Oressina
tubero-mammillare nella narcolessia
NICOLE CARDON & GIUSEPPE PERRELLA
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 26 marzo 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La
narcolessia [G47.4 DSM-IV-TR (347 ICD-10)] è un disturbo
cronico del sonno classificato fra le dissonnie primarie[1]
e caratterizzato da ripetuti attacchi
diurni incoercibili di
sonno ristoratore, cataplessia e intromissioni ricorrenti di fasi
di sonno REM[2] nel periodo di transizione fra il
sonno e la veglia. Durante il giorno, in assenza di trattamento, i pazienti
vanno incontro a 2-6 episodi di addormentamento improvviso, che non richiedono
condizioni che conciliano o promuovono il sonno per manifestarsi. Infatti, gli
affetti da narcolessia possono addormentarsi nel bel
mezzo di una conversazione, mentre mangiano, lavorano, sono alla guida
dell’auto, oltre che in tutte quelle condizioni che favoriscono il sonno anche
delle persone non affette che semplicemente non abbiano dormito a sufficienza.
Perché
si possa porre la diagnosi di narcolessia è necessario che si escluda
l’assunzione di sostanze psicotrope d’abuso e farmaci in dosi potenzialmente in
grado di disturbare la fisiologia del ritmo sonno-veglia[3].
Il riconoscimento diagnostico della narcolessia[4]
richiede che gli attacchi di sonno ricorrano da almeno tre mesi e si
accompagnino a uno dei due sintomi più comuni: 1) la cataplessia, consistente
in episodi di perdita improvvisa, bilaterale e reversibile del tono muscolare
della durata di secondi o minuti, in genere indotti da stati emozionali come
una collera intensa o un ridere partecipato e protratto; 2) intrusioni
ricorrenti di sonno REM nel passaggio dal sonno alla veglia, con blocco dei
muscoli volontari e visioni oniriche simili ad allucinazioni[5].
La
causa della narcolessia è stata
individuata in una perdita della segnalazione
oressinica, ma ancora
poco si sa dell’alterazione in termini di sistemi neuronici. Takatoshi
Mochizuki e colleghi, hanno condotto uno studio che fornisce dati significativi
sulla via nervosa effettrice dell’azione oressinica (Mochizuchi T., et
al. Orexin
receptor 2 expression in the posterior hypothalamus rescues sleepiness in
narcoleptic mice. Proceedings of the
National Academy of Science USA 108
(11), 4471-4476, 2011).
Gli autori del lavoro provengono dal Department of
Neurology and Division of Endocrinology, Beth Israel Deaconess Medical Center,
Harvard Medical School, Boston (USA); dalla Division of Hypothalamic Research,
University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas (USA); dai Merk
Research Laboratories, West Point, PA (USA); dalla F. Hoffmann-LaRoche, Basilea
(Svizzera).
Ricordiamo
che il termine narcolessia fu coniato intorno al 1880 dal
medico francese Jean Baptiste Édouard Gélineau[6],
combinando le parole greche narkē
e lepsis: la prima definiva
nell’antichità lo stato stuporoso o
comatoso, e Gélineau la scelse per caratterizzare l’addormentarsi diurno e
improvviso; la seconda è il termine indicante un evento brusco, dal quale si
derivavano i suffissi dei termini medici indicanti crisi o attacchi. Da
allora, sono stati condotti molti studi per determinare la causa della
narcolessia e, vista la frequenza di associazione con familiarità per altri
disturbi del sonno, per decenni si è indagato soprattutto nel campo dell’eziologia
genetica. Da tempo è nota l’associazione con malattie genetiche quali la
Niemann-Pick e la Prader-Willi. Nei soggetti affetti da narcolessia con
cataplessia si è costantemente rilevato il genotipo HLA-DQB1*0602[7],
la cui frequenza, in assenza di cataplessia, scende al 40%, contro una frazione
di circa il 20-25% di riscontro nella popolazione generale. Si è ritenuto che
il profilo HLA possa essere correlato con un aumentato rischio di reazione
autoimmune nei confronti dei neuroni esprimenti i polipeptidi riconosciuti come
antigeni, in particolare l’oressina o ipocretina. Infatti, in molti pazienti si è
rilevata una riduzione del numero dei neuroni
oressinici.
Ma,
qual è la base anatomica del danno che determina la compromissione della
segnalazione legata all’oressina?
I
ricercatori, per identificare i circuiti neuronici implicati nella fisiopatologia
del disturbo, hanno realizzato un modello murino in cui la produzione del recettore di tipo 2 dell’oressina (OX2R, detto anche HCRTR2) era impedita mediante una metodica di gene targeting (da un loxP-flanked
gene cassette)[8], ma la
normale espressione poteva essere ripristinata dalla Cre ricombinasi.
Le
caratteristiche di questo ceppo di topi riproducevano la sintomatologia tipica
della condizione patologica umana. Infatti, il difetto di segnalazione legata
ad OX2R determinava una grande difficoltà nel mantenere lo stato
di veglia, una condizione indicativa di insonnia e sonno frammentato. In questi
roditori, nei neuroni promuoventi la veglia, localizzati nel nucleo tuberomammillare, si è accertata l’assenza di qualsiasi risposta
elettrofisiologica all’oressina A.
L’incrocio
di questi topi con un ceppo esprimente
Cre nella linea germinale
femminile, compensava del tutto questi difetti, eliminando la cassetta di selezione
distruttrice della trascrizione.
Dunque,
usando un vettore virale adeno-associato codificante la Cre ricombinasi,
Mochizuki e colleghi hanno riscontrato che il ripristino focale di OX2R nei neuroni del nucleo tuberomammillare e delle parti adiacenti dell’ipotalamo posteriore, eliminava del tutto la sonnolenza di questi topi, mentre
il sintomo della frammentazione del sonno rimaneva inalterato.
Complessivamente,
i risultati di questo lavoro dimostrano che le vie
della regione tubero-mammilare giocano un ruolo essenziale negli effetti di promozione della veglia da
parte delle oressine, ma anche che il ruolo di
stabilizzazione del sonno da parte di queste proteine implica un’azione su
altri obiettivi fisiologici da definire.
Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Floriani
per aver apportato opportuni tagli ad un testo in origine molto più lungo, e
invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che compaiono
nelle “Note e Notizie”.
[1] Nelle classificazioni internazionali le Dissonnìe Primarie comprendono i seguenti disturbi: Insonnia Primaria, Ipersonnìa Primaria, Narcolessia, Disturbo del Sonno Correlato al Respiro, Disturbo del Ritmo Circadiano del Sonno e Dissonnia Non Altrimenti Specificata.
[2] Per “sonno REM” (da rapid eyes movement) si intende quella fase elettroencefalografica del sonno caratterizzata da rapidi movimenti oculari, durante la quale si verifica la maggior parte dei sogni. Il sonno notturno è caratterizzato da 4-5 cicli di 90-110 minuti, ciascuno dei quali presenta una fase REM. Generalmente, nell’addormentarsi, la prima fase di sonno REM si ha dopo almeno 60 minuti, mentre nella narcolessia spesso si entra direttamente in fase REM.
[3] L’uso ripetuto di sostanze psicotrope stimolanti, come cocaina e amfetamine, può determinare per astinenza o effetto di rebound, sonnolenza con attacchi gravi e improvvisi. Fra i farmaci, gli agonisti colinergici possono interrompere la continuità del sonno incrementando le fasi REM, e gli anticolinergici, inclusi gli antidepressivi triciclici, possono causare effetti simili quando interrotti bruscamente. In passato, quando era frequente la prescrizione di reserpina e metildopa, si rilevavano spesso effetti collaterali di sonnolenza grave.
[4] Si ricorda che non sempre è semplice la diagnosi differenziale con il Disturbo del sonno correlato alla respirazione [G47.3, DSM-IV-TR (780.59, ICD-10)], anche perché le due condizioni possono coesistere. Ricordiamo i principali criteri diagnostici per questo disturbo: sonno interrotto a causa di una patologia della respirazione correlata al sonno (quali la sindrome da apnea del sonno ostruttiva o centrale e la sindrome da ipoventilazione alveolare centrale) ed esclusione che il disturbo sia causato da sostanze psicotrope d’abuso, da farmaci o da una condizione medica generale diversa da un disturbo correlato alla respirazione.
[5] Sulla base di osservazioni cliniche, alcuni sostengono che si possa porre diagnosi anche in assenza di questi due sintomi; al contrario, nel DSM-IV la presenza di almeno uno dei due è considerata necessaria (criterio B). Per certo, il 20-40% dei pazienti riferisce fenomeni di cosiddette allucinazioni ipnagogiche, ossia un’attività immaginativa simile al sogno che si verifica durante la veglia poco prima di addormentarsi, e di allucinazioni ipnopompiche, ossia la stessa esperienza di visioni psichiche nella fase che segue immediatamente il risveglio.
[6] Gélineau, "De la narcolepsie", Gazette des Hôpitaux, 53, 626–628, 1880.
[7] Rilevate anche associazioni con HLA-DR2 e HLA-DQ1.
[8] La metodica fu messa a punto, con Martin Evans e Oliver Smithies, da Mario Capecchi, che fu insignito del Premio Nobel nel 2007.