Modulazione della memoria di lavoro da parte dei corticosteroidi

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 16 aprile 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

I corticosteroidi sono dei potenti modulatori delle funzioni cognitive umane del più alto grado di integrazione, ma sono anche ormoni dello stress con una notevole potenzialità neurolesiva, che si rende particolarmente evidente in disturbi d’ansia gravi e protratti, nei quali si ritiene che rimanga attivo il corto-circuito di amplificazione dipendente dal CRH secreto dai neuroni dell’amigdala e basato sulla continua riattivazione del locus coeruleus. A questo si aggiunga che il cortisolo, in età senile, tende a sostituire gli ormoni sessuali fortemente ridotti, nella loro azione sul cervello. Si comprende la necessità e l’importanza della definizione degli effetti positivi e negativi dei glucocorticoidi sull’intelletto umano.

La modulazione dei processi cognitivi da parte di questi steroidi si ritiene si attui mediante due ordini di effetti: 1) cambiamenti rapidi non-genomici e 2) cambiamenti lenti genomici, che interessano la plasticità neurale diffusamente nel cervello. Lo studio sperimentale su modelli murini ha fornito una notevole messe di dati in termini di biologia molecolare, ma rimangono tuttavia da accertare gli effetti esatti di questi ormoni sui correlati neurali delle funzioni cognitive di ordine più elevato che vedono impegnata la corteccia prefrontale umana. In proposito appare rilevante il risultato di uno studio condotto da Henckens e colleghi del Department of Cognitive Neurology and Memory, Centre for Cognitive Neuroimaging, Donders Institute for Brain, Cognition and Behaviour, Radboud University Nijmegen (Paesi Bassi), altri Dipartimenti della stessa Università e del Department of Psychiatry, Academic Medical Center, University of Amsterdam (Henckens M. J., et al. Time-dependent corticosteroid modulation of prefrontal working memory processing. Proceedings of the National Academy of Science USA 108 (14), 5801-5806, 2011).

Gli autori del lavoro hanno deciso di studiare questi effetti tempo-dipendenti dei glucocorticoidi impiegando un paradigma di working memory (WM)[1], ossia la memoria che segue, sostiene e consente l’elaborazione cognitiva di più alto livello, ed ha il suo principale substrato neurale nei circuiti della corteccia prefrontale. Il cervello dei volontari sottoposti alle prove è stato esaminato mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI).

Lo studio è stato realizzato su 72 giovani in apparente buona salute, come un protocollo randomizzato, in doppio cieco, controllato da placebo. Per la verifica degli effetti immediati, non implicanti modificazioni dell’espressione genica, si sono somministrati 10 mg di idrocortisone 30 minuti prima della prova di WM[2]; per la verifica degli effetti mediati dall’espressione genica indotta dal cortisolo, la stessa dose del farmaco è stata somministrata 240 minuti prima del test. In entrambi i casi fungeva da controllo un gruppo che aveva ricevuto un placebo.

L’osservazione attenta delle scansioni di fMRI poste in relazione con i risultati delle prove, non ha fatto rilevare effetti immediati (30 minuti) dell’idrocortisone. Le prove eseguite a due ore di distanza dalla somministrazione del glucocorticoide hanno invece fato registrare un miglioramento delle prestazioni accompagnato ad un incremento di attività, durante l’impiego attivo della WM, nei territori cerebrali corrispondenti alla corteccia prefrontale dorsolaterale. L’accresciuta attività delle cellule prefrontali dorsolaterali è risultata proporzionale al carico di WM comportato dalla singola prova.

A commento, si può osservare che le condizioni di questo studio non riproducono in alcun modo gli effetti tossici dell’ipersecrezione di cortisolo nelle gravi sindromi da stress, e in particolar modo nei disturbi cronici, ma forniscono indicazioni sugli effetti positivi del cortisolo legati all’azione mediata dalla modificazione dell’espressione genica. Pertanto, si può condividere l’opinione degli autori, secondo i quali i corticosteroidi sembrano facilitare il funzionamento cognitivo di alto livello, supportando il recupero prestazionale dopo una breve esposizione ad una condizione psicologicamente stressante.

 

L’autrice della nota, che ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”.

 

Diane Richmond

BM&L-16 aprile 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Nella manualistica italiana si è affermata la traduzione memoria di lavoro per working memory, ma è più corretto definirla memoria di funzionamento; infatti, to work vuol dire funzionare, oltre che lavorare e, nelle intenzioni di Patricia Goldman Rakic, che fu fra i ricercatori che introdussero il termine, così come in quelle di Alan Baddley e della sua scuola, che l’ha studiata nella prospettiva della neuropsicologia, working memory doveva indicare quel complesso di processi che registra e mette a disposizione del funzionamento cognitivo, in tempo reale, i dati necessari all’elaborazione intelligente. Si ricorda che in neuropsicologia si distinguono due componenti nella working memory: una sorta di blocco per appunti visu-spaziale e un ciclo fonologico.

[2] Si trattava di una prova numerica con carico differenziale (n-back task 0- to 3-back).