Origine
delle oscillazioni beta patologiche nel Parkinson
GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 02 luglio 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Un
elemento distintivo della dinamica neurale patologica, nella corteccia
cerebrale e nei nuclei della base dei pazienti affetti da malattia di Parkinson, è costituito da un’accresciuta attività elettrica
oscillatoria a frequenze beta (8-30 Hz). Nonostante numerosi
studi, i processi responsabili di questa manifestazione elettroencefalografica
patologica non sono stati finora identificati.
Ora
McCarthy e colleghi, applicando modelli
matematici
all’attività bioelettrica cerebrale, sembrano essere riusciti a risalire
all’origine di questo segno strumentale annoverato fra i rilievi clinici di una
delle malattie neurodegenerative più frequenti dell’età media ed avanzata (McCarthy
M. M., et al. Striatal origin of
the pathologic beta oscillations in Parkinson’s disease. Proceedings of the National Academy of Science USA [published
ahead of print doi:10.1073/pnas.1107748108], 2011).
In
questo modo nel 1817 James Parkinson descrisse le caratteristiche
sintomatologiche salienti del disturbo neurologico denominato con il suo
eponimo e definito “morbo”: movimenti
involontari con carattere di tremore, accompagnati da diminuzione della forza,
non rilevabili nelle parti del corpo a riposo e nemmeno in quelle sostenute;
una tendenza alla flessione in avanti del tronco e a passare da una
deambulazione normale a un passo di corsa, con conservazione delle facoltà
intellettive.
A
duecento anni di distanza questa descrizione clinica è sostanzialmente valida,
anche se può essere integrata da elementi tratti da una più precisa semeiotica
di osservazione: il tremore[1],
ad esempio, è evidente nella mano ferma non trattenuta dall’altra mano o
impegnata ad afferrare, e si distingue dal tremore di origine cerebellare che
si accentua nello sviluppo intenzionale dell’azione; la conservazione delle
facoltà intellettive è una caratteristica che bene si spiega sulla base di una
degenerazione in gran parte confinata alla componente originata dalla parte
compatta della sostanza nera del sistema nigro-striatale, ma l’associazione di
un decadimento cognitivo che evolve in un quadro di demenza è meno rara di quanto
si ritenesse un tempo. Proprio questo aspetto, ossia lo studio delle
ripercussioni della degenerazione parkinsoniana sulle attività della corteccia
cerebrale e sulle funzioni cognitive, ha assunto un notevole rilievo in tempi
recenti.
Gli
autori di questo studio, realizzato per determinare l’origine della frequenza
elettroencefalografica patologica, provengono dai Department of Mathematics and
Statistics e Department of Biomedical Engineering, Photonics Center, della
Boston University (Boston, USA), e dal Media Lab del Massachusetts Institute of
Technology, Cambridge (Massachusetts, USA).
Impiegando
modelli matematici, i ricercatori hanno rilevato che una notevole attività
elettrica caratterizzata da oscillazioni a frequenza
β poteva emergere
dalle interazioni inibitorie fra neuroni spinosi medi dei nuclei del corpo
striato.
In
particolare, è risultato evidente che l’interazione delle correnti GABAa sinaptiche e la corrente-M
intrinseca di
membrana, promuove la genesi in estese popolazioni neuroniche di oscillazioni
nel range delle frequenze β. Nei modelli dell’attività dello striato, sostanzialmente corrispondente ai nuclei caudato e putamen, accrescendo i livelli di attività colinergica come accade nella fisiopatologia della malattia di
Parkinson, in cui l’antagonismo delle vie dopaminergiche e catecolaminergiche,
per effetto della perdita dei neuroni nigrostriatali rilascianti la
catecolamina vede il prevalere della segnalazione legata all’acetilcolina, si
assisteva all’incremento dell’oscillazione β.
McCarthy
e collaboratori hanno poi condotto un importante esperimento di verifica in vivo, in roditori normali durante lo
stato di veglia. Hanno iniettato carbacolo, un agonista colinergico, nello
striato e, successivamente, nella neocorteccia cerebrale topograficamente
correlata, studiando gli effetti sul potenziale
di campo locale.
Quando il carbacolo era introdotto nei nuclei
della base si
determinava l’insorgenza di una prevalente e marcata frequenza β nel potenziale di campo locale, ma quando l’agonista
colinergico era infuso nei sistemi neuronici della corteccia l’effetto non si
produceva.
In
conclusione, il complesso dei dati emersi da questo studio fornisce un’evidenza
a sostegno dell’interpretazione dell’origine della frequenza β patologica nella malattia di Parkinson
dall’anomala amplificazione della componente colinergica nella normale dinamica
della rete striatale, conseguente alla massiccia perdita dei neuroni
rilascianti dopamina.
L’autore della nota invita alla lettura delle numerose
recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”
(impiegare la pagina “CERCA” del sito).
[1] Nella maggior parte dei pazienti la frequenza del tremore è stimata in 4-5 scosse al secondo, ma in alcuni appare più rapida e raggiunge le 7-8.