Danza
terapeutica nel Parkinson e in altre malattie neurodegenerative
A cura di LORENZO L. BORGIA
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 16 aprile 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo: SINTESI
DI UNA RELAZIONE]
Il testo qui presentato è la sintesi della
trascrizione di una relazione tenuta dal Presidente della Società Nazionale di
Neuroscienze, Giuseppe
Perrella,
nel quadro di una sessione di aggiornamento del gruppo di studio di BM&L
sulla neurofisiologia del movimento, giovedì 24 marzo 2011, ad un incontro dal
titolo: “Le basi neurali
della danza e dei suoi effetti sul movimento patologico”. L’inizio dello
studio di questo argomento risale al settembre 2008 (si veda la nota: Note e Notizie 13-09-08 BM&L e la
neurofisiologia della danza).
(Terza
Parte)
Era
chiaro ai ricercatori che l’ideale sarebbe stato poter filmare in tempo reale
le attività cerebrali dei ballerini durante la danza, ma, come è noto, non si
dispone di questa possibilità: l’unico modo per avere immagini funzionali delle
strutture anatomiche del sistema nervoso centrale è l’impiego di metodiche che
richiedono l’assoluta immobilità del capo della persona esaminata che giace
supina sul lettino di un tomografo[1].
L’ostacolo
fu in qualche modo aggirato da Steven Brown, Lawrence Parsons e Michael
Martinez, che realizzarono il primo studio dell’attività dell’encefalo durante
l’esecuzione di passi di danza[2].
Sia pure in decubito supino, col capo perfettamente immobile nel gantry di un apparecchio di tomografia
ad emissione di positroni (PET), i ballerini dilettanti esaminati poggiavano i
piedi su un piano inclinato costituito da una tavoletta ricoperta da una
quadrettatura a griglia, sulla quale potevano spostare i piedi compiendo i
passi richiesti, mentre i ricercatori controllavano il movimento effettivamente
compiuto, sia con la diretta osservazione sia mediante riprese e fotografie.
In
questo primo studio i volontari erano cinque donne e cinque uomini, ballerini
di tango dilettanti, ma in grado di eseguire con precisione tutti i passi fondamentali.
Sdraiati sul lettino del tomografo, erano muniti di auricolari che consentivano
loro di ascoltare i brani che avrebbero dovuto seguire mentalmente e, in parte,
col movimento.
In
un esperimento fu chiesto loro di eseguire a tempo di musica un passo derivato
dalla salida basica, una classica
figura di otto passi che costituisce un sistema di insegnamento tradizionale
del tango argentino, scandendo i movimenti secondo la cadenza del ritmo del
brano strumentale che stavano ascoltando.
Poi
i dieci volontari furono nuovamente sottoposti alla prova, ma questa volta non
avrebbero dovuto eseguire il passo sul piano inclinato che simulava il
pavimento, ma semplicemente contrarre i muscoli degli arti inferiori a tempo di
musica come se avessero voluto compiere i movimenti, senza realmente spostare
le gambe. In tal modo, si registrarono due patterns
di attività per lo stesso piano d’azione:
il primo, compiuto con l’esecuzione del passo di danza, il secondo, privo
dell’attuazione esecutiva. Sottraendo le immagini PET del secondo a quelle del primo,
i ricercatori ottennero il quadro di attivazione delle aree corticali
importanti nel dirigere gli arti nello spazio e generare la configurazione di
moto[3].
Con
questa sottrazione, Brown, Parsons e Martinez hanno fornito le prime immagini
di un correlato neurofunzionale di un passo di danza.
E’
interessante notare che la “comparazione sottrattiva” eliminava molte delle
aree motorie di base del cervello, lasciando una parte della corteccia del lobo
parietale importante per la percezione spaziale e l’orientamento.
Nella
danza la cognizione spaziale sembra essere primariamente cinestesica: gli
organi sensoriali muscolari inviano momento per momento informazioni che
consentono al controllo cerebrale e cerebellare di conoscere in ogni istante la
posizione del tronco e degli arti, sia in senso assoluto che relativo. Le
informazioni provenienti dalla periferia muscolo-tendinea sono in grado di
fornire al cervello indicazioni sul grado di rotazione dei capi articolari di
ogni sinartrosi e sul livello di tensione in ogni muscolo; dal complesso dei
dati pervenuti, il cervello genera una rappresentazione dinamica del corpo
articolato.
Specificamente,
lo studio sui dieci ballerini di tango, ha mostrato l’attivazione in
corrispondenza del precuneo, una regione della corteccia parietale prossima
all’area in cui ha sede la rappresentazione cinestesica degli arti inferiori. Verosimilmente,
il precuneo contiene una mappa cinestesica che permette la consapevolezza
dell’esatta posizione di ogni segmento corporeo, mentre si è impegnati nello
spostamento deambulatorio nello spazio circostante. In altri termini, sia nel
semplice camminare lungo una linea retta come alla visita neurologica, sia nel
correre cercando gli spazi in cui inserirsi, con una palla che passa da una
mano all’altra come fa un giocatore di pallacanestro, il precuneo aiuta a
tenere la giusta rotta sulla base della statica e della dinamica del capo, del
tronco e degli arti o, come si suole dire, in una prospettiva centrata sul
corpo[4].
I
risultati degli esperimenti di Brown, Parsons e Martinez, suggeriscono
l’importanza del precuneo nella pratica attuazione di movimenti che configurano
specifici passi di danza.
Il
successivo passo sperimentale, compiuto dai tre ricercatori, è consistito nel
cercare di definire la base neurale della sincronizzazione del movimento alla
musica; un altro importante elemento che caratterizza la danza e la distingue
da attività motorie indipendenti dalla percezione di ritmo, armonie e melodia.
A
tale scopo, ai volontari è stato chiesto di eseguire i passi di danza senza
l’ascolto della musica. Successivamente, procedendo sempre per comparazione
sottrattiva, dalle immagini dei patterns
encefalici di attivazione corrispondenti ai passi sincronizzati con la musica,
sono state sottratte quelle corrispondenti agli stessi passi eseguiti in
silenzio. In tal modo, gli autori dello studio hanno inteso isolare le regioni
implicate nel collegamento temporale fra la percezione uditiva e l’esecuzione
dei passi.
Anche
in questo caso, la sottrazione eliminava pressoché tutte le aree motorie che,
naturalmente, costituivano la base neurofunzionale comune; ma in questo caso si
notava una differenza notevole nell’attivazione della porzione anteriore del
verme del cervelletto. In altri termini, l’esecuzione del passo sincronizzato
con il ritmo del brano strumentale di tango ascoltato, determinava un’attività
delle popolazioni cellulari del verme cerebellare anteriore di gran lunga più
intensa di quella indotta dal passo scandito a memoria in assenza di musica.
Sebbene
si tratti di un risultato preliminare rilevato in sole 10 persone, la sua netta
evidenza rende molto probabile una futura conferma su grandi numeri. Questo
dato supporta la tesi che ritiene questa parte del cervelletto una sorta di
conduttore che svolge un’attività di monitoraggio dell’informazione elaborata
nelle varie regioni del cervello al fine di supportare l’orchestrazione delle
azioni.
Nel
suo insieme, il cervelletto può considerarsi una sorta di complesso e
flessibile metronomo neurale: riceve una vasta gamma di segnali dai sistemi
corticali visivo, uditivo e somatosensoriale e, grazie alle sue
rappresentazioni somatotopiche del corpo intero, è in grado di porre in fase
temporale stimoli acustici, ottici, tattili o vibratori, con movimenti
automatici e volontari.
[continua]
[1] Sia che si tratti di un apparecchio per
tomografia ad emissione di positroni (PET), sia che si tratti di un apparecchio
per la risonanza magnetica funzionale (fMRI). La PET (positron emission tomography) è una metodica di medicina nucleare
che sfrutta radionuclidi emettitori di positroni a breve emivita, quali Carbonio-11,
Azoto-13, Ossigeno-15 e Fluoro-18, impiegandoli per la sintesi di molecole
analoghe a quelle implicate nei processi metabolici cellulari, che in tal modo
possono essere visualizzati. I positroni, a breve distanza dal punto di
emissione, vanno incontro al fenomeno dell’annichilazione,
che determina la comparsa di due raggi gamma che si allontanano in verso
opposto sulla stessa retta e sono rilevati dall’apparecchio PET. La tecnica del
18F-desossiglucosio (18FDG) è la più impiegata per lo
studio del sistema nervoso centrale [Nota
del Relatore].
[2] Steven Brown & Lawrence M. Parsons, The Neuroscience of Dance. Scientific American 299 (1): 58-63, 2008. Per la trattazione che segue si veda Steven Brown, Michael J. Martinez & Lawrence M. Parsons, The Neural Basis of Human Dance. Cerebral Cortex 16 (8), 1157-1167, 2006.
Steven Brown studia le basi
neurali della comunicazione umana ed è direttore del NeuroArts Lab, Department
of Neuroscience, Psychology and Behavior at Mc Master University in Ontario
(Canada); Lawrence M. Parsons studia il cervelletto, l’inferenza deduttiva e
l’alternanza dei ruoli nella conversazione; è professore del Department of
Psychology at Sheffield University (England). Michael J. Martinez lavora presso l’Health
Science Center, University of Texas at San Antonio (USA) [Nota del Relatore].
[3] Sulla fedeltà di questi reperti all’effettivo stato funzionale dell’encefalo, si possono fare due osservazioni: 1) la PET è una metodica funzionale sensibile ma con un grado di risoluzione spaziale non comparabile con quello della RMN, l’indagine morfologica per eccellenza nello studio del SNC; 2) con le metodiche di neuroimmagine funzionale si evidenziano le aree i cui neuroni sono impegnati metabolicamente per fare fronte alle aumentate richieste dovute alla loro attivazione. Dalla prima osservazione deriva che i limiti delle aree attive non devono considerarsi confini di assoluta precisione anatomica. Dalla seconda osservazione si desume che altre popolazioni neuroniche dell’encefalo, funzionanti a basso regime, pur prendendo parte alle funzioni studiate, potrebbero non essere rilevate dalla PET [Nota del Relatore].
[4] Ciò distingue il ruolo del precuneo da quello delle aree (corteccia entorinale, ippocampo) implicate nello spostamento nel mondo esterno, ma centrate sulla rappresentazione dello spazio circostante, resa e gestita da popolazioni di neuroni come le place cells, le grid cells e le border cells (si vedano nelle “Note e Notizie” le numerose recensioni di lavori sperimentali sull’argomento) [Nota del Relatore].