Le
violazioni del regime dietetico alterano le risposte in accumbens e amigdala
LORENZO L. BORGIA
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 11 giugno 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Numerosi
studi hanno dimostrato che l’assunzione di alimenti ad alto contenuto calorico
causa perdita di controllo ed iperalimentazione da parte di persone sottoposte ad
un regime dietetico cronico autoregolato.
In altri termini, la trasgressione dietetica sembra comportare, quale sequela
inevitabile, un periodo di accresciuta introduzione di cibo, superando la
resistenza offerta dalla volontà del soggetto. Si è supposto che tale aumento
del desiderio, apparentemente meno facilmente condizionabile di quello
ordinariamente sperimentato da queste persone, abbia una base neurale nella
rottura di un equilibrio prodotta dall’assunzione sporadica dell’alimento ricco
di calorie come evento isolato in una condizione di regime calorico basso e
costante[1].
I
risultati di uno studio che sarà pubblicato nel mese di agosto sul Journal of Cognitive Neuroscience,
sembrano indicare una precisa base
neurale per questo
fenomeno che produce tanta frustrazione in coloro che impiegano il controllo
del peso (weight watchers) per
verificare gli effetti delle quotidiane rinunce (Demos K. E., et al. Dietary Restraint
Violations Influence Reward Responses in Nucleus Accumbens and Amigdala. Journal of Cognitive Neuroscience 23
(8): 1952-1963, 2011)[2].
Kathryn
E. Demos, attualmente alla Brown University, e i colleghi del Dartmouth
College, hanno condotto uno studio dell’encefalo mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI) per indagare le basi di questo
aumento di desiderio di cibo che si verifica quando si interrompe la dieta. A
tale scopo sono stati reclutati 50 volontari a regime dietetico cronico autocontrollato
e comparati a 50 persone, fungenti da gruppo di controllo, non sottoposte a
restrizioni dietetiche. Entrambi i gruppi sono stati studiati in ordine
all’assunzione di un bicchiere di latte
frullato (15 oz, alto contenuto calorico) e di un bicchiere di acqua fredda (15 oz, zero calorie).
Subito
dopo, il cervello di tutti i partecipanti all’esperimento è stato sottoposto a
scansioni tomografiche fMRI durante la visione di immagini raffiguranti
persone, paesaggi, animali e cibi
appetitosi.
Il
risultato ha evidenziato una dissociazione
funzionale nel nucleo accumbens e nell’amigdala, che corrisponde esattamente agli schemi comportamentali (behavioral eating patterns), definiti e
confermati da numerosi studi, nell’assunzione degli alimenti da parte delle
persone a dieta e non a dieta.
Le
persone non sottoposte ad alcun regime di restrizione, come era prevedibile, dopo
aver bevuto l’acqua presentavano la massima attività nel nucleo accumbens alla vista delle attraenti fotografie di cibi. Al
contrario, i volontari sottoposti a dieta cronica, dopo aver assunto il
frullato di latte, invece di avere il classico effetto sazietà con riduzione dell’attività del rewarding system cerebrale, alla vista
degli alimenti presentavano il picco massimo di attività nell’area
corrispondente al nucleo accumbens. Coerentemente, l’attività nell’amigdala di sinistra, dimostrava l’interazione inversa[3].
I
risultati di questo studio, rapportati a tutto quanto emerso dalla ricerca
condotta in questo campo, suggeriscono una precisa base neurale per il frequente difetto di costanza nel rispetto dei
limiti imposti dal regime dietetico da parte delle persone permanentemente
sottoposte a restrizione: dopo un’eccezione alla regola si attiva una sorta di
meccanismo di amplificazione, per il quale più si mangia, più il cibo agisce
come segnale che attrae l’attenzione (amigdala) e più promette piacere (nucleo accumbens). E’ evidente l’inversione funzionale in un dispositivo
fisiologico che normalmente produce effetto-segnale e attivazione del sistema a
ricompensa alla vista del cibo in condizioni di bisogno calorico-energetico da
parte dell’organismo.
In
conclusione, vogliamo osservare che, conformemente alle tesi formulate sulla
base della visione dei rapporti cervello-mente-organismo proposta da G.
Perrella, le alterazioni di regolazione che portano al sintomo visibile
dell’aumento di peso dovrebbero essere sempre considerate nei termini di un
possibile squilibrio funzionale complessivo. Al riguardo, si potrebbe citare
una lunga lista di esempi tratti dalla fisiologia e dalla patologia, ma basti
solo pensare agli effetti antidepressivi della leptina[4]
deficitaria in alcune condizioni di obesità bulimica.
L’autore della nota ringrazia il professor Giuseppe Perrella,
presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, con il quale ha discusso
l’argomento trattato, e invita alla lettura delle recensioni di argomento
connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (impiegare la pagina “CERCA” del
sito).
[1] Nell’obesità collegata a bulimia è nota da tempo un’attivazione anomala della VTA (area tegmentale ventrale, cruciale nel sistema a ricompensa) e delle vie che fanno capo al nucleo accumbens (Si veda nella sezione “In Corso” del sito La bulimia non è una tossicodipendenza).
[2] L’indicazione bibliografica si riferisce alla pubblicazione cartacea prevista per il mese di agosto 2011 (volume 23, Numero 8); tuttavia, non avendo indicazioni circa la data della ripresa dell’edizione a stampa che ci risulta sospesa dal gennaio 2011, forniamo anche l’indicazione del codice: doi:1162/jocn.2010.21568, per facilitare la consultazione del lavoro originale sul sito della rivista.
[3] Fin dagli studi di Le Bar e colleghi (2001) è noto l’effetto segnale che produce nell’amigdala la vista del cibo in presenza di fame da digiuno e la riduzione della risposta dei sistemi amigdaloidei a seguito di una sia pur limitata assunzione di alimenti.
[4] La leptina, il cui nome fu coniato da Friedman dal termine greco leptos che vuol dire snello, sottile, è considerata un ormone della sazietà, ma è una molecola dai molti aspetti funzionali. Appartiene, infatti, alla famiglia delle citochine ad elica ed è in grado di influenzare la risposta immune ed autoimmune; inoltre, ha mostrato proprietà antidepressive (Note e Notizie 04-03-06 La leptina come nuovo antidepressivo).