Alzheimer:
β-amiloide sufficiente ad indurre iperfosforilazione di tau e
degenerazione
NICOLE CARDON
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 09 aprile 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Gli
oligomeri diffusibili di peptidi
β-amiloidi sono in
grado, da soli, di indurre il danno del citoscheletro e la degenerazione dei
neuriti nella malattia di Alzheimer?
Un
gruppo di ricerca guidato da Dennis Selkoe ha condotto un lavoro che risponde a
questo interrogativo con prove davvero convincenti (Jin M., et al.
Soluble
amyloid β-protein dimers isolated from Alzheimer cortex directly induce
Tau hyperphosphorylation and neuritic degeneration. Proceedings of the National Academy of Science USA 108 (11), 4471-4476, 2011).
Dennis
Selkoe, del Center for Neurological Disease, Brigham and Women’s Hospital and
Harvard Medical School, Boston, è stato uno dei maggiori sostenitori della
teoria dell’amiloide come primum movens
patogenetico della malattia di Alzheimer, e da quando è stato dimostrato un
legame fra le placche amiloidi fibrillari
insolubili e la degenerazione neurofibrillare endoneuronica originata dalla iperfosforilazione della proteina tau, è impegnato nella ricerca di un
rapporto di causalità patogenetica fra i due ordini di eventi. Numerosi
studiosi, sia della Harvard Medical School che di altre prestigiose istituzioni
scientifiche, contrapponendosi a ricercatori che come Rudolph Tanzi sostenevano la priorità delle alterazioni
della proteina tau, hanno contribuito con Selkoe a
scrivere la storia recente della ricerca che ha dimostrato il ruolo dei peptidi
sintetizzati per effetto di β-secretasi e γ-secretasi nello sviluppo
di disturbi senili della memoria, oltre che della malattia di Alzheimer[1].
Il progressivo cambiamento di prospettiva, che ha preceduto la ricerca del
nesso causale fra β-amiloide e iperfosforilazione della tau, è così reso
in estrema sintesi in un brano di un testo di cinque anni fa che qui di seguito
riporto.
“E’ noto, fin dalla prima descrizione di Alois
Alzheimer, che i due contrassegni della malattia sono le placche senili
e gli aggregati fibrillari. Le prime, dette più propriamente placche
amiloidi, sono costituite da assoni e dendriti degeneranti, spesso
circondati da microglia, intorno a un “core” di accumulo del peptide
β-amiloide, che forma una sostanza vischiosa tendente ad aumentare di
consistenza nel tempo. I secondi rappresentano una degenerazione
neurofibrillare intracellulare e sono costituiti da ammassi di
neurofilamenti avvolti a spirale, contorti ed aggregati a seguito della perdita
della configurazione fisiologica per l’iper-fosforilazione della proteina tau.
La contrapposizione su quale fosse il primum
movens della malattia, l’accumulo di amiloide extracellulare o la
degenerazione neurofibrillare intracellulare, ha creato due campi distinti di
studio, che sono rimasti separati per decenni, perché espressione di due teorie
apparentemente inconciliabili: la prima attribuiva il ruolo causale ad una
cascata di eventi originati dal peptide beta amiloide (Beta-Amyloid-Plaques o
BAP, per cui i suoi sostenitori erano chiamati BAP-tists), la seconda
alle alterazioni dovute alla iperfosforilazione della proteina tau (i
sostenitori erano perciò detti Tau-ists).
Attualmente la “cascata amiloide” è
considerata più che una semplice ipotesi, e il processo innescato dal peptide (βA)
isolato da Glenner e Wong, lungo 42-43 aminoacidi e in grado di assemblarsi in
strutture filamentose come dimostrato da Lansbury, è stato collegato con
l’alterazione neurofibrillare intracellulare. In particolare, gli aggregati
βA extracellulari attivano una successione di eventi che porta le chinasi
intracellulari a fosforilare in eccesso la proteina tau,
con conseguente cambiamento delle sue proprietà chimiche ed avvio dello
scompaginamento delle strutture neurofibrillari”[2].
Così mi esprimevo nel giugno 2006. Negli anni
seguenti è stato dibattuto accanitamente il rapporto temporale fra i meccanismi
molecolari dipendenti dalla tossicità dei peptidi β-amiloidi e i
processi connessi con la iperfosforilazione della tau che avvia lo
scompaginamento delle strutture neurofibrillari. Il recente riconoscimento che piccoli oligomeri diffusibili possano
costituire la principale forma bioattiva di βA, ha sollevato la domanda se queste forme molecolari siano
sufficienti ad avviare le alterazioni del citoscheletro e la degenerazione
dei neuriti.
Alcuni studi hanno esaminato gli effetti di
oligomeri di peptidi sintetici βA di una definita lunghezza, in concentrazioni
superiori a quelle fisiologiche, ma l’esistenza di tali aggregati fino ad ora
non era stata dimostrata.
Selkoe e colleghi hanno isolato dimeri
βA, la forma più abbondante di oligomeri solubili reperibili nel
cervello umano, dalla corteccia cerebrale di persone affette da malattia
di Alzheimer, ed hanno rilevato che a concentrazioni subnanomolari, prima
inducevano in neuroni dell’ippocampo l’iperfosforilazione della tau in
corrispondenza di epitopi rilevanti per la malattia di Alzheimer, e poi distruggevano
l’integrità del citoscheletro microtubulare e causavano degenerazione
neuritica. Tutto ciò avveniva in assenza di fibrille amiloidi.
L’impiego di dimeri sintetici puri ha
confermato gli effetti dei dimeri naturali provenienti dalla corteccia di
pazienti affetti dalla grave malattia neurodegenerativa, anche se le molecole
ottenute per sintesi si sono rivelate di gran lunga meno potenti.
L’eliminazione sperimentale (knocking down) della proteina tau
endogena ha prevenuto efficacemente le alterazioni neuritiche, mentre
l’iperespressione della tau umana le ha accelerate. La contemporanea
somministrazione di anticorpi βA N-terminale ha impedito la distruzione
del citoscheletro.
Il complesso della sperimentazione, per il
cui dettaglio si rimanda alla lettura del testo integrale dell’articolo
originale, consente di concludere che i dimeri naturali, isolati dal
cervello di pazienti affetti da malattia di Alzheimer, sono sufficienti
ad indurre potentemente la fosforilazione alzheimeriana della proteina tau e la
conseguente distrofia neuritica. L’immunoterapia passiva, mitigando
notevolmente questi esiti, sembra possa costituire un utile strumento
terapeutico.
L’autrice della nota, che ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza, invita alla lettura delle numerose recensioni
di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”.
[1] Allen Roses è stato tra i primi a sostenere l’importanza delle varianti del gene APOE: inizialmente le sue tesi apparivano in contrasto con la teoria dell’amiloide, ma ben presto si è compreso che il ruolo di fattore di rischio per la forma ad insorgenza tardiva (Late Onset Alzheimer Disease o LOAD) costituito dalla variante ε4 (APOE-ε4) è legato all’aumentato accumulo dei peptidi β-amiloidi, e associato all’aumentato rischio cardiovascolare da ipercolesterolemia.
[2] Si veda in Note e Notizie 10-06-06 Alzheimer, lo stato dell’arte in un incontro di BM&L.