Una
discussione neuroscientifica sulla sessualità animale e umana
SIMONE WERNER
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 17 settembre 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica.
[Tipologia del testo:
RESOCONTO]
(Prima
Parte)
La
frequente trattazione divulgativa dei fondamenti neurobiologici della
sessualità e dei rapporti sessuali sta diffondendo idee e dati inesatti,
soprattutto a causa di ipersemplificazioni e di forzature determinate dalla scelta
di metafore esplicative di sicuro effetto comunicativo, ma lontane dalla realtà
sperimentale. A ciò si aggiunga che l’abbondante produzione pubblicistica dei
paesi-guida in questo settore, si basa ormai sugli stereotipi irrinunciabili di
un lessico e di un patrimonio di forme interpretative derivanti dalle
convinzioni personali degli autori più popolari ed apprezzati dei maggiori best-sellers[1].
Per tali ragioni, i membri della nostra Società Scientifica ritengono un
proprio dovere contribuire alla corretta diffusione dei più recenti elementi di
conoscenza, proponendo occasioni didattiche in cui i fatti sono bene distinti dalle
ipotesi, dalle opinioni e dalle
facili estensioni all’uomo di
risultati ottenuti solo in alcune specie animali. A questo scopo, la Commissione
Scientifica della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life Italia”,
ha promosso un incontro nel corso del quale si è sviluppata un’interessante
discussione a più voci, di cui riportiamo qui di seguito le parti principali.
Diane Richmond. Di recente, in saggi divulgativi
scritti anche dagli stessi ricercatori impegnati nel campo della regolazione
nervosa del comportamento sessuale, evidentemente piegati alle logiche del
mercato editoriale, si parla della messa a punto di una sorta di “filtro
d’amore carnale” a base di ossitocina, vasopressina[2]
e dopamina; la pozione concepita per i roditori necessiterebbe solo di qualche
correttivo per l’impiego umano. Naturalmente questo non è vero, in quanto non è
stato sperimentato direttamente un simile cocktail negli animali di
laboratorio, e la sessualità umana è il prodotto di un’organizzazione
funzionale in parte diversa da quella dei roditori e molto più complessa.
Nicole Cardon. Infatti, i roditori e molti altri
mammiferi inferiori hanno una fisiologia sessuale rigidamente governata dalle
quattro classi di ormoni della riproduzione, ossia estrogeni, progesterone,
testosterone e prolattina. La loro azione su specifiche cellule-bersaglio
innesca gli attivatori neurali delle risposte riproduttive che, in termini
comportamentali, consistono in semplici schemi stereotipati di atteggiamento e
azione. Nei roditori, a differenza degli esseri umani, se gli ormoni
riproduttivi sono rimossi, il comportamento scompare. Per tale ragione le loro
risposte sessuali si considerano strettamente ormono-dipendenti. Naturalmente
esistono notevoli somiglianze con la fisiologia umana, quali il filtro della
barriera ematoencefalica e il controllo a feedback
degli steroidi sessuali da parte dei peptidi ipofisari che, a loro volta, sono
controllati con lo stesso meccanismo dagli ormoni ipotalamici.
L’attività
sessuale dei roditori, regolata dal ciclo estrale, è estremamente schematica e,
perciò, facile da influenzare con una semplice azione neurochimica esercitata
nelle aree più sensibili all’attivazione e all’inibizione. In tal modo si
spiegano gli effetti rilevanti e pressoché costanti prodotti dall’ossitocina e
dalla vasopressina sui sistemi modulatori del comportamento. Il ruolo della
dopamina e dei circuiti dopaminergici meriterebbe un discorso a parte, ma ciò
che voglio sottolineare è che la distanza che ci separa da topi, ratti ed altri
roditori impiegati nella ricerca sul controllo nervoso della sessualità, non si
limita alle differenze nell’architettura funzionale del cervello, ma include
tutta la gamma di effetti prodotti dalle esperienze tipiche della cultura e dei
contesti umani sul sistema nervoso centrale, sulla psiche in generale e sui
sistemi che direttamente o indirettamente modulano le risposte erotiche.
Ludovica R. Poggi. In proposito, mi viene in mente
uno studio recente condotto da ricercatori italiani che hanno tentato di
riprodurre nei ratti l’effetto dei rave
parties sul desiderio erotico e sul comportamento conseguente. Per ricreare
al meglio la condizione di questi “raduni trasgressivi”, i roditori sono stati
esposti per periodi limitati di tempo all’ascolto di musica ad altissimo volume,
mentre veniva somministrata loro la sostanza psicotropa più frequentemente
assunta in quei contesti, ossia la MDMA, comunemente nota con il nome di
Ecstasy.
E’
noto che, a partire dagli anni Sessanta negli USA e poi in gran parte dei paesi
occidentali, si è andata affermando una sottocultura promossa dagli spacciatori
di droga e, spesso inconsapevolmente, diffusa e consolidata dai consumatori,
secondo cui tutte le informazioni relative alle sostanze di abuso che
provengono da fonti istituzionali e da istituti scientifici sono ritenute false,
mentre quelle che circolano negli ambienti dei consumatori delle sostanze sono considerate
vere.
Si
parla di sottocultura perché le idee favorevoli all’uso di sostanze che
agiscono sul cervello con effetti stimolanti in dosi tossiche, sono sostenute
attraverso complessi strutturati di idee e credenze, corroborate dalla
trasmissione orale di racconti, per i quali è impiegata dai sociologi
l’espressione “leggende metropolitane”. La veridicità di tutte le affermazioni
e le storie sarebbe garantita dalla “diretta esperienza” dei primi che le hanno
diffuse. Molte organizzazioni criminali investono grandi capitali in tutto il
mondo in imprese di propaganda delle sostanze psicotrope (si pensi alle scritte
“cannabis” ed “ecstasy” su milioni di magliette e sui muri delle città dei
cinque continenti) con il finanziamento occulto di riviste, associazioni
politiche e attività commerciali. Tali sforzi di propaganda non sarebbero tanto
efficaci se non vi fossero gli ambienti, non più solo giovanili, di questa
sottocultura a fare da cassa di risonanza. Una credenza molto diffusa in tali
contesti è che l’Ecstasy sia un potente afrodisiaco[3].
I
ricercatori che hanno riprodotto la condizione rave party per i ratti, hanno sottoposto a verifica questa
convinzione. In base alle attuali conoscenze neurobiologiche si può affermare
che, se la sperimentazione sui roditori avesse dato esito positivo, ci
sarebbero state buone probabilità di un’efficacia in tal senso del composto
sull’organismo umano, ma se la verifica sperimentale avesse dato esito negativo,
non vi sarebbero state basi ragionevoli per ipotizzare una specifica azione di
eccitazione erotica indotta dalla sostanza.
La
molecola è stata somministrata in uno spettro di dosaggio equivalente nel ratto
a quello impiegato dai giovani nei raduni, ed il risultato è stato di tutta
evidenza: il vigore sessuale dei maschi era totalmente soppresso dall’azione
della MDMA. Un aspetto interessante è che l’azione della musica ad alto volume
sul cervello poteva mitigare l’induzione del deficit erettile indotto
dall’Ecstasy, anche se non era in grado di riportare la funzione, durante
l’effetto della droga, alle condizioni fisiologiche naturali di base.
Anche
se non è possibile negli esperimenti condotti su mammiferi inferiori, neanche
alla lontana, avvicinarsi agli effetti prodotti sulla nostra coscienza, sulle
nostre emozioni, sui nostri affetti da contesti di esperienza umana in grado di
facilitare o deprimere il tono sessuale e l’eccitazione erotica, la
sperimentazione animale può avere una significatività predittiva in alcuni
casi, come questo in cui i ricercatori si sono limitati a verificare gli
effetti derivanti dall’azione farmacologica della MDMA che si esplica con le
stesse modalità sui recettori dei neuroni dei roditori e dei primati.
[continua]
[1] Si pensi a Helen Fisher che, considerata autorevole per le sue competenze antropologiche sulla sessualità, fa un uso improprio del dato neuroscientifico, commettendo errori di livello, operando generalizzazioni infondate e forzature umanomorfe e sessiste nell’interpretazione degli studi su animali. I numerosi epigoni del suo stile ne riproducono gli errori nelle trasmissioni televisive e in altre forme di diffusione mediatica, in cui le molecole neuromediatrici, invece che mezzo di comunicazione fra i sistemi che determinano gli stati fisiologici, sono erroneamente proposte come la causa di quegli stati, le differenze sessuali sono costantemente forzate ad evidenze di una pretesa superiorità femminile, e così via.
[2] Sul ruolo dell’ossitocina e della vasopressina (quest’ultima soprattutto nel maschio) nel comportamento sociale e sessuale, si invita alla lettura delle numerose note che compaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).
[3] La dottoressa Poggi ha personalmente verificato tale convinzione in colloqui con giovani frequentatori di questi raduni in Umbria, Toscana e Lombardia.