Danza
terapeutica nel Parkinson e in altre malattie neurodegenerative
A cura di LORENZO L. BORGIA
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 30 aprile 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo: SINTESI
DI UNA RELAZIONE]
Il testo qui presentato è la sintesi della
trascrizione di una relazione tenuta dal Presidente della Società Nazionale di
Neuroscienze, Giuseppe
Perrella,
nel quadro di una sessione di aggiornamento del gruppo di studio di BM&L
sulla neurofisiologia del movimento, giovedì 24 marzo 2011, ad un incontro dal
titolo: “Le basi neurali
della danza e dei suoi effetti sul movimento patologico”. L’inizio dello
studio di questo argomento risale al settembre 2008 (si veda la nota: Note e Notizie 13-09-08 BM&L e la
neurofisiologia della danza).
(Quarta
Parte)
Nello
studio di Brown, Martinez e Parsons, la comparazione fra i passi sincronizzati
con la musica e quelli scanditi a memoria, ha evidenziato anche un’altra
importante differenza nel quadro di attivazione encefalica: il nucleo genicolato
mediale risultava attivo solo nei passi che accompagnavano l’ascolto della
musica. L’interpretazione di questo dato, sulle prime, è apparsa banale e poco
significativa, perché il corpo genicolato mediale è un’importante stazione
sulla via uditiva[1]. Inizialmente
si è perciò ritenuto che l’attività di questo nucleo fosse in relazione con l’elaborazione
degli stimoli acustici prodotti dalla musica, ma una serie di scansioni di
controllo ha rivelato che, se all’ascolto dei brani strumentali di tango non si
accompagnava l’esecuzione dei passi, non si aveva aumento di attività nel
nucleo genicolato mediale. Quindi, i ricercatori hanno dedotto che i neuroni di
questo nucleo si attivano nella mediazione della sincronizzazione del movimento
con la musica.
Il
complesso dei dati emersi da questo studio ha indotto gli autori ad ipotizzare
l’esistenza di una “via bassa” che medierebbe la risposta motoria automatica e
inconsapevole al ritmo musicale: questo circuito implicherebbe l’intervento del
nucleo genicolato mediale e delle proiezioni dirette alle aree del cervelletto
che elaborano la temporizzazione e gli stimoli uditivi, senza passare per la
connessione con le aree della corteccia cerebrale necessarie all’elaborazione
cosciente degli stimoli acustici.
Riassumendo,
lo studio mediante PET dell’attività dell’encefalo durante l’esecuzione di
passi di un ballo di sala, ha rivelato l’importanza 1) del precuneo nel
disegnare le configurazioni dello spostamento del corpo secondo le linee
direzionali richieste dalla danza, grazie alla sua mappa cinestesica dinamica; 2)
del verme cerebellare anteriore, con le sue connessioni spinali, nell’adeguare
il metronomo interno alla temporizzazione del brano musicale per l’esecuzione
sincronizzata dei passi; 3) del nucleo genicolato mediale nel cooperare alla
sincronizzazione della funzione di metronomo cerebrale e, soprattutto, nella
correlazione automatica del movimento al ritmo, fornendo gli impulsi uditivi
direttamente al cervelletto senza passare per l’elaborazione corticale cosciente,
come accade nei movimenti involontari eseguiti a tempo di musica.
Un
altro filone di studi importante per capire le basi neurali della danza è
quello che indaga il rapporto fra movimento osservato e movimento eseguito. La
relazione visiva al livello più elementare, come è noto, implica l’intervento
dei neuroni specchio, una popolazione
di cellule nervose corticali che si attiva sia quando si compie l’azione, sia
quando si vede compiere la stessa azione da qualcun altro. Gli esperimenti che
hanno rivelato l’esistenza di questo sistema neuronico sono stati condotti
sempre verificando gli effetti di azioni molto semplici, come prendere un
oggetto con una mano e spostarlo. Ma in questo caso si tratta di osservazione,
imitazione e apprendimento di configurazioni di movimenti complessi, come
quelle insegnate ai corsi di danza. Si esplora, perciò, l’attività di tutte le
aree dell’encefalo che sembrano necessarie per questi compiti.
Beatriz
Calvo-Merino, Patrick Haggard e collaboratori[2]
si sono chiesti se esista una specificità di elaborazione relativa alle figure
della danza, che si renda evidente quando un ballerino le osserva. In altri
termini, se è possibile individuare aree encefaliche specificamente attive
nell’osservazione della danza appresa e riconosciuta, e non altrettanto
impegnate alla vista di un’attività motoria diversa. A tale scopo hanno pensato
di mettere a confronto professionisti della danza classica e della capoeira.
La
capoeira, secondo studi di
antropologia della danza riferiti da Gilberto Freyre, nasce in un’epoca remota come
gioco non competitivo cui partecipavano tutti gli abitanti del villaggio
brasiliano ancora ad uno stato di vita naturale e, in un certo senso, primitiva.
Capoeira è una parola della lingua
Tupì-Guaranì, ossia della popolazione di nativi americani che popolava il
Brasile prima della conquista portoghese, ed indicava le radure dei territori
interni dove, appunto, nasce questo grande gioco collettivo che si svolgeva a
tempo di musica, in un atmosfera in cui suoni e rumori della foresta erano
imitati e artisticamente rielaborati da strumenti che nel tempo si sono evoluti
nelle forme giunte fino a noi: pandeiro,
berimbau, atabaque, agogo e ganzuà. Il fascino della capoeira
originaria deriva dal suo fine di generare ed alimentare gioia ed armonia
collettiva, attraverso un’esperienza di gioco e spettacolo in cui tutti sono
giocatori[3]
e spettatori[4]. Con
l’arrivo in Brasile degli Africani, condotti come schiavi dai colonizzatori
portoghesi, si realizzò una fusione con altre forme di attività rituale tribale[5],
e poco per volta nacque la struttura della capoeira
moderna, che poi diventerà una sorta di “arte marziale”, insegnata nelle
palestre come disciplina competitiva. Il movimento fondamentale della capoeira, detto ginga[6], diventa
così, da passo di danza, una preparazione all’attacco o alla difesa.
La
danza classica[7] è quasi
universalmente considerata la forma di attività espressiva del corpo di
maggiore tradizione, prestigio, rigore tecnico e raffinatezza artistica, e per
le caratteristiche del suo studio, che impongono un inizio precoce con lunghe
sessioni quotidiane di esercizi di complessità crescente, si può ritenere
l’attività coreica che maggiormente incide sullo sviluppo post-natale
dell’encefalo, lasciando una specifica impronta funzionale.
Beatriz
Calvo-Merino e colleghi hanno allestito un esperimento in cui si chiedeva a tre
gruppi di volontari, costituiti rispettivamente da ballerini classici,
giocatori di capoeira e persone che
non avevano appreso alcuna forma di tecnica o arte del movimento[8],
di guardare con attenzione l’esibizione
- proposta attraverso video clips
di 3 minuti senza audio - di figure di
danza classica e capoeira. Lo studio
dell’encefalo è stato condotto mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Il
risultato è apparso evidente: la corteccia premotoria presentava un netto
aumento di attività alla vista di passi e figure che lo spettatore era in grado
di eseguire. L’apprendimento specifico, che aveva conferito l’abilità
proceduralizzata di compiere quanto osservato, determinava, alla sola visione,
l’attivazione di popolazioni neuroniche nell’area dell’esecuzione[9].
Alla
luce di quanto è noto da tempo sulla fisiologia motoria corticale, si può
interpretare facilmente questo risultato: quando guardiamo azioni semplici che
ordinariamente eseguiamo o siamo in grado di eseguire, si attivano le aree
della corteccia premotoria implicate nella specifica produzione di quei
movimenti, come se il cervello automaticamente ripetesse l’algoritmo esecutivo[10].
La memoria proceduralizzata, conferita dallo studio della danza e della capoeira, ha consentito all’osservatore
in grado di eseguire le figure osservate, di elaborarle come se fossero semplici
movimenti innati che la corteccia prossima alla circonvoluzione precentrale ripete.
Se tale interpretazione è corretta, il risultato propone un dato meno specifico
di quanto immediatamente appaia.
Calvo-Merino
e colleghi hanno allora sottoposto a verifica l’esistenza di una specificità di genere, ossia legata al
sesso degli osservatori.
In
realtà lo studio, condotto mediante fMRI, aveva un obiettivo di maggiore
portata: il nostro cervello possiede circuiti specializzati per l’osservazione
e la comprensione delle azioni, ma prima di questo studio non era stato
possibile distinguere se questo “sistema specchio” usa rappresentazioni motorie
specializzate o processi generali di conoscenza e inferenza visiva per
comprendere le azioni viste; pertanto gli autori si sono prefissi lo scopo di
accertarlo.
Come
è noto, nella danza classica esistono passi o movimenti esclusivamente
femminili ed esclusivamente maschili. I ballerini di entrambi i sessi si
esercitano insieme e, pertanto, hanno esperienza e memoria visiva di gesti e
movimenti compiuti dal genere opposto. La differenza, dunque, è data solo dal
possesso di una memoria cinestesica e procedurale specifica per l’esecuzione
dei propri movimenti. Su questa base i ricercatori hanno ipotizzato che, se si
fosse avuto un risultato simile a quello del lavoro precedente, si sarebbe
avuta la conferma dell’impiego di una memoria di esecuzione nel riconoscimento
delle azioni osservate.
Infatti,
si è rilevata una maggiore attività premotoria, parietale e cerebellare, alla
vista dei movimenti che l’osservatore aveva nel proprio repertorio di esecuzione,
confermando che la “lettura” delle figure di movimento osservate avveniva
attraverso l’attivazione della rete che costituisce il substrato di esecuzione.
In proposito, è opportuno sottolineare il rilievo della partecipazione del
cervelletto alla rete che consente il riconoscimento delle azioni.
[continua]
[1] Il nucleo del corpo genicolato mediale riceve fibre dai tubercoli inferiori della lamina quadrigemina, attraverso il braccio congiuntivo inferiore, e proietta alla corteccia uditiva del lobo temporale, prevalentemente all’area 41 di Brodmann. Si ricorda che la lamina quadrigemina appartiene alla via uditiva nella parte inferiore (tubercoli quadrigemini inferiori) e alla via visiva nella parte superiore: i tubercoli quadrigemini superiori proiettano attraverso i bracci congiuntivi superiori ai corpi genicolati laterali dai quali si diparte la radiazione ottica che giunge alla corteccia calcarina occipitale, principalmente in corrispondenza della aree 17 e 18 (V1 e V2) [Nota del Relatore].
[2] Istituzione di provenienza: University College of London. Il lavoro di questi ricercatori è attualmente fra i più importanti per la comprensione delle basi neurali della danza; in questa relazione mi sono riferito particolarmente a queste due pubblicazioni: Beatriz Calvo-Merino, et al., Cerebral Cortex 15 (8), 1243-1249, 2005; Beatriz Calvo-Merino, et al., Current Biology 16 (19), 1905-1910, 2006 [Nota del Relatore].
[3] Il performer di capoeira ancora oggi si chiama jogador, in portoghese [Nota del Relatore].
[4] Anche se sono stata avanzate varie ipotesi, sembra molto difficile che si possa giungere alla reale conoscenza di cosa fosse la capoeira prima della sua fusione con le forme rituali tribali giunte dall’Africa. Ho voluto fare questa breve digressione sull’origine della capoeira, perché si tende spesso a considerarla un tipo di lotta e, dunque, più vicina allo sport che alla danza, ma soprattutto se ne dimentica il particolare spirito ludico nell’impiegarla come strumento per l’evocazione collettiva di affetti positivi ed espansivi [Nota del Relatore].
[5] In molte aree del Brasile la capoeira nel 1800 era diventata una danza di guerra [Nota del Relatore].
[6] Consiste nel portare ritmicamente indietro ed avanti un piede alla volta, in modo da seguire la musica e non stare fermi pur rimanendo sul posto. Verosimilmente costituiva l’espressione di base della partecipazione collettiva. Alcuni sostengono che il movimento originario del gioco Tupì-Guaranì sia anche l’antecedente del samba [Nota del Relatore].
[7] Sarebbe più corretto chiamarla danza accademica perché basata sulle cinque posizioni classiche (la sesta fu introdotta nel XX secolo), già definite dai maestri del Quattrocento e del Cinquecento, che costituiscono la tecnica accademica stabilita come base comune per la danza artistica dall’Accademia Reale di Francia, fondata a Parigi nel 1661 dal Re Luigi XIV [Nota del Relatore].
[8] I tre gruppi erano costituiti da 10 ballerini del Royal Ballet di Londra, 9 performers professionisti di capoeira e 10 volontari per il gruppo di controllo. Tutti i partecipanti erano maschi destrimani con anamnesi negativa per patologie neurologiche e psichiatriche [Nota del Relatore].
[9] Il pattern di attivazione completo nei danzatori esperti che vedevano i passi noti, includeva l’attivazione bilaterale della corteccia premotoria e del solco intraparietale, l’attivazione della parte superiore del lobo parietale di destra e del solco temporale postero-superiore di sinistra. Gli autori del lavoro deducono che l’attivazione di questo “sistema specchio” integra le azioni osservate nell’esecuzione da parte di altri con il proprio repertorio appreso, in tal modo generando comprensione dell’azione attraverso la simulazione [Nota del Relatore].
[10] Numerosi gruppi di ricerca indagano il ruolo di questi circuiti di imitazione nella “comprensione motoria” o pre-logica del movimento e nel suo apprendimento [Nota del Relatore].