Il
disegno dei contorni basta al cervello per individuare la categoria di una
scena naturale
GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 18 giugno 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Fino
ad alcuni decenni fa si riteneva che la visione avesse il suo centro nodale
nella formazione dell’immagine sulla retina. L’analogia dell’occhio con la
macchina fotografica si spingeva fino ad equiparare la struttura a sette strati,
che costituisce il sofisticato complesso fotorecettivo, alla pellicola inserita
in una macchina fotografica che abbia l’iride
per diaframma e il cristallino per
obiettivo. Quando Henschen riuscì a dimostrare che la topografia dell’area
visiva primaria della corteccia calcarina (V1, o area 17 secondo la
ripartizione anatomica di Brodmann) presentava una corrispondenza punto per
punto con la superficie neurorecettiva dell’occhio, quest’area corticale
occipitale fu battezzata “retina cerebrale”. In realtà oggi, soprattutto grazie
al lavoro di Semir Zeki e della sua scuola, sappiamo che esistono 32-33 aree
corticali per la visione che, con l’eccezione di V1 e V2 che selezionano i
segnali da inviare alle altre aree, sono specializzate in singole modalità di
elaborazione dei segnali visivi, dalla cui sintesi cerebrale nascono le
immagini che vediamo.
La
capacità del cervello di ricostruire scene percettive, o di costruirle in
assenza di percezione come accade nei sogni, è assolutamente straordinaria. I
processi che “globalizzano” l’informazione visiva – secondo l’espressione di
Edelman – costituiscono una componente importante della vita psichica in ogni
suo aspetto[1]. Una parte
di queste funzioni, ossia quelle che attengono all’elaborazione cognitiva è oggetto di studi che, ereditando la grande messe di dati
prodotti dalla psicologia sperimentale della visione e dalla psicofisiologia
sensoriale, ottengono risultati di notevole interesse grazie all’impiego dei
metodi delle neuroscienze cognitive. Un filone nell’ambito di queste ricerche
studia il rapporto fra processi di categorizzazione e percezione visiva,
fornendo elementi molto significativi sui requisiti necessari e sufficienti per
alcuni processi di inferenza cognitiva alla base dell’intelligenza visiva.
La
nostra capacità di ripartire in categorie delle scene naturali, raggiunge un alto livello di efficienza già in età
evolutiva, lasciandoci supporre una base neurale costituitasi nel corso
dell’evoluzione e ben consolidata nell’ontogenesi. In effetti, attualmente, le categorie cui appartengono le scene[2] possono essere decodificate
mediante risonanza magnetica funzionale
(fMRI, da functional magnetic resonance
imaging) a partire dai dati relativi alla corteccia
visiva ventrale,
inclusa la corteccia visiva primaria, alla place area paraippocampale (PPA, da parahippocampal place area) e alla corteccia retrostante lo splenio
del corpo calloso (RSC, da retro splenial cortex).
Le
scene che vediamo nella realtà che ci circonda sono straordinariamente
eterogenee e complesse, tuttavia noi siamo in grado di riconoscerle in termini
di luogo, identificarle per tipologia e assegnarle ad una categoria, anche solo
dopo un’osservazione di pochi secondi: un paesaggio di montagna con scalatori,
laghi e conifere; una foresta tropicale popolata da esemplari della sua ricca
fauna; scene di mare con turisti e bagnanti di varia provenienza e imbarcazioni
di ogni foggia; una vista sulle trafficate e caotiche vie del centro di una
metropoli, con le sue luci policromiche e i suoi schermi pubblicitari
elettronici.
Se
a questo compito forniscono un contributo importante tutte le aree visive della
corteccia, con le loro informazioni di dettaglio, si è accertato un ruolo
specifico della porzione temporale
ventrale della PPA nella elaborazione delle scene. Anche se si è enfatizzato molto
il ruolo della PPA nella decodifica spaziale,
indagini più recenti hanno rilevato un suo contributo in chiave semantica o
contestuale, per questo non si hanno ancora certezze su come operano le singole
componenti della rete funzionale, ed è lecito soffermare l’attenzione sulla
“concettualizzazione morfologica” derivante dall’interazione dei neuroni delle
regioni che compongono il circuito necessario a questo genere di
classificazione.
Dirk
B. Walther e colleghi del Department of Psychology, The Ohio State University, (Columbus),
si sono chiesti se e dove possiamo ancora decodificare la
categoria di una scena, se ne riduciamo l’immagine al solo disegno lineare dei
contorni principali. Gli esiti dello studio suggeriscono un’interessante
conclusione sul processo cerebrale di categorizzazione (Walther D. B., et
al. Simple
line drawings suffice for functional MRI decoding of natural scene categories. Proceedings of the National Academy of
Science USA 108 (23): 9661-9666, 2011).
Gli
autori del lavoro hanno eseguito scansioni tomografiche fMRI mentre i partecipanti guardavano fotografie e disegni
lineari schematici,
cioè senza chiaroscuro, di spiagge, strade statali, montagne, strade cittadine,
foreste e uffici. Raccogliendo ed analizzando i dati sull’attività delle regioni
cerebrali e ricavandone i patterns di
decodifica, Walther e colleghi riuscivano a riconoscere la categoria della
scena rappresentata nei disegni dal pattern
cerebrale, quasi con la stessa fedeltà con la quale potevano riconoscere
la categoria delle scene quando erano presentate mediante fotografie a colori.
In particolare, dall’attività nella corteccia
visiva primaria e in PPA e RSC, si capiva quale tipo di scena il
soggetto stesse guardando in quel momento, quasi con la stessa probabilità per
foto e disegni.
Per
cercare di stabilire il contributo relativo della struttura locale e della struttura
globale, all’abilità umana di categorizzare le scene, i ricercatori sono
intervenuti sui disegni in due modi:
1) rimuovendo
selettivamente i contorni lunghi;
2) rimuovendo
selettivamente i contorni brevi.
In
una prova di “confronto di categoria”, la prestazione dei partecipanti era decisamente
peggiore nelle prove che implicavano il giudizio di disegni lineari
privati dei contorni lunghi, che in quelle richiedenti la
valutazione di rappresentazioni grafiche di scene private solo dei contorni
brevi.
Lo
studio, nel suo complesso, indica che la configurazione generale dei profili,
preservata nei disegni lineari, è parte integrante nella rappresentazione
tipologica della scena, e suggerisce che il giudizio di appartenenza categoriale delle scene è strettamente dipendente dalla concettualizzazione della struttura globale della scena stessa.
L’autore della nota ringrazia il prof. Perrella con il
quale ha discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle recensioni
di argomento connesso che compaiono nella sezione “In Corso” e nelle “Note e
Notizie” (impiegare la pagina “CERCA” del sito).
[1] Si pensi agli studi sulla coscienza basati sulla visione di immagini (frequenza γ, corrispondente ad oscillazioni a circa 40 hz nello strato delle grandi cellule piramidali della neocorteccia), condotti da Francis Crick, uno dei padri della doppia elica del DNA, in collaborazione con Christof Koch. Ma si pensi anche a tutte le risposte cerebrali e dell’intero organismo - dai riflessi di base alle evocazioni più sofisticate - che possono essere mediate dalla percezione visiva: paura, rabbia, appetito, eccitazione, riflessione, allerta, ammirazione, stizza, sconforto, attrazione, allarme, compassione, rimorso, disprezzo, entusiasmo, rimpianto, avversione, ecc.
[2] Un lavoro recente e molto interessante sull’argomento è stato pubblicato nel mese di maggio sul Journal of Neuroscience: Kravitz D. J., Peng C. S., Baker C. I., Real World Scene Representation in High-Level Visual Cortex: It’s the Space More Than the Places. J. Neurosci. 31 (20), 7322-7333, 2011. I tre autori lavorano presso il Laboratory of Brain and Cognition presso la sezione NIMH dell’NIH di Bethesda.