Una discussione neuroscientifica sulla sessualità animale e umana

                       

 

SIMONE WERNER

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 15 ottobre 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.

 

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO]

 

 

(Quarta Parte)

 

La terza parte della discussione è stata pubblicata la scorsa settimana con le “Note e Notizie” del giorno 08-10-11.

 

Nicole Cardon. Si deve tener presente ciò che è noto delle influenze degli ormoni sessuali nello sviluppo del cervello in condizioni normali, anche se per la verità non sappiamo ancora molto perché la biochimica degli ormoni sessuali nel cervello non è facile da studiare, sia per la difficoltà di misura delle molecole che per la diffusione estrema dei loro effetti. Le evidenze più sicure indicano un forte intervento degli steroidi sessuali nel determinate la fisiologia elementare del cervello, tuttavia non è facile dire quanto gli esiti siano diversi e quanto equivalenti. Il cervello dei maschi tende ad essere più grande di quello delle femmine - e ciò è stato da sempre messo in relazione con la differenza di dimensioni corporee che si afferma in età adulta - ma un altro aspetto cerca ancora una spiegazione più convincente: il cervello dei maschi matura più lentamente. La lentezza nello sviluppo è considerata un indice positivo per la qualità della maturazione morfo-funzionale ed è stata rilevata una proporzione diretta fra la quantità di glia presente nel cervello e il tempo necessario allo sviluppo. Il cervello di Einstein aveva una percentuale di glia superiore alla media e il suo sviluppo post-natale pare sia stato più lento di quello della media dei coetanei[1].

Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori ritiene che i tempi di sviluppo più lunghi nei maschi delle specie studiate dipendano dall’azione del testosterone. La spiegazione corrente basata sui risultati sperimentali è la seguente: l’ormone maschile stimola in modo straordinario la produzione di BDNF (brain derived neurotrophic factor), un fattore di crescita che contribuisce in modo molto significativo allo sviluppo dei neuroni ed è in grado di incrementare le dimensioni dell’encefalo, e tale stimolo in eccesso sarebbe all’origine di una maggiore quantità di tessuto nervoso da portare a maturazione con tempi ovviamente più lunghi.

 

Lorenzo L. Borgia. Scusa, ti interrompo per cercare di riassumere alcune cose che hai detto.

Nicole Cardon. Prego, mi fa piacere se integri ciò che dico con altri elementi, perché sto cercando di comporre un quadro di fondo che ci può consentire di comprendere meglio le questioni relative alle differenze sessuali nella patologia e nella terapia psichiatrica introdotte da Ludovica (la dottoressa Ludovica R. Poggi, N.d.R.).

 

Giovanna Rezzoni. Poi, quando mi darete la parola, vi proporrò le caratteristiche legate al sesso, al genere voglio dire, nella sintomatologia clinica delle principali sindromi psichiatriche.

 

Lorenzo L. Borgia. In effetti, schematizzando, si può dire che il testosterone nei primi mesi di sviluppo e nella prima infanzia sembra avere, almeno potenzialmente, un ruolo negativo sul cervello e sulle funzioni psichiche, accrescendo effetti dannosi sullo sviluppo e sulla fisiologia generati da altre cause, come abbiamo visto dagli esempi della professoressa Cardon. E abbiamo sentito che si cominciano a definire i meccanismi molecolari sottostanti la maggiore incidenza di autismo e convulsioni nei maschi, ma aggiungerei che vi sono prove significative anche a proposito di un’accresciuta sensibilità al danno ipossico perinatale per effetto dell’ormone maschile.

Nelle età successive l’azione del testosterone sul cervello sembra determinare effetti positivi sulla mente. Per quanto riguarda la maggiore incidenza di depressione e sintomatologia psichica ansioso-reattiva nelle ragazze a partire dalla pubertà, molti dati suggeriscono che l’innalzamento dei livelli di estrogeni, mediante meccanismi non ancora definiti, determini un marcato incremento del cortisolo, l’ormone dello stress al quale si attribuisce un ruolo cruciale nella patogenesi delle sindromi depressive causate dal protrarsi di stati ansiosi. All’origine della maggiore vulnerabilità femminile alla depressione nella pubertà e nell’adolescenza è stata ipotizzata un’interferenza estrogenica nella formazione delle scorte di serotonina. Gli estrogeni aggraverebbero gli effetti prodotti da condizioni di stress inteso in senso lato, frequenti in quel periodo della vita caratterizzato da forti cambiamenti negli equilibri fisiologici e metabolici, in cui l’ansia, le frustrazioni quotidiane, i traumi psicologici e la stessa fatica fisica possono determinare riduzione della 5-idrossitriptamina.

Di passaggio, voglio ricordare per la registrazione che, molti dei riferimenti ai risultati della ricerca che stiamo proponendo in questa discussione, provengono da una recente relazione del nostro presidente.

Il rilievo costante di una più rara comparsa di sindromi depressive ansiose nei maschi in età puberale ha fatto ipotizzare da tempo un ruolo protettivo del testosterone ma, fino a quando non è stata fornita la conferma sperimentale da quello studio della Bale che ho citato prima, la protezione antidepressiva dell’ormone maschile è rimasta un’ipotesi. Tracy Bale e colleghi dell’Università della Pennsylvania, somministrando testosterone a femmine di topo in età corrispondente all’adolescenza umana, hanno accertato che l’ormone maschile era in grado di prevenire la sintomatologia murina equivalente alla depressione umana. Volevo poi anche ricordare che, a differenza di quanto accade negli animali da esperimento, nella nostra realtà esistono profili diversi nell’espressione sintomatologica della sofferenza psichica da parte di uomini e donne. So che su questo argomento altri, a cominciare dalla Rezzoni che è psichiatra, potranno essere molto più precisi e dettagliati di me, ma volevo fare alcune brevi considerazioni.

 

Diane Richmond. Scusa per l’interruzione, ma a proposito della ricerca sui roditori di laboratorio è necessario aver presente una ipersemplificazione convenzionale: tutto quello che dipende dal testosterone si intende attribuito alla fisiologia del maschio e tutto ciò che dipende dagli estrogeni a quella della femmina[2]. Poco si sa del ruolo del testosterone endogeno nella femmina e degli estrogeni nel maschio, in processi che direttamente o indirettamente possono influenzare le risposte cerebrali o dei sistemi di integrazione mente-corpo. In generale, si sa che l’ormone maschile nella donna contribuisce alla regolazione delle mestruazioni, al mantenimento della densità dell’osso, della massa muscolare e della libido; mentre gli ormoni femminili nell’uomo intervengono nella regolazione della secrezione dei fluidi nel tratto riproduttivo. Così come si trascurano queste funzioni minori nel sesso opposto per la fisiologia generale degli ormoni steroidi, si tende un po’ a dimenticare o a tralasciare l’azione sul cervello dell’ossitocina nel maschio e della vasopressina nella femmina[3].

 

Lorenzo L. Borgia. Si, a proposito di quanto stavo per dire, indirettamente la professoressa Richmond mi ha ricordato che ciò che riguarda gli animali da esperimento risente maggiormente delle nostre convenzioni interpretative, in quanto non possiamo attingere alle espressioni soggettive della loro esperienza, ma dobbiamo limitarci alle emergenze comportamentali. In altri termini, pur se realmente ratti e topi sono molto più semplici di noi, finiamo per appiattire ulteriormente il loro dimorfismo sessuale sugli effetti degli ormoni principali, perché tralasciamo gli effetti minori per difficoltà tecniche e prassi consolidata.

Ma prima avevo fatto cenno a profili diversi nell’espressione sintomatologica del disagio psichico fra uomini e donne, pensando soprattutto a forme non gravi di stati disfunzionali che tradizionalmente si classificavano come nevrosi o psiconevrosi emozionali. Come ha osservato il professor Perrella, la parziale perdita degli equilibri interni fra sotto-sistemi, da cui derivano ansia e forme di instabilità che si esprimono come irritabilità o tendenza a preoccuparsi, negli uomini più spesso si manifesta con irrequietezza, aggressività astiosa, accessi di collera improvvisi, chiusura ostile nei confronti del prossimo, mentre nelle donne più frequentemente vede prevalere la tendenza ad un eccesso di espressione dello stato interno attraverso la comunicazione verbale, talvolta quasi logorroica anche se monocorde (sintomo di “depressione mascherata”), il facile sviluppo di una ideazione pessimistica e di nuove preoccupazioni e timori originate da circostanze ed eventi che non hanno diretta incidenza sulla propria vita. Anche se è difficile dire quanto delle diverse manifestazioni del disagio ansioso e del disturbo depressivo lieve-medio[4] siano influenzate dalla neurobiologia dei due sessi e quanto dagli stili comportamentali acquisiti per apprendimento implicito ed esplicito, negli Stati Uniti si è data molta importanza all’induzione di una mentalità preconcetta da parte di stereotipi sociali: “un uomo vero non è mai debole e non chiede mai aiuto”. Un tale pregiudizio indurrebbe i maschi adulti a negare lo stato depressivo e a non rivolgersi al medico per chiedere aiuto. Su questa base il National Institute of Mental Health (NIMH) nel 2003, per accrescere la consapevolezza del pericolo derivante da questo atteggiamento, sponsorizzò una campagna intitolata “Veri Uomini, Vera Depressione” (Real Men, Real Depression).

 

[continua]

 

Simone Werner

BM&L-15 ottobre 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] L’argomento è stato affrontato più volte dal Presidente Perrella in lezioni seminariali dedicate agli esiti dell’esame istologico del cervello di Einstein e in parte basate sugli studi di Douglas Fields.

[2] Naturalmente ciò può ritenersi con buona approssimazione corretto nella massima parte dei casi, soprattutto per l’interpretazione di risultati che fanno riferimento ai grandi eventi fisiologici e di sviluppo determinati in ciascun sesso da questi ormoni, insieme con il progesterone nella donna e, in entrambi i sessi, con le gonadotropine ipofisarie e i peptidi ipotalamici.

[3] L’ossitocina è da tempo indagata per la sua proprietà di favorire la socievolezza e la ricerca della vicinanza fisica e del rapporto sessuale, aumentando la fiducia, la confidenza e la propensione ad essere attratti da altri membri della propria specie. In molte specie l’efficacia di queste azioni è massima nelle femmine ed ha un parziale equivalente nel maschio nella funzione della vasopressina. Numerosi lavori sui ruoli psichici di questi due ormoni peptidici sono stati recensiti nella sezione “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

[4] Nel disturbo depressivo grave la sintomatologia principale è sostanzialmente la stessa in entrambi i sessi, e corrisponde ai criteri della diagnostica psichiatrica classica e del DSM che non opera distinzioni di genere.