Nella schizofrenia meccanismo comune rivelato da mutante per disbindina-1

                                                                                                                                           

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 15 ottobre 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Studi clinici e modelli animali suggeriscono che la perdita dell’attività dei neuroni inibitori giochi un ruolo di cruciale importanza nella patogenesi della schizofrenia. E’ anche noto che la psicosi è più comune fra le persone che presentano una variazione genetica che riduce i livelli della proteina disbindina nel cervello; anche se non è chiaro il modo in cui il difetto di questo polipeptide possa mettersi in relazione con le manifestazioni cliniche del più grave dei disturbi psichiatrici. Ora, Gregory Carlson e colleghi del Department of Psychiatry, University of Pennsylvania, Philadelphia (USA), hanno accertato un’associazione funzionale fra la downregulation della disbindina e la comparsa di alterazioni dei neuroni inibitori nei topi.

I ricercatori hanno rilevato che i topi mutanti per la disbindina sembravano ricapitolare in sé un ampio insieme di fenotipi associati con la schizofrenia, includenti anomalie nell’attività cerebrale di alto livello in risposta a stimoli uditivi e ridotti livelli della proteina parvalbumina (PV), marker di un tipo di neuroni inibitori. Queste alterazioni erano poi associate con deficit nelle risposte inibitorie dei neuroni, come è risultato dal monitoraggio mediante imaging basato su colorazione sensibile al voltaggio di un circuito neuronico in sezioni sottili di tessuto cerebrale di topo (Carlson G. C., et al. Dysbindin-1 mutant mice implicate reduced fast-phasic inhibition as a final common disease mechanism in schizophrenia. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1109625108], 2011).

Il gene DTNBP1 (dystrobrevin binding protein 1) è considerato uno dei principali indiziati fra i geni sospettati di essere responsabili della suscettibilità allo sviluppo della schizofrenia, e in condizioni fisiologiche è strettamente associato con la capacità della working memory o memoria di funzionamento, ossia con le prestazione di quell’insieme di processi che garantisce, momento per momento, l’efficienza delle attività cognitive, fornendo il supporto di registrazione di tutti i dati necessari alle attività di elaborazione intelligente necessarie alla comprensione della realtà, alla riflessione, alla comunicazione, alla ricostruzione rievocativa, alla previsione, alla pianificazione e ad ogni altra operazione mentale che non si esaurisce in una immediata risposta stereotipa. Nella schizofrenia la proteina codificata da questo gene, la disbindina-1 (da dystrobrevin-binding protein 1 o dysbindin-1), è spesso ridotta nelle sinapsi eccitatorie corticali (corteccia prefrontale dorsolaterale)[1] e limbiche.

I ricercatori hanno rilevato che la riduzione di disbindina-1 nel topo portava un deficit di adattamento nelle risposte evocate uditive, γ-attività evocata ed altri elementi simili a quelli dei patterns che si registrano nella schizofrenia. In contrasto con il ruolo della disbindina-1 nella trasmissione glutammatergica, le anomalie della banda γ nella schizofrenia sono più spesso attribuite alla compromissione dell’inibizione e alla riduzione di attività degli interneuroni positivi alla parvalbumina (cellule PV o interneuroni PV+). Per determinare il meccanismo sottostante le alterazioni elettrofisiologiche correlate alla riduzione di disbindina-1 e il potenziale ruolo delle cellule PV, i ricercatori hanno esaminato l’immunoreattività degli interneuroni PV+ e hanno misurato i cambiamenti nell’attività del circuito di rete, usando una metodica di imaging - come abbiamo più sopra anticipato - con colorazione sensibile al voltaggio.

L’impatto dominante sul circuito del deficit di disbindina-1 era rappresentato dal notevole danno alla funzione inibitoria, mentre l’immunoreattività degli interneuroni PV+ era marcatamente ridotta.

Nel complesso, l’esito di questa sperimentazione ci propone sicuramente un modello murino che fornisce una stretta associazione fra un endofenotipo uditivo e un gene di suscettibilità, in precedenza convalidato da molte verifiche sperimentali. Ma ciò che emerge dai dati e suscita maggior interesse, anche dei ricercatori di base, è che la ridotta inibizione rapida-fasica può rappresentare un comune meccanismo sottostante i fenotipi intermedi associati alla schizofrenia.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Nicole Cardon

BM&L-15 ottobre 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Un lavoro del 2009 della stessa scuola aveva rilevato nella schizofrenia la riduzione di una isoforma della proteina, la disbindina-1 C, nella corteccia prefrontale dorsolaterale (Hum Mol Genet. 18 (20): 3851-3863, 2009).