Il recettore
Mu per gli oppioidi nei fumatori
LUDOVICA R. POGGI
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 04 giugno 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La
dipendenza da nicotina pone grossi problemi di carattere
medico, oltre al noto rischio di cancro del polmone dei fumatori, perché
facilita la dipendenza da altre sostanze, potenziandone l’effetto ricompensa, e spesso non è facilmente trattabile. Più
dell’80% dei fumatori che smette, riprende a fumare nel giro di un anno. Esiste
una vera e propria “sindrome da astinenza” da nicotina, che non ha i caratteri
patologici dello scompenso neurovegetativo da oppiacei (eroina ed altri
derivati morfinici) o della sindrome da astinenza da cocaina, ma pure si
presenta con sintomi fastidiosi, quali irritabilità, ansia, disforia,
irrequietezza, iperfagia, e soprattutto non trova un trattamento adeguato ed
efficace in molti casi. Infatti, la somministrazione di nicotina equivale a
rinviare la soluzione del problema e la terapia con buproprione si rivela
spesso inefficace. Il bupropione è classificato come farmaco antidepressivo, ma
è un composto con numerosi e vari effetti sul sistema nervoso centrale, alcuni
dei quali indesiderabili o potenzialmente tossici a dosi terapeutiche protratte
nel tempo. In ogni caso, nello smettere di fumare la volontà del soggetto
rimane la risorsa più sicura ed efficace[1].
Nella
mediazione dell’effetto ricompensa di varie
sostanze psicotrope d’abuso, inclusa la nicotina, numerose evidenze sperimentali
indicano l’importanza del ruolo del sistema
degli oppioidi endogeni
e, in particolare, del recettore mu (MOR, da mu opioid receptor). Il polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP,
da single nucleotide polymorphism) nel
gene umano di MOR (OPRM1 A118G) è risultato in grado di alterare sia il livello della
proteina recettoriale in modelli preclinici sia, nell’uomo, il comportamento
correlato all’abitudine viziosa al fumo di tabacco.
Per
cercare di comprendere i meccanismi sottostanti queste associazioni, è stato
condotto uno studio in vivo degli
effetti del genotipo OPRM1 A118G sul potenziale di legame di MOR (BPND o disponibilità del recettore) da Riju Ray e colleghi del Center
for Interdisciplinary Research on Nicotine Addiction, Department of Psychiatry,
University of Pennsylvania, e di vari altri istituti universitari americani (Ray R., et al.
Human
Mu Opioid Receptor (OPRM1 A118G) polymorphism
is associated with brain mu-opioid receptor binding potential in smokers. Proceedings of the National Academy of
Science USA 108 (22), 9268-9273,
2011)[2].
Ricordiamo
che la nicotina è la principale responsabile della
dipendenza da fumo di tabacco, condizione che insorge nel 30% di
tutti coloro che ne sperimentano l’uso, e in una percentuale molto più alta fra
coloro che hanno cominciato a fumare prima dei vent’anni. La nicotina è un agonista del recettore nicotinico dell’acetilcolina (nAChR), ma la sua azione nella sede
critica per gli effetti che determinano l’abuso e la dipendenza, ossia l’area tegmentale ventrale (VTA), si esplica attraverso vari
meccanismi molecolari. L’importanza dell’attivazione della neurotrasmissione
dopaminergica nella compulsione è sperimentalmente provata dalla ridotta
auto-somministrazione di nicotina a seguito del blocco di questa via di
segnalazione nel nucleo accumbens. Un ruolo non trascurabile è
svolto dalle fibre colinergiche inviate alla VTA dal nucleo tegmentale peduncolopontino e
dall’adiacente nucleo tegmentale
laterodorsale: questi assoni, che raggiungono la VTA insieme con fibre
glutammatergiche e GABA-ergiche, sono importanti regolatori dei neuroni
rilascianti dopamina. Dunque, il sistema
acetilcolinico,
insieme con i sistemi endogeni degli oppioidi e degli endocannabinoidi, costituisce il circuito naturale che media l’effetto
ricompensa (reward circuitry), per
questo non sorprende che l’attivazione dei recettori
nACh possa essere
implicata negli effetti di rinforzo di altre classi di sostanze psicotrope,
come gli stimolanti psicomotori (cocaina, amfetamine) e l’alcool etilico[3].
Riju
Ray e colleghi hanno studiato 22 fumatori, sottoposti a pre-screening del genotipo (12
A/A, 10 */G), mediante
due sessioni di tomografia
ad emissione di positroni
(PET) con [11C]carfentanil, dopo l’astinenza di una notte e dopo l’esposizione a sigarette contenenti nicotina e
a sigarette denicotinate. Le scansioni tomografiche del cervello dei fumatori mediante
questa metodica di imaging funzionale
sono state realizzate allo scopo di riconoscere i patterns di attivazione nei diversi stati.
Indipendentemente
dalla sessione, i fumatori omozigoti per l’allele wild-type OPRM1 A presentavano livelli
significativamente più alti di MOR
BPND dei
fumatori portatori dell’allele G nell’amigdala laterale, il talamo di
sinistra e la corteccia cingolata anteriore di sinistra.
Fra
i portatori dell’allele G, l’entità della differenza
nell’effetto soggettivo di ricompensa (sigarette contenenti nicotina contro
sigarette denicotinate) era associato significativamente con la differenza in MOR BPND nel nucleo caudato, nel talamo, nell’amigdala di destra e nella corteccia cingolata anteriore.
I
risultati di questo studio incoraggiano il prosieguo della ricerca volta a
stabilire il ruolo del recettore mu nella dipendenza da nicotina.
L’autrice della nota invita alla lettura delle recensioni
di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”.
[1] Si ringrazia il professor Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, che ha fornito i dati qui esposti. Il bupropione fu sintetizzato nel 1969 da Nariman Mehta per la Burroughs Wellcome (ora GlaxoSmithKline), registrato nel 1974 (come amfetabutamone) e approvato dalla FDA come antidepressivo il 30 dicembre del 1985 e commercializzato con il nome di Wellbutrin. La dose allora raccomandata (400-600 mg) causava numerosi effetti collaterali e, in particolare, frequenti e gravi crisi epilettiche che ne determinarono il ritiro da parte dell’FDA solo un anno dopo, nel 1986. Nel 1989, sotto la pressione di studi finanziati dalla stessa multinazionale produttrice, fu reintrodotto in terapia, perché si dimostrò che l’insorgenza delle crisi epilettiche si poteva evitare con dosi più basse: si fissò, allora, il dosaggio massimo a 450 mg/die.
[2] Il lavoro è stato edito da Solomon H. Snyder, Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore, MD.
[3] Per ulteriori dati su processi e meccanismi molecolari nella dipendenza da nicotina si veda in G. Perrella, Appunti di Neurochimica, BM&L, Firenze 2006.