Amigdala
più grande nei figli di donne depresse
GIOVANNA REZZONI
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 10 settembre 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Da
quando è stato provato, con determinazioni volumetriche eseguite mediante
risonanza magnetica, che lo stress
causa un danno biologico all’ippocampo e ad altre formazioni dell’encefalo
umano, numerosi studi hanno indagato i correlati patomorfologici di disturbi
dello spettro dell’ansia e della depressione[1].
Questo filone di ricerca si è incontrato di recente con quello che indaga da
tempo negli animali le conseguenze, a breve e lungo termine, molecolari,
cellulari e sistemiche di esperienze precoci, quali cure parentali deficitarie
o intensive, traumi ed altro. Questo incontro ha prodotto, se non proprio un
diverso impianto della ricerca, uno stimolante mutamento di prospettiva, che
porta i ricercatori a non limitarsi a rilevare effetti misurandone entità e
durata, ma a studiare le eventuali influenze sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e delle sue funzioni.
E’
stato dimostrato che la separazione dalla madre e la scarsità di cure materne
negli animali ha effetti rilevanti sull’ippocampo e sull’amigdala in corso di sviluppo. Nella realtà umana, si è rilevato
che i bambini vittime di abusi e maltrattamenti e quelli allevati in
orfanotrofio non fanno registrare differenze di rilievo nel volume
dell’ippocampo, ma presentano un aumentato volume dei nuclei amigdaloidei: un reperto che suggerisce una particolare sensibilità
dell’amigdala a cure infantili gravemente disturbate per discontinuità o
negligenza.
La
presenza di sintomatologia depressiva nella madre è stata associata ad
una complessiva riduzione della sensibilità al bambino e ad una aumentata percentuale
di comportamento caratterizzato dal sottrarsi ai compiti del ruolo e
dall’apparire disimpegnata.
Sonia
Lupien e colleghi, per accertare se la riduzione di cure materne derivante
dalla sintomatologia depressiva determinasse nei bambini un pattern di associazione ai volumi di
ippocampo e amigdala simile a quello degli infanti allevati in orfanotrofio,
hanno condotto uno studio morfologico delle due formazioni cerebrali ed una
stima dei tassi di cortisolo, ottenendo risultati molto interessanti (Lupien S. J., et
al. Larger
amygdale but no change in hippocampal volume in 10-year-old children exposed to
maternal depressive symptomatology since birth. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of
print doi:10.1073/pnas.1105371108], 2011).
Gli
autori del lavoro provengono da vari istituti dell’Università di Montreal
(Canada), University College di Dublino (Irlanda), University of Minnesota,
Minneapolis (USA), INSERM di Parigi (Francia) e McGill University (Canada).
Sono
stati studiati 17 bambini esposti alla sintomatologia depressiva della madre
fin dalla nascita e confrontati con 21 bambini allevati in condizioni ordinarie,
fungenti da gruppo di controllo. In entrambi i gruppi sono state effettuate
misure volumetriche dell’ippocampo e dell’amigdala di destra e di sinistra, e
rilievi dei livelli dei glucocorticoidi (cortisolo).
Non
si è registrata alcuna differenza apprezzabile fra i due gruppi per i volumi
ippocampali, invece, sia l’amigdala di destra che quella di sinistra,
sono risultate di maggiori dimensioni nei 17 figli delle donne depresse.
Sonia
Lupien e colleghi hanno poi effettuato una comparazione fra le stime
diagnostiche di entità del disturbo depressivo e le conseguenze nello sviluppo
del complesso nucleare amigdaloideo nei figli. I dati mostrano una correlazione
positiva fra il punteggio depressivo medio delle madri e l’entità di aumento
volumetrico dell’amigdala dei bambini. In altri termini: maggiore è
l’espressione sintomatologica depressiva della madre, maggiori sono gli effetti
di ipertrofia della formazione nucleare a mandorla nel cervello dei figli.
Prima
di concludere, per riferire questi dati al quadro delle conoscenze attuali, è
opportuna qualche considerazione a proposito dell’amigdala.
L’amigdala o corpo nucleare
amigdaloideo[2] è un
agglomerato nucleare pari e simmetrico grigio-rossastro a forma di mandorla del
diametro di 10-12 mm, situato nella profondità dorso-mediale del lobo
temporale, in prossimità topografica della coda del nucleo caudato, ma non
collegata fisiologicamente al controllo motorio e procedurale dei nuclei del corpo striato. L’amigdala, da una parola greca che vuol dire mandorla, occupa la parte anteriore del giro paraippocampico e la
parte iniziale dell’uncus, sporgendo
davanti al corno di Ammone. Descritta in anatomia con i nuclei della base
telencefalica, al suo interno è composta da agglomerati di pirenofori che
formano una dozzina di piccoli nuclei classificati in vario modo, anche se più
spesso ripartiti in tre aree: amigdala laterale (AL), amigdala centrale (AC) ed
amigdala basale (AB). In neurofisiologia l’amigdala è tradizionalmente
considerata parte del sistema limbico
ma, come è noto, la concezione di Paul McLean secondo cui l’insieme delle aree
filogeneticamente più primitive costituiva una unità funzionale, detta anche cervello emotivo, è venuta a cadere nel
tempo e l’amigdala è stata indagata spesso separatamente o nei suoi rapporti con
aree neocorticali. Anche se negli ultimi decenni è stata studiata soprattutto
in relazione alla paura e all’apprendimento della paura condizionata, i suoi
sistemi neuronici intervengono in una gamma considerevole di processi, quali
quelli relativi al conferimento di valori d’affezione a stimoli percettivi,
alle associazioni con stimoli sessuali, alle risposte di attenzione motivata in
chiave di interesse edonico o di allerta e di allarme. Inoltre, come faceva
rilevare il nostro presidente, numerosi studi suggeriscono che questo complesso
nucleare, con le sue estese connessioni, svolga un ruolo critico nella
regolazione di vari comportamenti cognitivi e sociali, oltre che
affettivo-emotivi.
Alla
luce delle conoscenze attuali non è più possibile ipotizzare ripartizioni
funzionali ingenue con ruoli localizzati in singoli comparti, tuttavia al suo
interno l’amigdala ha mostrato una specializzazione che vede implicati, ad
esempio, nella mediazione del comportamento sessuale, i nuclei mediale e posteriore e, nella paura, i nuclei laterale e centrale.
Sarebbe perciò importante definire quali parti dei nuclei amigdaloidei dei
bambini di madri depresse sono indotte a svilupparsi maggiormente, determinando
l’aumento in toto del volume
dell’amigdala. Una tale determinazione potrebbe aiutare a comprendere se si
verifica uno squilibrio di proporzione fra le differenti funzioni mediate,
oppure se in conseguenza di questa ipertrofia di sviluppo si accresce aspecificamente
l’attività di tutte le parti.
L’autrice della nota ringrazia il professor Giuseppe
Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, con il quale ha discusso l’argomento
trattato, e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento
connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA” del sito).
[1] Per una revisione sintetica, ma mirata agli studi di maggior rilievo si veda in Giuseppe Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress. Dipartimento di Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005.
[2] L’esposizione che segue è tratta da un brano di una relazione tenuta lo scorso anno dal presidente della Società Nazionale di Neuroscienze (si veda in Note e Notizie 20-11-10 Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM – quarta parte).