Danza terapeutica nel Parkinson e in altre malattie neurodegenerative

 

 

A cura di LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX – 14 maggio 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE]

 

 

Il testo qui presentato è la sintesi della trascrizione di una relazione tenuta dal Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, nel quadro di una sessione di aggiornamento del gruppo di studio di BM&L sulla neurofisiologia del movimento, giovedì 24 marzo 2011, ad un incontro dal titolo: “Le basi neurali della danza e dei suoi effetti sul movimento patologico”. L’inizio dello studio di questo argomento risale al settembre 2008 (si veda la nota: Note e Notizie 13-09-08 BM&L e la neurofisiologia della danza).

 

(Sesta Parte)

 

Ora vorrei soffermare l’attenzione su alcune osservazioni e interpretazioni che possono aiutarci a comprendere perché la danza è stata più efficace del trattamento riabilitativo standard nella malattia di Parkinson.

A Città del Messico è possibile ammirare i danzatori dell’antica tradizione azteca, abbigliati con copricapi sormontati da lunghissime penne variopinte e gambali fittamente guarniti con noci dell’albero ayoyotl dette chachayotes, che risuonano ad ogni passo, consentendo una sottolineatura acustica sincronica con il movimento[1]. Questa immagine di danza etnica rende evidente un nesso stretto fra due elementi potenzialmente comunicativi, visivo e sonoro, e ci ricorda che in molte realtà culturali, anche ai nostri giorni, per accrescere la sonorità dei movimenti durante il ballo si impiegano mezzi come le nacchere, tipiche del flamenco, o le piastre metalliche poste sulla suola delle scarpe per il tip-tap. D’altra parte, senza bisogno di elementi posti sul corpo o sull’abbigliamento, i ballerini spesso battono le mani, schioccano le dita e pestano o battono i piedi in terra secondo il ritmo che stanno seguendo.

Sulla base di queste considerazioni, Brown e Parsons hanno ipotizzato che in origine la danza si sia evoluta come fenomeno sonoro e che il ballo e la musica, specialmente le percussioni, si siano sviluppati contemporaneamente come modalità complementari per generare ritmo (body percussion hypothesis). Secondo questa ipotesi, i primi strumenti a percussione non sarebbero stati altro che parte dell’abbigliamento dei danzatori, e magari, come le chachayotes, elemento distintivo di un costume rituale e regale. Ma, a differenza degli stimoli acustici su cui si basa la musica, la realizzazione dei movimenti nello spazio che la danza offre alla vista, costituisce una base straordinaria per la rappresentazione analogica di concetti e per l’imitazione di queste forme della comunicazione. Pertanto, da parte di molti, è stato ipotizzato che la danza possa aver rappresentato una forma primitiva di linguaggio. Ipotesi che non meraviglia certo coloro che studiano o praticano questa forma di arte, perché in questo ambito si considera una nozione elementare la natura di linguaggio gestuale di ogni forma di danza.

È interessante notare che, in tutte le prove di movimento dello studio di Brown e Parsons citato in precedenza[2], è stata riscontrata l’attivazione in un’area dell’emisfero destro corrispondente all’area di Broca dell’emisfero sinistro, ovvero la regione del piede del giro frontale inferiore, identificata con l’area 44 nella topografia corticale di Brodmann; in altri termini, l’area corticale associata alla produzione verbale, la cui lesione nella massima parte dei casi determina la sintomatologia dell’afasia motoria. Non è superfluo ricordare che, un po’ di tempo fa, la ricerca ha accertato la presenza di una rappresentazione delle mani nell’area di Broca.

Il quadro che va componendosi, sulla base delle interpretazioni che ricollegano i dati esposti, sembra supportare la cosiddetta teoria dell’evoluzione gestuale del linguaggio che postula all’origine della capacità umana di impiegare un codice di comunicazione, l’iniziale sviluppo di un sistema di gesti emblematici, analogici e simbolici, che successivamente e progressivamente si sarebbe convertito in un sistema di suoni vocali modulati con intenzione significativa. La sperimentazione di Brown e Parsons è stata fra le prime a dimostrare che il movimento degli arti inferiori attiva il territorio omologo dell’area di Broca sull’emisfero destro, in tal modo fornendo sostegno all’ipotesi secondo cui la danza nacque come forma di comunicazione rappresentazionale.

A questo punto è lecito chiedersi il ruolo che l’area del lobo frontale dell’emisfero destro, omologa della 44, potrebbe avere nel determinare l’attitudine alla danza.

Una risposta indiretta a questo quesito, si trova già in uno studio del 2003 di Marco Iacoboni e colleghi, dell’Università della California a Los Angeles.

 

[continua]

 

A cura di Lorenzo L. Borgia

BM&L-14 maggio 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] In molte culture danzatori e banditori sono adornati di campanelli o altri simili elementi metallici in grado di produrre suono per effetto di scosse e oscillazioni.

[2] Brown S. & Parsons L. M., The Neuroscience of Dance. Scientific American 299 (1), 58-63, 2008.