Un
marker per la malattia di Huntington
DIANE RICHMOND
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 22 ottobre 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La
malattia coreica, descritta come disturbo
ipercinetico ereditario per la prima volta nel 1872 in una famiglia di Long
Island da George Huntington, medico di Pomeroy nell’Ohio, è una grave patologia
neurodegenerativa ad andamento progressivo che attualmente riguarda, nelle
varie fasi della sua evoluzione, circa 30.000 persone nell’America del Nord.
Nonostante i numerosi studi e l’intensificarsi dell’impegno dei ricercatori
negli anni recenti, non sono ancora disponibili trattamenti in grado di
rallentare il corso inesorabile della malattia
di Huntington e, per
questa ragione, si ritiene della massima importanza e urgenza l’individuazione
di biomarkers affidabili per la misura del grado
di attività della
malattia e della risposta ad agenti terapeutici: un importante passaggio
obbligato per l’individuazione di farmaci efficaci.
Yi
Hu e collaboratori, studiando 119 campioni di sangue umano, hanno isolato
trascritti associati alla malattia di Huntington e poi hanno sviluppato
un’indagine articolata mediante verifiche in due modelli murini e in uno studio
di tipo clinico. L’esito del lavoro è sicuramente interessante (Hu Y., et al.
Transcriptional
modulator H2A histone family, member Y
(H2AFY) marks Huntington disease
activity in man and mouse. Proceedings of
the National Academy of Science USA 108 (41), 17141-17146, 2011).
Gli autori dello studio qui recensito provengono da
numerosi laboratori e istituti: Laboratory for Neurogenomics, Center for
Neurologic Diseases, Harvard Medical School and Brigham and Women’s Hospital,
Cambridge, Massachusetts (USA); Laboratory of Neurodegeneration and
Neurotherapeutics, MassGeneral Institut for Neurodegenerative Disease; Center
for Neuroimaging of Aging and Neurodegenerative Diseases at Harvard Medical
School, Boston (USA); Harvard NeuroDiscovery Center Biomarker Program,
Cambridge Massachusetts (USA); e altri centri di ricerca fra cui istituti della
University of Pittsburgh, PA (USA)[1].
Il
confronto con i volontari non affetti, fungenti da gruppo di controllo, ha
evidenziato l’iperespressione nella corteccia cerebrale del lobo
frontale e nel sangue degli ammalati di malattia di Huntington del regolatore
dinamico della plasticità della cromatina appartenente alla famiglia degli istoni H2A, indicato come membro Y (H2AFY).
L’insorgenza
dell’aumentata espressione di questo modulatore
trascrizionale sembra
precedere la comparsa della sintomatologia clinica, come è risultato dalle
verifiche sperimentali. I ricercatori hanno infatti posto al vaglio di
esperimenti condotti su due collaudati modelli
artificiali della corea
prodotti nel topo, l’affidabilità dell’accresciuta espressione come indice di
attività fisiopatologica, ottenendo una sostanziale conferma.
La
verifica è stata condotta anche nella realtà
clinica, mediante lo
studio su volontari con metodologie diverse (cross-sectional e longitudinal
studies), per un totale di 142 partecipanti.
Yi
Hu e colleghi hanno poi accertato che un inibitore delle istone-deacetilasi in grado di sopprimere la
neurodegenerazione in modelli sperimentali della malattia di Huntington, e
pertanto candidato al ruolo di farmaco, riduceva i livelli di H2AFY in uno studio randomizzato per un trial clinico di fase II.
Presi
complessivamente i risultati di questo studio, per il cui dettaglio si rimanda
alla lettura del lavoro originale, identificano il regolatore della cromatina H2AFY come potenziale biomarker associato all’attività della patologia e alla risposta farmacodinamica
e, dunque, utile per la verifica dell’efficacia di molecole candidate per la
terapia di questa grave malattia neurodegenerativa.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni
di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[1] Si avvertono i lettori che gli interessi di alcuni autori dello studio nel campo della farmacologia e della farmaceutica potrebbero aver costituito una bias nell’interpretazione positiva dei risultati, pertanto si suggerisce la lettura critica e integrale dell’intero lavoro allo scopo di fugare ogni dubbio in proposito. In ogni caso, la ripetizione degli esperimenti da parte di gruppi di ricerca indipendenti dirà, come sempre, l’ultima parola.