La
seconda lingua dipende dal circuito caudato-fusiforme
DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 19 febbraio 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
L’esperienza
dell’apprendimento di una seconda lingua ci aiuta a renderci conto dell’entità straordinaria
dei fenomeni che hanno luogo, durante lo sviluppo post-natale del cervello, nell’acquisizione
della lingua madre. L’apparente facilità con la quale, in condizioni
fisiologiche, la maggior parte dei bambini in poco tempo padroneggia il lessico
e le strutture grammaticali di base necessarie a comunicare efficacemente, è
davvero impressionante, soprattutto se lo si compara con l’impegno richiesto
agli adulti per l’acquisizione di una seconda lingua[1]:
frequenza di corsi, laboratori linguistici, ore e ore di esercizi per anni,
spesso senza riuscire a conseguire i risultati sperati. Un altro dato di
esperienza comune è la differenza individuale nella capacità di apprendere
nuovi idiomi: alcune persone riescono ad imparare e padroneggiare più lingue
nell’arco di pochi anni, acquisendone le particolarità fonologiche, la
prosodia, la logica grammaticale e le formule convenzionali d’uso comune;
altri, pur vivendo da venti o trent’anni in un paese nel quale fanno esercizio
quotidiano di comunicazione verbale, rimangono ad un livello di abilità così basso
da apparire sempre come “turisti stranieri di passaggio”, per usare una felice
espressione del compianto professore Gentile.
Considerazioni
di questo genere hanno storicamente motivato la ricerca sull’acquisizione della
seconda lingua per la comprensione delle differenze sussistenti fra
l’apprendimento in età evolutiva[2]
e quello delle epoche successive, e per l’accertamento delle basi neurali, allo
scopo di comprendere anche il motivo dell’affermarsi di più marcate differenze
individuali in età adulta.
Attualmente
lo studio dei processi che consentono di imparare, dopo la madrelingua, un
secondo codice linguistico per l’ideazione e la comunicazione, rappresenta un
campo fecondo di studi che attrae l’interesse tanto delle neuroscienze quanto
della linguistica.
Li
Hai Tan e colleghi, indagando la funzione cerebrale nell’elaborazione del
linguaggio, hanno definito un’interessante correlazione fra il grado di
attività di uno specifico circuito e il livello di prestazione successivamente
raggiunto nella seconda lingua (Li Hai
Tan, et al. Activity levels in the left
hemisphere caudate-fusiform circuit predict how well a second language will be
learned. Proceedings of the National
Academy of Science USA 108 (6), 2540-2544,
2011).
Gli autori dello studio provengono in prevalenza dallo
State Key Laboratory of Brain and Cognitive Sciences and Department of
Linguistics, University of Hong Kong (Cina), dalla Chinese Academy of Sciences,
e dal Department of Radiology and Brain Research Imaging Center, University of
Chicago (USA).
Studi
precedenti, condotti con metodiche di neuroimaging
funzionale su bambini bilingue, avevano dimostrato un’estesa sovrapposizione
nell’organizzazione corticale della lingua nativa e della seconda lingua,
giungendo ad indicare un comune marker
neurobiologico come responsabile per lo sviluppo dei due diversi codici
linguistici nel cervello. Li Hai Tan e i suoi collaboratori hanno ottenuto dati
in netto contrasto con l’ipotesi del sostrato neurale unico.
I
ricercatori, impiegando le scansioni cerebrali della risonanza magnetica funzionale
(fMRI), hanno accertato che il livello di attività del circuito fusiforme-caudato dell’emisfero sinistro consente di prevedere le abilità di lettura che si possono
sviluppare nella seconda lingua, ma non ha alcun valore predittivo circa
l’apprendimento dello stesso compito linguistico nella madrelingua.
Bambini
di 10 anni di età sono stati sottoposti a scansioni fMRI mentre eseguivano un
compito di decisione lessicale con stimoli nella seconda lingua e
in quella nativa (fungente da controllo). Le cosiddette abilità di “lingua
scritta” (nello specifico le abilità di
lettura) sono state sottoposte a verifica con metodologia comportamentale:
1) la prima volta proprio subito prima delle scansioni fMRI (time 1 reading) e 2) la seconda volta a
distanza di un anno solare (time 2
reading).
Un’analisi
basata sull’esame funzionale dell’intero encefalo (whole-brain analysis) ha rivelato che i livelli di attività nel nucleo caudato di sinistra e nel giro fusiforme di sinistra correlavano con il grado di
istruzione e di prestazione nella lettura raggiunto nella nuova lingua al tempo
1. Lo studio accurato delle immagini cerebrali e delle prestazioni, ha
consentito di rilevare che anche lo sviluppo delle abilità di lettura nella
seconda lingua riscontrate dopo un anno (tempo 2), potevano essere previste dal
grado di attività nel caudato e nel fusiforme di sinistra che, sulla base di studi pregressi, si ritiene
che medino le funzioni di controllo della linguaggio e risolvano i
problemi di “competizione” dell’idioma nativo con la seconda lingua che si sta
apprendendo.
I
risultati di questo studio, in attesa di conferme o smentite da parte di ulteriori
ricerche, sembrano indicare chiaramente nell’attività dei neuroni del nucleo caudato e della corteccia
del giro fusiforme un
importante marker neurobiologico per
la previsione dei risultati nell’acquisizione delle abilità di lettura in una
nuova lingua.
Gli autori della nota invitano alla lettura delle
recensioni di lavori originali di argomento connesso che compaiono nella
sezione “Note e Notizie”.
[1] Questa difficoltà è più evidente quando si studia una lingua di ceppo diverso dalla propria, ad esempio l’inglese o il tedesco (ceppo germanico) da parte di parlanti una lingua di ceppo latino come l’italiano, il castigliano, il francese o il portoghese. Difficoltà comuni riguardano, ai due estremi, la corretta pronuncia e il rapporto fra la forma del pensiero spontaneo e le strutture grammaticali necessarie alla sua espressione.
[2] Studi con varianti sicure e non invasive di EEG, MEG, fMRI e tecnologie NIRS (da near infra-red spectroscopy), hanno consentito l’analisi funzionale del cervello di neonati e lattanti nelle fasi più precoci dello sviluppo, permettendo di riconoscere contrassegni neurali di apprendimento per i fonemi della lingua nativa a 7 mesi, per le parole familiari a 9, e per le anomalie semantiche e sintattiche nelle frasi a 30 mesi. Si è poi accertato che, al livello fonetico, è l’apprendimento stesso a contribuire ai fenomeni del “periodo critico”, che non è esclusivamente conseguenza del parametro tempo, ossia della cronologia di sviluppo. Infine, le metodiche che consentono di avere immagini funzionali dell’intero encefalo durante l’elaborazione del linguaggio, hanno permesso di evidenziare una rete di elaborazione che include le aree uditive e motorie verbali, rivelando la possibile esistenza di un sistema cerebrale condiviso per il linguaggio, una sorta di “sistema specchio” per le lingue verbali (Perrella G. & Richmond D., Basi neurali dell’acquisizione precoce della lingua verbale. BM&L, Firenze 2009 - relazione all’incontro periodico del gruppo strutturale sulle basi neurobiologiche del linguaggio di BM&L del marzo 2009). Su questa base sono condotti gli studi che tendono a stabilire come il cervello bilingue crea la mappa di due distinti idiomi (Si veda, sull’acquisizione del linguaggio: Patricia K. Kuhl, Early Language Acquisition: Neural Substrates and Theoretical Models, in “The Cognitive Neurosciences” (Gazzaniga M. S., editor), pp. 837-854, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2009.