone. Ad esempio, l’astinenza sessuale forzata protratta per anni per motivi religiosi, morali o per altre circostanze esistenziali, riduce la secrezione degli steroidi sessuali e induce un diverso pattern funzionale cerebrale dipendente da questi ormoni. Una vita caratterizzata da un’elevata frequenza di rapporti sessuali e dalla continua ricerca del piacere erotico e dell’eccitazione, induce una facilitazione sia in tutta la fisiologia legata a queste funzioni, sia nelle risposte cerebrali evocate. Quante persone giustificano rapporti sessuali riprovevoli dicendo di averlo fatto per “sentirsi vive”? Anche se moralmente questa motivazione non giustifica in molte circostanze, la ragione biologica è fondata. In un rapporto sessuale non si può e, a mio avviso, non si deve trascurare l’identità del partner, ma prescindendo in questo discorso dal legame che esiste fra le persone e ragionando in termini esclusivamente animali, naturali, biologici, l’accoppiamento determina numerosi effetti positivi sulla fisiologia cerebrale e, se non avviene in uno stato di sofferenza ansiosa o di altro genere, può realmente produrre effetti antidepressivi. Naturalmente, non sta a me qui osservare che un rapporto che tradisce, ferisce altre persone o ferisce il profondo sentimento morale del credente, che genera sensi di colpa, che comporta reazioni negative a boomerang nel rapporti sociali, non può considerarsi “terapeutico” ma “eziologico” e, dunque, non opportuno e conveniente anche in una economia di relazione cinicamente ed egoisticamente limitata al proprio benessere fisico.

 

Lorenzo L. Borgia. Interessante. D’altra parte la professoressa Cardon, da neurobiologa, doveva anche trattare specificamente questo aspetto: gli effetti dell’attività sessuale sul cervello.

Giovanna Rezzoni. Prima che si affronti questo argomento volevo, in estrema sintesi, ricordare le differenze cliniche legate al sesso di tre fra i principali disturbi psichiatrici. Vi propongo uno schema per essere concisa al massimo.

SCHIZOFRENIA. Secondo criteri nosografici di scuola nordamericana, che estendono la categoria diagnostica alla maggior parte delle psicosi, colpisce un ugual numero di uomini e donne (in passato si rilevava una netta prevalenza maschile). Nelle donne è più frequentemente presente una sintomatologia ansiosa e depressiva che più spesso appare di grado medio-grave. Le varie forme di deficit cognitivo sono maggiormente espresse nei maschi che, in particolare, presentano più spesso i disturbi del linguaggio descritti nella nosografia classica.

Sono state rilevate varie differenze anatomo-funzionali da studi di neuroimaging cerebrale. Un recente lavoro del gruppo di Jill Goldstein ha rilevato un aumento dimensionale dell’ipotalamo nelle donne schizofreniche che non è stato riscontrato negli uomini. L’interpretazione del significato di questo reperto è ancora difficile e controversa.

DISTURBO BIPOLARE. Gli studi recenti anche in questo caso hanno rivalutato il dato epidemiologico, rilevando una probabilità potenzialmente uguale per i due sessi di sviluppare la malattia. Ma l’insorgenza negli uomini è più precoce, con un inizio delle fluttuazioni maniaco-depressive intorno ai 22 anni, rispetto ai 26 anni delle donne. Le donne sembrano andare incontro ad episodi depressivi più gravi e ad avere una ciclicità più frequente degli uomini; ma è ormai accertato che la maggiore ciclicità rilevata nelle donne ed accresciuta statisticamente negli ultimi decenni, è da attribuire a conseguenze di trattamenti farmacologici protratti. In particolare sono stati imputati i farmaci antidepressivi assunti più spesso, a dosi più elevate e per periodi più protratti dalle donne, sia perché la depressione nel sesso femminile è mediamente più grave, sia perché rispetto agli uomini - come si è detto - noi donne siamo meno riluttanti nel chiedere aiuto e rivolgerci a medici, psichiatri e psicologi.

I disturbi cognitivi, e in particolare le ridotte prestazioni di memoria, sembrano incidere maggiormente negli uomini. Uno studio pubblicato nel 2009 in Psychological Medicine aveva rilevato, negli uomini affetti, deficit nella memoria di breve termine che non avevano riscontro nelle pazienti di sesso femminile.

DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS (PTSD). In questo caso l’incidenza nel sesso femminile appare due volte maggiore che in quello maschile, anche a fronte del dato socio-statistico che vuole gli uomini quattro volte più esposti delle donne a traumi psichici, secondo quanto emerso in uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista Annals of General Psychiatry.

Le donne affette da PTSD vanno più spesso incontro a manifestazioni quali il distacco e il ritiro relazionale, a fronte della maggiore irritabilità, aggressività e impulsività presentata dai maschi, come riportato in uno studio del 2010 pubblicato dal British Journal of Psychiatry. Nelle donne il PTSD è più spesso associato con la depressione, negli uomini è più frequente l’associazione con gravi manifestazioni ansiose.

 

[continua]

 

Simone Werner

BM&L-29 ottobre 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Jill Goldstein lavora presso il Brigham and Women’s Hospital della Harvard University.