La donna più coraggiosa del mondo

 

 

A cura di GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 28 maggio 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO DI UNA RELAZIONE]

 

Il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, ad un incontro con vari gruppi di studio sul tema del rapporto fra conoscenza culturale ed esperienza emozionale, ha tenuto una relazione dal titolo: “Il mito culturale del coraggio e la realtà biologica della paura[1].

Dopo un’introduzione che ha evidenziato i limiti delle interpretazioni fondate sulla classica dicotomia conoscenza/emozione, simili a quelli che oppongono la ragione al sentimento, focalizzando l’attenzione sulle nozioni che evocano risposte emotive e sulle emozioni che influenzano la cognizione, il professore ha proposto un interessante excursus sul modo di intendere il coraggio nella storia. La rassegna, sintetica ma ricca di esempi[2], è andata dalle civiltà antiche fino ai tempi recenti, quando alla crisi dei modelli dell’uomo fondati sull’efficienza eteronomica del soldato ha fatto seguito la molteplicità dei modi di interpretare il ruolo sociale di adulto, soprattutto grazie all’evoluzione paritaria della donna ed al multiculturalismo che ha reso relative alcune  figure di stile comportamentale, certe e consolidate come un assoluto nelle società monoculturali dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Ha così spiegato come per secoli la costruzione del mito del coraggio, necessaria a scongiurare la debolezza e l’inibizione derivante dalla paura, abbia creato un falso opposto dell’emozione che va dal timore al terrore, istituendo in realtà una categoria morale proposta come un valore esemplare da coltivare e celebrare, e rafforzata dalla deprecazione e dal disprezzo del suo contrario, ossia la viltà, la vigliaccheria.

Questo impianto culturale ha portato, per secoli, alla tendenza collettiva a negare l’esistenza stessa dell’emozione della paura, assimilandola ad un atteggiamento o a un comportamento codardo, deprecabile perché potenzialmente in grado di comportare effetti negativi su altre persone. Di frequente, si pensava e si diceva: “Non ho paura”, per dire in realtà: “Non sono un vigliacco, non mi tirerò indietro”.

Lo studio neuroscientifico delle emozioni, con gli straordinari progressi compiuti negli ultimi decenni, ha inserito tutte le conoscenze di biologia molecolare e di funzionamento di circuiti e sistemi neuronici che costituiscono il sostrato neurale della paura, nei processi fondamentali della fisiologia animale e umana. La mancata evocazione della paura in condizioni ordinarie può essere un segno di disturbo mentale[3], ma se l’emozione e l’affettività connessa non possono proprio prodursi, si verifica un caso straordinario, come quello della paziente SM, documentato in dettaglio in un articolo pubblicato su Current Biology, per la prima volta nell’edizione online del 16 dicembre 2010.

Il Presidente ha proposto un’illustrazione particolareggiata ed una discussione avvincente sul caso, del quale riferisco qui di seguito in estrema sintesi.

La donna di 44 anni, denominata convenzionalmente SM, ha avuto una vita difficile e in un certo senso straordinaria, soprattutto per una serie di disavventure, come aggressioni durante le quali è stata sotto la minaccia di un coltello o si è vista puntare una pistola, o quando, durante una lite domestica, per poco è scampata alla morte. La donna ha riferito che in nessuno di questi casi ha provato qualcosa di simile alla paura.

Per tre mesi, i ricercatori che l’hanno studiata, hanno provato di tutto per generare in lei reazioni misurabili di paura, cominciando da stimoli universalmente considerati efficaci nel generare spavento o sgomento e che, come ha detto Justin Feinstein, una studentessa della Iowa University che ha partecipato allo studio, appartengono a categorie comunemente presenti nelle società occidentali. SM è stata condotta al buio attraverso case di spettri, sorpresa da improvvise apparizioni orribili, sottoposta alla visione dei più spaventosi film del genere horror, e così via, senza che i suoi sistemi neurali centrali e periferici avviassero la serie di eventi neuropsichici,  neuroendocrini e neurovegetativi, che determinano l’assetto dell’organismo nella risposta acuta alla paura.

SM aveva affermato di odiare i serpenti, dunque i ricercatori hanno ipotizzato che tale avversione potesse avere avuto origine in uno stato affettivo simile alla paura, pertanto hanno voluto mettere alla prova l’effetto della vista di questi rettili. La donna non ha esitato un istante ad avvicinarsi e, ben presto, ne ha preso uno ed ha cominciato a giocare con la sua mobilissima lingua. Richiesta di spiegare cosa provasse, ha dichiarato di essere letteralmente sopraffatta dalla curiosità.

SM ha un danno cerebrale nell’area dell’amigdala.

Qui di seguito vediamo una sintesi dei dati descrittivi sull’amigdala, proposti dal professor Perrella per consentirci di aver presente la reale connotazione morfo-funzionale di questa formazione grigia, spesso menzionata come un piccolo centro che si limita a mediare reazioni fobico-ansiose.

L’amigdala o corpo nucleare amigdaloideo[4] è un agglomerato nucleare pari e simmetrico grigio-rossastro a forma di mandorla del diametro di 10-12 mm, situato nella profondità dorso-mediale del lobo temporale, in prossimità topografica della coda del nucleo caudato, ma non collegato fisiologicamente al controllo motorio e procedurale dei nuclei del corpo striato. Nell’uomo, l’osservazione microscopica a piccolo ingrandimento consente in genere di riconoscere al suo interno 10-12 piccoli nuclei, che sono stati raggruppati secondo criteri diversi, dando luogo a classificazioni anatomiche, funzionali o topografico-funzionali.

L’amigdala, da una parola greca che vuol dire mandorla, occupa la parte anteriore del giro paraippocampico e la parte iniziale dell’uncus, sporgendo davanti al corno di Ammone. Descritta in anatomia con i nuclei della base telencefalica, al suo interno è composta da un addensamento di pirenofori che formano una dozzina di piccoli nuclei ripartiti, in genere, in tre aree: amigdala laterale, amigdala centrale ed amigdala basale. Fisiologicamente, l’amigdala si considera appartenente al sistema limbico, e negli ultimi decenni è stata studiata soprattutto in relazione alla paura e all’apprendimento della paura condizionata, in quanto dalla sua elaborazione dipende l’attivazione dei tre principali sistemi che mediano l’attivazione neuroendocrina dell’assetto fisiologico degli affetti fobici e dello stress nell’organismo. Ma oltre che in rapporto alla paura, all’ansia e all’allerta, è intensamente indagata per il suo ruolo di conferimento di valori d’affezione a stimoli percettivi, in una gamma che va dall’appetito sessuale ed alimentare all’interesse estetico ed astratto. L’amigdala, per le sue estese connessioni, svolge un ruolo critico nella regolazione di vari comportamenti cognitivi e sociali oltre che affettivo-emotivi.

Studi recenti suggeriscono che l’elaborazione degli stimoli da parte dell’amigdala fornisce un contributo di fondamentale importanza per il giusto equilibrio fra attrazione ed evitamento[5], e dunque è probabile che, essendo distrutta in SM la base neurale necessaria a sviluppare la paura in rapporto all’esperienza, si abbia “uno squilibrio a favore dei processi che portano ad avvicinarsi all’oggetto, favorendo l’accesso alla coscienza dell’interesse e della curiosità”.

La fascinazione che la donna dice di provare per le condizioni che negli altri generano paura, sarebbe un “epifenomeno di questo scompenso. In altri termini, avrebbe una genesi bottom-up e non top-down: la presenza dell’effetto segnale collegato alla visione, in concomitanza con l’assenza dell’attivazione limbica, faciliterebbe l’innesco di processi neocorticali che la partecipazione intenzionale cosciente del soggetto rielabora assimilandoli al proprio modo di pensare e sentire”.

Se questa interpretazione si rivelerà corretta – ha osservato Giuseppe Perrella – si avrà conferma dell’importanza della “genesi di emozioni come la paura, non solo in funzione delle conseguenze protettive derivanti dal comportamento di evitamento del pericolo (fuga), ma anche in rapporto agli eventi di regolazione intrinseca dei sistemi encefalici da cui derivano le sintesi integrative alla base degli stati psichici e dei corrispondenti spettri di propensioni funzionali”.  

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-28 maggio 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Anche se il testo che segue riporta fedelmente numerose frasi dei punti salienti della relazione del Presidente, si è scelto di citare fra virgolette solo le parti trascritte parola per parola dalla registrazione.

[2] Dalle prove di coraggio etniche e tribali nei riti di passaggio, alle prove mitiche della storia dei Greci e dei Romani, fino alla filosofia dei kamikaze giapponesi e degli attentatori suicidi islamici.

[3] Negli psicopatici, individui in genere incapaci di provare paura, oltre che colpa e rimorso, è stata riscontrata atrofia nell’area dell’amigdala e della corteccia orbito-frontale. Kent Kiehl ha recentemente proposto che la psicopatia derivi da un difetto che estensivamente riguarda tutto il sistema paralimbico, un insieme di strutture con una forte interconnessione funzionale, implicate nell’elaborazione delle emozioni, nel perseguimento di un obiettivo, nella motivazione e nell’autocontrollo. Si veda: Note e Notizie 20-11-10 Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM – quarta parte.

[4] Per una trattazione più dettagliata si veda in Note e Notizie 18-12-10 Amigdala centrale quale sede della segnalazione delle omissioni; Note e Notizie 20-11-10 Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM – quarta parte.

[5] Ordinariamente descritto nella sperimentazione animale come balance between approach and avoidance. Le condotte animali di approccio possono ritenersi equivalenti ai comportamenti umani ispirati dalla gamma di stati psichici che va dalla curiosità all’interesse, dall’attrazione alla fascinazione.